Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6823 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6823 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 14/12/1998
avverso l’ordinanza del 26/02/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette/septe le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Catanzaro ha rigettato l’istanza di riparazione proposta da NOME COGNOME per la dedotta ingiusta detenzione patita dal 5/2/2017 al 21/6/2008, nell’ambito di un procedimento penale nel quale era chiamato a rispondere dei reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 12, comma 3 lett. a) e b), comma 3-bis e 3-ter lett. b) d. Igs. n. 286/1998.
Da tali accuse il richiedente era assolto con sentenza della Corte di appello di Catanzaro, divenuta irrevocabile in data 8/11/2018.
Il giudice della riparazione ha individuato comportamenti ostativi al riconoscimento dell’indennizzo, ponendo in evidenza il contenuto delle dichiarazioni di due migranti, appena sbarcati da un gommone proveniente dalle coste libiche ed approdato nel porto di Vibo Valentia, sul quale viaggiava anche il richiedente, i quali avevano concordemente indicato in NOME COGNOME il timoniere dell’imbarcazione.
Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, a mezzo di difensore, deducendo inosservanza o erronea applicazione della legge penale, vizio della motivazione con riferimento agli artt. 314 e 315 cod. proc. pen.
L’ordinanza della Corte d’appello di Catanzaro, lamenta la difesa, si basa soltanto sulle testimonianze di due soggetti presenti sull’imbarcazione (COGNOME NOME e NOME). La stessa Corte d’appello nell’ordinanza impugnata, riconoscendo la scarsa conducenza delle suddette dichiarazioni, afferma che “nessuno dei testi aveva fornito indicazioni utili in merito alle fasi dell’organizzazione del viaggio e su come l’imputato si sia trovato al timone del gommone”.
Dal provvedimento della Corte d’appello di Catanzaro non è dato comprendere in cosa sia consistito il comportamento suscettibile di integrare una colpa grave in capo al Camara; inoltre, le dichiarazioni dei testi sarebbero incomplete, perché nulla hanno riferito costoro in ordine al coinvolgimento del ricorrente nella fase organizzativa del viaggio.
Il ragionamento seguito dal giudice della riparazione non sarebbe conforme ai principi affermati in sede di legittimità, in base ai quali, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, il comportamento colposo serbato dal richiedente deve essere riferito ad un atteggiamento dell’indagato.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il Ministero resistente, costituito a mezzo dell’Avvocatura di Stato, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, infondato, deve essere rigettato. Invero, le ragioni giustificatrici del diniego del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione non sono meritevoli di essere censurate in questa sede.
L’art. 314 cod. pen., come è noto, prevede, al primo comma, che “chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che è dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995 dep. il 1996, COGNOME ed altri, Rv. 203637).
La nozione di colpa, ricavabile invece dall’art. 43 cod. pen., impone, nel giudizio riparatorio, di ritenere colposa quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso.
Si è quindi precisato, in plurime pronunce, che il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione non spetti se l’interessato abbia tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare occasioni di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria o se abbia serbato una condotta che, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, sia stata idonea a determinare una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione del provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, COGNOME, Rv. 242034).
Ancora le Sezioni Unite hanno affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, COGNOME, Rv. 247664).
Quanto ai rapporti con il giudizio di cognizione, si è precisato che il giudice della riparazione, ai fini dell’accertamento della sussistenza della colpa grave (o del dolo) dell’interessato, pur dovendo operare eventualmente sullo stesso materiale probatorio acquisito dal giudice della cognizione, “deve seguire un iter logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se esse si sono poste come fattore condizionante, anche nel concorso dell’altrui errore, alla produzione dell’evento ” (cfr. Sez. U, Sentenza n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606 – 01). Il giudizio d’idoneità delle condotte a indurre in errore il giudice deve essere valutato “ex ante” (Sez. 4, n. 1705 del 10.3.2000, dep. il 12.4.2000, Rv. 216479).
2. Da quanto precede discende che è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziaria o probante, ma in quanto idonei a determinare, in ragione di comportamenti connotati da macroscopica negligenza od imprudenza, l’adozione della misura, con l’unico limite rappresentato dal fatto che il giudice della riparazione non può ritenere accertati fatti esclusi in sede di cognizione od escludere circostanze riconosciute in tale sede. Infatti il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione,
impegnando piani di indagine diversi, che possono condurre a conclusioni differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti (cfr. Sez. 4, n. 12228 del 10/1/2017, Rv. 270039).
Ciò premesso, nel provvedimento impugnato è stato congruamente e logicamente posto in evidenza come vi siano, nella condotta serbata dal ricorrente, elementi di colpa grave ostativi al riconoscimento della riparazione.
Se è vero che il giudice della riparazione non possa ritenere l’esistenza di fatti esclusi dal giudice del processo, ben può rivalutare – non ai fini dell’accertamento della penale responsabilità, ma ai fini dell’accertamento del diritto alla riparazione – ogni circostanza utile per le valutazioni da compiersi in materia.
Correttamente, dunque, l’ordinanza ha posto a fondamento del diniego il fatto che il richiedente avesse condotto l’imbarcazione per tutta la durata della traversata, risultando tale circostanza giudizialmente accertata attraverso le dichiarazioni convergenti dei migranti trasportati, ritenuti attendibili dai giudici della cognizione.
Non è superfluo aggiungere, in risposta alle doglianze difensive, come le dichiarazioni convergenti dei due testimoni debbano essere calate nel contesto nel quale furono rese agli inquirenti nella immediatezza dello sbarco. Sfugge alla difesa la circostanza, posta in rilievo dal giudice della riparazione, che il richiedente si trovasse a bordo del gommone proveniente dalla coste libiche quando avvenne lo sbarco nel porto di Vibo Valentia e furono avviate le indagini della Guardia Costiera per comprendere l’identità degli “scafisti”. Il comportamento gravemente imprudente serbato dal richiedente, che ha dato luogo all’intervento dell’Autorità giudiziaria in seguito alla raccolta delle informazioni degli occupanti del gommone, comprende necessariamente anche il fatto della sua presenza a bordo dell’imbarcazione nella circostanza di che trattasi.
Oltre a ciò i giudici della riparazione hanno sottolineato la inverosimiglianza delle spontanee dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso del dibattimento, avendo egli affermato che i testimoni che lo accusavano di essere il conducente dell’imbarcazione erano, in realtà, gli “scafisti”.
Nella fattispecie in esame il giudice della riparazione, con motivazione che non entra in conflitto con quanto statuito dai giudici della cognizione, esaminando sotto altro profilo il comportamento tenuto dal richiedente, ha logicamente ritenuto che esso fosse idoneo ad ingenerare nell’Autorità
procedente la ragionevole, seppur erronea convinzione della sua partecipazione nell’attività illecita contestata, individuando a carico dell’imputato assolto una condotta gravemente colposa, ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, desunta dalla sua presenza sul barcone dei migranti, dalle dichiarazioni dei testimoni – ritenuti attendibili dai giudici della cognizione – che gli attribuivano il ruolo di conducente del gommone e dalla inverosimiglianza di quanto asserito nel corso delle spontanee dichiarazioni. Tale motivazione, sorretta da logiche argomentazioni, risponde ai criteri ermeneutici sopra richiamati ed è pertanto immune dalle censure elevate nel ricorso.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente che si liquidano in complessivi euro mille oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dal Ministero resistente che liquida in complessivi euro mille oltre accessori di legge. In Roma, così deciso il 5 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente