Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 14816 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 14816 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a ISOLA DI CAPO RIZZUTO il 26/01/1972
avverso l’ordinanza del 26/02/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, nella persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., presentata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento alla detenzione da costui subita (dal 15 maggio 2017 al 16 gennaio 2018 in stato di custodia cautelare in carcere e dal 17 gennaio 2018 al 25 settembre 2019 in regime di arresti domiciliari) in un procedimento penale nel quale gli GLYPH era stato GLYPH contestato GLYPH il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. commesso in Isola di Capo Rizzuto per aver fatto parte di un’associazione ‘ndranghetista.
1.1.Secondo l’accusa, COGNOME insieme ad altri, aveva agito in seno a detta associazione quale “imprenditore-fatturista”, in quanto “si era prestato a vendere, secondo le indicazioni dei plenipotenziari della consorteria, fatturazioni per operazioni inesistenti”; quale intraneo alla cosca aveva fornito “operazioni contabili artificiose a favore del gruppo economico inerente la RAGIONE_SOCIALE” e aveva intessuto una fitta rete di transazioni economico finanziarie con gli attori gerenti l’appalto e/o il subappalto del Cara senza plausibili ragioni commerciali”.
A seguito del fermo effettuato il 15 maggio 2017, COGNOME era stato sottoposto dal G.I.P. del Tribunale di Crotone alla misura della custodia cautelare in carcere. Il G.I.P. presso il Tribunale di Catanzaro, cui gli atti erano stati trasmessi ex art 27 cod. proc. pen., GLYPH aveva confermato l’ordinanza di applicazione della misura cautelare. Il Tribunale di Catanzaro GLYPH aveva sostituito la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari e, in data 25 settembre, aveva sostituto la misura detentiva con quella dell’obbligo di dimora nel comune di residenza.
Con sentenza del 24 giugno 2020, irrevocabile, il Tribunale di Crotone aveva assolto Muto dal reato a lui ascritto per non aver commesso il fatto.
1.2. La Corte della riparazione ha ravvisato la condizione ostativa della colpa grave, consistita nei contatti intrattenuti da COGNOME con coimputati, partecipi della medesima associazione, aventi ad oggetto una circolazione anomala di assegni ideata come mezzo di finanziamento del sodalizio.
Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso NOME COGNOME formulando un unico motivo con cui ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della condizione ostativa della colpa grave.
Il difensore osserva che la Corte della riparazione aveva valorizzato alcune conversazioni intercorse fra COGNOME e i coimputati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME partecipi dell’associazione, aventi ad oggetto un circolazione
anomala di assegni, ideata come mezzo di finanziamento del sodalizio, senza, tuttavia, spiegare in che termini dette emergenze potessero essere poste in rapporto di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato. L’ordinanza adottata ex art. 27 cod. proc. pen. dal G.I.P. aveva indicato, quale compendio indiziario, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia e l’emissione, con utiliz della partita iva della madre, della fattura di euro 780.000, rispetto alla quale Muto in sede di interrogatorio di garanzia aveva preso le distanze e che lo stesso giudice del merito nella sentenza di assoluzione aveva affermato non essere con certezza a lui riconducibile, ” ben avendo potuto gli altri utilizzare abusivamente e fuori da ogni controllo di Muto la partita Iva della madre di lui per ottenere una erogazione del denaro”. Dunque, gli elementi valorizzati dal giudice della cautela erano differenti e non si collegavano a quanto emerso nelle conversazioni che il giudice della riparazione aveva elencato a supporto della esistenza della condotta gravemente colposa. I contatti valorizzati dalla Corte sono stati ritenuti irrilevanti non solo dal giudice del merito, ma addirittura dal giudice della cautela, sicché non poteva dirsi che avessero avuto efficacia sinergica rispetto all’adozione della misura.
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il Ministero della Economia e delle Finanze, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, ha depositato una memoria GLYPH con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile o in subordine rigettarsi il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
La Corte della riparazione ha riepilogato gli indizi che il G.I.P. aveva posto a fondamento della misura e in particolare:
-le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME secondo il quale, per il tramite di un supermercato di Isola di Capo Rizzuto intestato alla madre, NOME COGNOME, ma da lui gestito, COGNOME aveva venduto a NOME COGNOME fatture per operazioni inesistenti: in particolare, attraverso il suddetto mininnarket, fornendo prodotto alimentari ai subappaltatori del centro profughi, aveva emesso fatturazioni di importo superiore alla reale fornitura e in tal modo aveva dato modo a COGNOME e altri imprenditori di sovvenzionare la cosca COGNOME;
gli accertamenti svolti dal Nucleo di PT della GdF di Crotone, relativi alla ditta individuale di NOME COGNOME, cessata nell’anno 2005, da cui era emerso che, a nome di tale ditta, era stata emessa la fattura n. 222 del 31 dicembre 2009 per un ammontare di 780.000 euro, risultata falsa;
alcune intercettazioni intercorse fra COGNOME e NOME COGNOME indagato quale partecipe della medesima associazione, dal contenuto non chiaro.
A proposito di tale ultimo elemento, la Corte ha richiamato alcune conversazioni, riportate per esteso alle pagg 835 e ss. del decreto di fermo e trascritte anche nell’ordinanza impugnata, dalle quali era emerso il coinvolgimento di COGNOME in vicende relative alla compravendita di blocchetti di assegni. Tale certa e inconfutabile cointeressenza fra COGNOME e COGNOME e altri coimputati, secondo la Corte, valeva ad integrare la condizione ostativa della colpa grave, poiché in un più ampio contesto associativo che prevedeva, fra le varie modalità di finanziamento della cosca, proprio la circolazione anomala di assegni, la disponibilità di Muto ad operazioni bancarie di dubbia legittimità, per come si evince dalle telefonate sopra menzionate, si prestava ad essere interpretata come indizio di complicità e/o connivenza.
3.La censura del ricorrente, secondo cui la Corte avrebbe valorizzato circostanze fattuali che il giudice della cautela non aveva preso in considerazione, è infondata.
3.1.Vero è che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilir con valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese Rv. 259082). La valutazione deve ricalcare quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (cfr. Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv.247663). Il giudice della riparazione, dunque, deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purché la loro utilizzabilità non s stata espressamente esclusa in dibattimento (Sez. 4 n. 19180 del 18/2/2016,
COGNOME, Rv. 266808) e apprezzare, in modo autonomo e completo, condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti ovvero anche condotte sorrette da dolo, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, COGNOME NOME COGNOME, Rv. 276458).
Più in particolare, venendo al tema sollecitato dal ricorso, il giudice della riparazione, in forza del meccanismo causale che governa la condizione ostativa, deve verificare che la condotta del soggetto istante abbia avuto “efficacia sinergica” rispetto al provvedimento restrittivo, ovvero che la stessa, creando l’apparenza del reato per cui si procede, sia stata causa o concausa dell’intervento dell’autorità giudiziaria. Sotto tale profilo, si è affermato che la condizione ostativa non può essere integrata dalla commissione di illeciti diversi da quelli per cui sia stata subita la detenzione, non sussistendo in tal caso il nesso eziologico fra il comportamento dell’interessato e la sua privazione della libertà, conseguente a un provvedimento del giudice determinato da un errore cui quel comportamento abbia dato causa. In altri termini non è sufficiente rinvenire nella condotta del richiedente elementi che creino apparenza di un qualsiasi reato, ma occorre che la condotta colposa abbia creato l’apparenza del reato per il quale è stato adottato il provvedimento restrittivo (Sez. 4 , n. 10195 del 16/01/2020, COGNOME, Rv. 278645): solo qualora sussista un apprezzabile collegamento causale tra la condotta e la custodia cautelare, in relazione sia al suo momento genetico sia al suo mantenimento, potrà essere ragionevolmente escluso il riconoscimento del diritto all’equa riparazione (Sez. 3, n. 45593 del 31/01/2017, dep. 2017, COGNOME, Rv. 271790 – 01).
3.2 A tali principi si è conformata la Corte della riparazione, che ha ravvisato la condizione ostativa in comportamenti già considerati dal G.I.P.: il provvedimento applicativo della misura cautelare (come affermato nell’ordinanza impugnata: pag. 5), fra gli elementi di riscontro estrinseco rispetto alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, aveva menzionato (oltre alla falsa fattura, la cui riconducibilità al ricorrente era stata messa in dubbio dalla sentenza assolutoria) anche le conversazioni di COGNOME con NOME COGNOME, partecipe della medesima associazione, da cui era emerso un suo coinvolgimento nella compravendita di blocchetti di assegni: secondo la prospettazione della Corte della riparazione (avversata, ma non anche validamente confutata dal ricorrente), tale circolazione anomala di assegni era stata indicata dal giudice della cautela come una delle modalità, in senso lato economiche, in cui si era estrinsecato il contributo offerto da COGNOME alla vita dell’associazione per la quale era indagato.
I giudici della riparazione, dunque, hanno dato rilievo a comportamenti che la sentenza assolutoria non aveva smentito nel loro accadimento fattuale e che il provvedimento cautelare aveva indicato come valevoli a fondare il giudizio sulla sussistenza della gravità indiziaria.
Al rigetto del ricorso segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che appare congruo liquidare in complessivi euro mille.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in complessivi euro mille.