Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 3833 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 3833 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 03/09/1985
avverso l’ordinanza del 28/06/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria del MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza emessa in data 28 giugno 2024 la Corte di appello di Milano ha rigettato la richiesta di riparazione dell’ingiusta detenzione patita da NOME COGNOME in relazione al periodo di anni uno, mesi due e giorni diciannove che costituiscono la differenza tra la pena concordata, giusta sentenza della Corte di appello di Milano in data 28 febbraio 2019, in misura pari ad anni 4 di reclusione e quella rideterminata dal giudice dell’esecuzione in data 14 settembre 2021, in seguito alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 40 del 23 gennaio 2019 che dichiarava incostituzionale l’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 nella parte in cui prevedeva il minimo edittale in misura pari ad anni otto di reclusione piuttosto che sei.
Avverso l’ordinanza reiettiva è stato proposto ricorso affidandolo ad un unico motivo con il quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Si contesta che la Corte territoriale, pur avendo riconosciuto la illegalità del trattamento sanzionatorio, per effetto della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90, ha rigettato la richiest ritenendo non ravvisabile alcun errore in capo ai giudici intervenuti. Ad avviso della difesa il primo errore sarebbe ravvisabile nell’avere la Corte territoriale “condannato” COGNOME in data 28 febbraio 2019 nonostante la pronuncia della Corte Costituzionale del 23 gennaio 2019, ad una pena illegale (il 28 febbraio 2019).
Il secondo errore sarebbe stato commesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano che in data 16 ottobre 2019 avrebbe dato esecuzione alla pena “illegale”.
Solo il 14 settembre 2021 la pena veniva rideterminata dal giudice dell’esecuzione in misura pari ad anni due e mesi otto di reclusione e COGNOME rimesso in libertà, giusto ordine di scarcerazione del 22 settembre 2021.
Ad avviso della difesa la Corte non ha fatto buon governo dell’art. 30 co. 5 della L. n. 87/1953 e dell’art. 314 co. 5 cod. proc. pen. che regolano da una parte gli effetti della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della legge penale e dall’altra, il diritto alla riparazione per ingius detenzione in caso di abrogazione della norma incriminatrice. La Corte territoriale, secondo la difesa, avrebbe violato le norme omettendo di operare una interpretazione costituzionalmente orientata e omettendo si sollevare questione di costituzionalità della norma in esame, riconoscendo il diritto alla riparazione a prescindere dall’errore giudiziario.
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NOME
Evidenzia, innanzitutto, il ricorrente che il dogma della intangibilità del giudicato va sempre contemperato con la compromissione di un diritto fondamentale quale la libertà personale, ammissibile solo in quanto abbia piena base legale ed assolva alla funzione rieducativa della pena, richiamando in proposito le sentenze delle Sezioni Unite n. 18821 del 24 ottobre 2013, Ercolano, e n. 42858 del 29 maggio 2014, Gatto. Alle stesse conclusioni dovrebbe giungersi nel caso in cui la pena dichiarata illegale fosse già espiata. In difetto di siffatta intepretazione la difesa chiede che venga sollevata questione di leittinnità costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen. in relazione all’art. 27 co. 3 Cost.
Il P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria chiedendo ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso non merita accoglimento.
La Corte della riparazione ha ricostruito la vicenda in esame evidenziando che il ricorrente, con sentenza del Gip del Tribunale di Milano è stato condannato alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 18.000 di multa in relazione al reato di cui all’art. 73 comma 1 d.P.R. n. 3009/90 commesso in Milano il 4 maggio 2018.
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 28 febbraio 2019 irrevocabile il 16 aprile 2019, decidendo su accordo delle parti ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen, riduceva la pena inflitta all’istan rideterminandola in anni quattro di reclusione ed euro 12.000 di multa.
Nel provvedimento impugnato è stato posto l’accento sulla circostanza che la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 nella parte in cui prevedeva il minimo edittale in misura pari ad anni otto di reclusione piuttosto che sei, è stata pronunciata il 23 gennaio 2019 e depositata in data 8 marzo 2019.
In seguito alla pronuncia della Corte Costituzionale veniva instaurato incidente di esecuzione, deciso dal Gip del Tribunale di Milano in data 14
settembre 2021, rideterminando la pena in anni due e mesi otto di reclusione ed euro 12.000 di multa, così riducendo così la pena originariamente inflitta.
Il 22 settembre 2021 la Procura della Repubblica emetteva ordine di scarcerazione per rideterminazione della pena rilevando che, per effetto della rideterminazione della pena, l’odierno ricorrente aveva espiato un periodo in eccesso pari a mesi otto e giorni 19 di reclusione disponendo l’immediata liberazione del condannato.
Contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte della riparazione, con motivazione condivisa da questo Collegio, ha ritenuto che nella vicenda in esame non sia ravvisabile alcun errore da parte dell’autorità giudiziaria poiché la pena come rideterminata dalla Corte di merito, in accoglimento del concordato tra le parti, non era né illegittima né illegale dato che non veniva affatto in rilievo l’illegittimità dell’incriminazione quanto quella relativa al trattamento sanzionatorio, per di più rispetto al minimo edittale. Non mancava la Corte di evidenziare che ai sensi dell’art. 30 comma 3 della L. n. 87/1953 le norme incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, traendone la conseguenza che al momento della pronuncia della Corte di appello di Milano, l’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale della reclusione in misura pari a otto anni era in vigore, pienamente efficace e legittima, dunque, legittima era la decisione con la quale veniva accolta la richiesta di concordato ex art. 599 bis cod. proc. pen.
Con motivazione congrua e rispondente ai principi sanciti da questa Corte di legittimità i giudici della riparazione hanno ritenuto che la nuova cornice edittale, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale, pubblicata solo successivamente alla pronuncia della sentenza di appello, non aveva determinato alcun automatismo nella misura della pena, sottolineando che il condannato avrebbe potuto proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di secondo grado che il 16 aprile 2019 diveniva irrevocabile.
La Corte della riparazione non ha mancato di richiamare giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4 n. 572033 del 21/09/2017, Paraschiva, Rv. 271689 – 01) secondo cui «in caso di illegittimità costituzionale di una norma penale incidente sul trattamento sanzionatorio, sussiste il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione subita in conseguenza dell’illegittimo rigetto, da
parte del giudice dell’esecuzione, dell’istanza di rideterminazione della pena alla luce della nuova cornice edittale, essendo ravvisabile un errore dell’autorità procedente che omette di rivalutare la pena alla luce dei nuovi limiti in ragione della conformità formale al precedente e a quello sopravvenuto». E’ stato, dunque, evidenziato che nel caso di specie il ricorrente, cui spetta di allegare i fatti costitutivi della pretesa di indennizz non ha lamentato alcuna situazione di illegittimo rigetto da parte del giudice dell’esecuzione, dell’istanza di rideterminazione della pena, alla luce della nuova cornice edittale.
In altri termini non era devoluto alla Corte di procedere alla disamina di un errore dell’autorità procedente che avesse omesso di rivalutare la pena del condannato alla luce dei nuovi limiti edittali.
A tale conclusione la Corte della riparazione è pervenuta, escludendo che nel caso in esame fossero ravvisabili errori dell’autorità giudiziaria, nel solco della giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui «In tema di ingiusta detenzione, il diritto alla riparazione è configurabile anche ove l’ingiusta detenzione derivi da vicende successive alla condanna, connesse all’esecuzione della pena, purché sussista un errore dell’autorità procedente e non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell’interessato che sia stato concausa dell’errore» (Sez. 4 n. 25092 del 25/05/2021, Rv. 281735 – 01; Sez. 4 n. 42632 del 29/10/2024, Rv. 287112 – 01). Né si ravvisa alcun errore dell’autorità giudiziaria e in specie nell’Ufficio di Procura che, divenuta irrevocabile la sentenza della Corte di appello, in data 16.10.2019 dava esecuzione alla pena.
Non va dimenticato il criterio prevalente di questa Corte di legittimità che impone di riconoscere il diritto alla riparazione anche allorquando l’ingiusta detenzione derivi da vicende successive alla condanna connesse all’esecuzione della pena salvo che ricorrano comportamenti dolosi o gravemente colposi dell’interessato che siano stati concausa di errori o ritardi (Sez. 4 – , Sentenza n. 42632 del 29/10/2024, Rv. 287112 – 01).
E’ di tutta evidenza che, diversamente opinando, si finirebbe con il consentire al condannato, di precostituirsi le premesse per un indennizzo, ritardo la presentazione di istanze quali quella in esame o di ammissione a benefici.
Ancora la Corte della riparazione ha posto in evidenza che la detenzione che legittima il diritto alla riparazione sussiste nel caso in cui sia ravvisabile una violazione da parte dell’autorità e non nel caso in cui la discrasia tra pena definitiva e pena irrogata sia conseguenza dell’esercizio di un potere discrezionale del giudice investito di specifica richiesta (Sez. 4, n.25092 del 25/05/2021, COGNOME, Rv. 281735).
Questa Corte, peraltro, (Sez. 4 n. 3382 del 22/12/2016, dep. 2017, Riva, Rv. 268958; n. 4240 del 16/12/2016, dep. 2017, Laratta, Rv. 269168) ha spiegato che fino alla rideterminazione della pena in executivis, conseguente alla sentenza n. 32 dell’11/02/2013 della Corte Costituzionale che aveva dichiarato costituzionalmente illegittimi gli art. 4 bis e 4 vicies ter del d.l. 30 dicembre 2005 n. 272 che unificava trattamento sanzionatorio in precedente differenziato previsto dal d.P.R. n. 309/90 per i reati aventi ad oggetto le c.d. droghe leggere e pesanti, a fronte di situazioni definitivamente esaurite – nel caso in esame, dunque, dopo il provvedimento del giudice dell’esecuzione e all’atto dell’emissione dell’ordine di esecuzione del 16.10.2021 – che la detenzione sofferta, sino al momento della sua cessazione era pienamente legittima e rispettosa dell’assetto normativo allora vigente.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente in questo giudizio di legittimità che liquida in euro mille.
Deciso il 9 gennaio 2025