Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 44997 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 44997 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 24/07/1971
avverso l’ordinanza del 09/05/2024 della CORTE APP.SEZ.MINORENNI di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, quale giudice della riparazione, con l’ordinanza impugnata ha respinto la domanda con la quale NOME COGNOME ha chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita nell’ambito di un procedimento penale in ordine al reato di cui agli artt. 73, 80 d.P.R. 309/90 dal quale è stato definitivamente assolto.
Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso l’interessato, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 314 cod. proc. pen.
Lamenta che la Corte territoriale abbia attribuito valore ostativo a circostanze escluse nel giudizio di merito, in quanto definite insufficienti per ritenere provata la condotta del Marino, con riferimento alle conversazioni in cui il Marino adotta linguaggio cifrato o criptico.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Si è costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze, resistendo al ricorso e chiedendone la reiezione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
La Corte territoriale ha correttamente esaminato la questione sottoposta al suo esame secondo i parametri richiesti dalla disposizione di cui all’art. 314 cod. proc. pen., valutando in maniera congrua e logica, e con l’autonomia che è propria del giudizio di riparazione, la ricorrenza di una condotta ostativa determinata da dolo o colpa grave, avente effetto sinergico rispetto all’emissione della misura custodiale nei confronti dell’interessato.
È infatti noto che, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, la colpa che vale ad escludere l’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può insorgere, grazie all’efficienza sinergica di un errore dell’Autorità giudiziaria, una misura restrittiva della libertà personale. Il concetto di colpa che assume rilievo
quale condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo non si identifica con la “colpa penale”, venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’id quod plerumque accídit, possa aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell’Autorità giudiziaria. Anche la prevedibilità va intesa in senso oggettivo, quindi non come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come prevedibilità secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo ad un intervento coercitivo dell’autorità giudiziaria. Pertanto, è sufficiente considerare quanto compiuto dall’interessato sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico dell’indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto di equilibrio tra gli antagonisti interess in campo.
Va inoltre considerato che il giudice della riparazione, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, co valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013 – dep. 2014, Maltese, Rv. 25908201. La valutazione del giudice della riparazione, insomma, si svolge su un piano diverso, autonomo rispetto a quello del giudice del processo penale, ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 1996, COGNOME ed altri, Rv. 20363801).
Da questo punto di vista, l’ordinanza impugnata ha fornito un percorso logico motivazionale intrinsecamente coerente e rispettoso dei principi di diritto connessi all’istituto della riparazione.
La Corte territoriale, valutando autonomamente il materiale probatorio utilizzato dai giudici di merito, ha fondatamente ritenuto che il comportamento del Marino, pur ritenuto privo di rilevanza penale, abbia contribuito colposamente in maniera decisiva all’emissione della misura cautelare.
Allo scopo sono stati valorizzati specifici comportamenti del Marino, non esclusi dal giudice della cognizione, consistiti nell’aver intrattenuto con il padre numerose conversazioni telefoniche nel corso delle quali si recava da Napoli a
Benevento per “andare a tagliare i capelli” ad un amico del padre; inoltre, durante le conversazioni egli aveva adottato un linguaggio cifrato o criptico, parlando clt “lampadine” o “plafoniere”, termini in nessun modo riferiti all’effettiva consegna dei beni indicati. Osserva la Corte distrettuale che nel successivo interrogatorio del Marino, egli aveva affermato che si era recato da Napoli a Benevento per tagliare i capelli ad una persona, peraltro non presente, insieme con il padre. Tale dichiarazione è stata logicamente ritenuta mendace, dal momento che in sede di cognizione è stato accertato che il riferimento al taglio dei capelli che padre e figlio avevano utilizzato nelle conversazioni intercettate costituiva utilizzo di linguaggio cifrato per occultare il riferimento ai beni illeciti oggetto della consegna. In ta modo – osserva la Corte territoriale – l’istante ha indotto il giudice della cautela a ritenere ragionevolmente, per quanto erroneamente, che se l’istante mentiva sul significato delle parole utilizzate nelle conversazioni intercettate, ciò dipendeva dal fatto che egli era consapevole che l’oggetto della consegna organizzata dal padre e da lui eseguita fosse costituita da beni illeciti, e che il mendacio costituiva uno strumento di difesa, nella consapevolezza della propria responsabilità.
Al riguardo, va richiamato l’insegnamento secondo cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, anche a seguito della modifica dell’art. 314 cod. proc. pen. ad opera dell’art. 4, comma 4, lett. b), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, il mendacio dell’indagato in sede di interrogatorio, ove causalmente rilevante rispetto alla determinazione cautelare, costituisce una condotta volontaria equivoca rilevante ai fini dell’accertamento del dolo o della colpa grave ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione, posto che la falsa prospettazione di situazioni, fatti o comportamenti non è condotta assimilabile al silenzio serbato nell’esercizio della facoltà difensiva prevista dall’art. 64, comma 3, lett. b) cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 24608 del 21/05/2024, Rv. 286587 – 01). Inoltre, costituisce colpa grave, idonea a impedire il riconoscimento dell’equo indennizzo, l’utilizzo, nel corso di conversazioni telefoniche, da parte dell’indagato ),di frasi in “codice”, effettivamente destinate a occultare un’attività illecita, anche se diversa da quella oggetto dell’accusa e per la quale fu disposta la custodia cautelare (Sez. 4, n. 3374 del 20/10/2016 – dep. 2017, Rv. 268954 – 01).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
Il ricorrente, quale parte soccombente, va anche condannato alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore del Ministero resistente, liquidate in mille euro.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processual nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dal Ministero resistente, liquida in euro mille.
Così deciso il 19 novembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidepte