Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 7011 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 7011 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 30/01/1965
avverso l’ordinanza del 06/12/2018 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di Appello di Napoli, con ordinanza assunta in data 6 dicembre 2018 e depositata il giorno 9 luglio 2024, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata dall’odierna ricorrente COGNOME NOMECOGNOME tramite il proprio procuratore speciale, in relazione alla detenzione in carcere da questa sofferta dalla data del 26 febbraio 2007 al 19 Aprile 2010 allorquando la stessa veniva assolta dal Tribunale di Napoli dai reati di partecipazione all’associazione di stampo camorristico e dai delitti di estorsione e usura, mentre veniva riconosciuta responsabile del reato di cui all’art.12 quinquies D.L. n.306/82 con contestuale declaratoria di perdita di efficacia della misura cautelare. Sentenza confermata dal giudice di appello.
2. Il giudice della riparazione assume che ricorre la condizione impeditiva della colpa grave, che aveva costituito causa della detenzione, consistita in condotte extraprocessuali gravemente colpose, non escluse neppure dal giudice dell’assoluzione, che emergevano.in particolare ,da intercettazioni telefoniche e ambientali, con particolare riferimento ai colloqui captati presso il carcere ove il marito COGNOME NOME, riconosciuto capo dell’omonimo sodalizio camorristico, era recluso, da cui emergeva un ruolo di supporto, collegamento ed intermediazione tra la COGNOME e gli altri sodali, anche quale portatrice di informazioni, ambasciate e prescrizioni che provenivano dal marito, nonché dalle relazioni intercorse tra la stessa e le persone offese, le quali avevano ricevuto dei prestiti verosimilmente dall’organizzazione criminale e, ancor prima dalla stessa COGNOME, dalle quali emergeva una interessenza della ricorrente nella gestione dei rapporti economici che, sebbene diretta a favorire la dilazione dei pagamenti dei debitori, denotava l’interesse della ricorrente alla precisazione delle posizioni debitorie, nonché al puntuale pagamento delle rate convenute, comprensive degli interessi I rc pattuiti. Il complessivo atteggiarsi dei rapporti/02 il COGNOME ed alcuni dei sodali dell’organizzazione, il linguaggio criptico, allusivo e segreto che manteneva nelle interlocuzioni telefoniche e ambientali, l’interfacciarsi con taluni dei sodali e con le persone offese nel trattare questioni economiche dal contenuto oscuro e apparentemente illecito,
circostanze queste non escluse dal giudice dell’assoluzione, a prescindere dalla riconosciuta penale irrilevanza di tali comportamenti, costituivano espressione di apparente contiguità con le dinamiche associative, che non si esauriva in relazioni meramente familiari e domestiche con il marito, ma tracimava in un vasto ventaglio di interferenze nella attività illecita del sodalizio, tale da giustificare l’intervento preventivo dell’autorità giudiziaria.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia e procuratore speciale, NOMECOGNOME la quale ha articolato due motivi di ricorso.
3.1 Con il primo denuncia violazione di legge processuale ai sensi dell’art.178 lett.a) cod.proc.pen., assumendo la nullità dell’ordinanza impugnata per difetto del presupposto della capacità del giudice che ha partecipato alla deliberazione quale relatore e presidente del collegio giudicante, dott.ssa NOME COGNOME la quale, al momento della deliberazione, non aveva capacità giurisdizionale in ragione di collocamento a riposo per limite di età, maturato quantomeno in epoca anteriore al 31 dicembre 2023, per essere nata in data 12 Maggio 1953 e per avere pertanto raggiunto il limite massimo per la quiescenza in ragione del raggiungimento del settantesimo anno di età.
A tale proposito evidenzia che, trattandosi di procedimento in camera di consiglio, il momento deliberativo non poteva coincidere con la data della udienza in cui il collegio si era riservato di provvedere, in assenza di una verbalizzazione che richiamasse il momento deliberativo, ovvero della redazione di un dispositivo, ma andava ricondotto al momento in cui il provvedimento era stato deliberato mediante deposito dell’ordinanza (cioè, la data del 9 luglio 2024). Richiama sul punto giurisprudenza di legittimità che confortava le suddette prospettazioni (sez.1, n.7604 del 21/01/2003, COGNOME, Rv.223452) e allega verbale della udienza in camera di consiglio del 6 dicembre 2018 da cui non risultava l’assunzione di alcuna decisione sulla domanda riparatoria.
3.1 Con una seconda articolazione assume violazione di legge, in relazione all’art.125, comma 3 cod.proc.pen. per motivazione apparente con riferimento al riconoscimento della colpa grave ostativa alla riparazione; nonché omessa motivazione rispetto al
devoluto, motivazione apparente e contraddittoria rispetto agli atti del procedimento costituiti dalle sentenze di merito nel processo di cognizione e motivazione manifestamente illogica.
Assume la ricorrente che il provvedimento impugnato, a fronte della duplice pronuncia assolutoria, non era stato in grado di isolare alcun comportamento gravemente colposo tenuto dalla PICCOLO in relazione a condotte materiali da costei assunte rispetto alle persone offese dei reati di estorsione Ot , usura. In relazione al delitto associativo assume che il giudice della riparazione aveva fornito una diversa interpretazione delle intercettazioni indizianti, sostituendosi del tutto surrettiziamente alle conclusioni delle pronunce assolutorie che avevano sostanzialmente iwrai . a tematiche meramente familiari il contenuto delle intercettazioni acquisite ed omettendo di considerare il tenore di conversazioni del tutto favorevoli alla dimostrazione della estraneità della ricorrente alle dinamiche associative, nonché eludendo gli argomenti dei giudici di merito che avevano escluso l’esistenza di una prova sulla riconducibilità al clan delle questioni economiche dibattute nelle conversazioni captate, sovrapponendo una autonoma ma illegittima valutazione a quella operata dai giudici di merito.
Evidenzia che la intervenuta condanna per la ipotesi di cui all’art.512 bis c.p. non poteva spiegare alcun rilievo all’interno del giudizio riparatorio laddove nessuna cautela era stata disposta in relazione a tale reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo risulta inammissibile in quanto generico e privo del carattere dell’autosufficienza. Sotto un primo profilo da nessun elemento allegato al ricorso è indicata la data di collocazione riposo della presidente del collegio, la quale ha provveduto altresì ad estendere il provvedimento impugnato, né tale informazione è acquisita agli atti del processo, così che sarebbe stato onere da parte del ricorrente di allegare il decreto ministeriale di collocazione in quiescenza del magistrato al fine di riscontrare l’eccezione di incapacità del giudice al momento del deposito del provvedimento. Sotto questo profilo va ribadito che in tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, d. Igs. 6 febbraio 2018, n.
11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (sez.2, n.25164 del 8/05/2019, COGNOME, Rv276432). Sotto diverso profilo, esaminato altresì il verbale della udienza in camera di consiglio del 6 dicembre 2018 allegato al ricorso, pur in presenza di provvedimento assunto a seguito di procedimento camerale, non è possibile condividere la tesi difensiva secondo cui il momento della deliberazione debba essere fatta coincidere con la data del deposito del provvedimento (ad oltre quattro anni dalla camera di consiglio), momento in cui il provvedimento, che costituisce la manifestazione argomentata della decisione assunta in camera di consiglio, viene resa pubblica ed ostensibile ai soggetti interessati anche ai fini dell’impugnazione, risultando al contrario del tutto logico che la deliberazione sia intervenuta, in seduta collegiale, nella stessa data in cui si è svolta l’udienza in camera di consiglio alla presenza delle parti nel quale il collegio si era riservato la decisione in accordo con la giurisprudenza relativa alla pronuncia di sentenza (sez.5, n.17795 del 2/03/2017, S., Rv.26920; sez.3, n.4692 del 12/09/2019, COGNOME, Rv.278408).
2. Il secondo motivo di ricorso é infondato e deve essere rigettato.
Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione il sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo (v. da ultimo, Sezioni unite, 28 novembre 2013, n. 51779, Nicosia).
2.1. L’art. 314 comma 1 c.p.p. prevede al primo comma che “chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
2.2. In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, rappresenta causa impeditiva all’affermazione del diritto alla
riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto questa sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, COGNOME, Rv. 226004).
3. In linea generale, va ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, al fine di stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, onde accertare – con valutazione necessariamente “ex ante” e secondo un iter logicomotivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale .
3.1 Ai medesimi fini, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purchè la loro utilizzabilità non sia stata espressamente esclusa in dibattimento (cfr. sez. 4 n. 19180 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266808) alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione (sez.4, n.41396 del 15.9.2016, Piccolo, Rv.268238).
Ciò premesso il giudice territoriale si è del tutto uniformato a tali principi, con una motivazione resistente alle censure mosse dalla parte ricorrente. Coerentemente alle risultanze del giudizio assolutorio ha provveduto a valutare, ai fini di accertare la ricorrenza della condizione impeditiva di cui all’art.314 comma 1 ultima parte cod.proc.pen., tutti gli aspetti della condotta tenuta dalla PICCOLO nel contesto investigativo che ha originato l’adozione del provvedimento restrittivo in sede di indagini preliminari, considerando la portata gravemente indiziante costituita dalle interlocuzioni telefoniche con COGNOME NOME, capo clan della locale cosca “Pa n ico”.
4.1 Se è vero che i collegamenti familiari e di affari con un influente capo clan della criminalità campana non sono stati riconosciuti idonei a integrare il reato di partecipazione nell’associazione criminosa, in quanto non è stato accertato lo stabile inserimento della COGNOME all’interno del sodalizio, le stesse hanno assunto rilievo quale ipotesi di colpa grave, sia in termini di contiguità alla organizzazione criminale, attraverso il collegamento della COGNOME con il marito (come rappresentato in particolare, dalle riprese audio visive degli incontri all’interno del Carcere di Vibo Valentia), sia in ragione delle relazioni intercorse con taluni dei sodali dell’organizzazione (Costa), sia in ragione delle operazioni eseguite dalla COGNOME, per conto del marito recluso, in una serie di attività finanziarie che lo vedevano impegnato nel settore dell’usura e delle estorsioni, facendosi la ricorrente promotrice di ambasciate e di comunicazioni provenienti dal PANICO, essa stessa interloquendo con il COSTA anche nella prospettiva della restituzione di somme concesse in prestito.
Invero il comportamento ostativo può essere integrato anche dalla condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità (cfr. sez. 4 n. 45418 del 25 Novembre 2010, Carere, Rv. 249237; n. 37528 del 24 giugno 2008, Rv. 241218. Da ultimo n.4113 del 13/01/2021, NOME COGNOME, Ry.280391, ove la Corte ha ritenuto immune da censure l’ordinanza che aveva ravvisato la colpa grave, ostativa alla riparazione per l’ingiusta detenzione subita per il reato di cui all’art. 73 t.u. stup., nella condotta dell’instante consistita nell’intrattenere rapporti economici con soggetto dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti )} .
4.2. A tale proposito non coglie nel segno il denunciato vizio dedotto dalla difesa della ricorrente ,secondo cui violerebbe la regola della ingiusta detenzione, e di effettività della tutela riparatoria, la circostanza che alla ricorrente siano contestate, come addebiti colposi, le medesime condotte già valutate dal giudice dell’assoluzione per escludere la sua responsabilità. Invero è stato affermato dal S.C. che la valutazione del comportamento del richiedente la riparazione, integrante la colpa grave ostativa alla liquidazione della indennità per la ingiusta detenzione, va effettuata ex ante a prescindere dall’esito del giudizio di merito, atteso che, se il giudizio riparatorio si limitasse a tale accertamento, si
stempererebbe in una valutazione paragonabile a quella del giudice del riesame, sulla ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza, senza considerare che i fatti posti all’esame del giudice della cautela, potrebbero risultare incompleti, erronei, contraddittori, smentiti da emergenze di senso contrario o anche falsi. Invero la valutazione riservata al giudice della riparazione non ha per oggetto né la sentenza assolutoria, che ha definito il giudice di merito, né la misura cautelare che ha disposto la privazione della libertà personale dell’indagato, bensì la condotta tenuta dal cautelato alla luce delle emergenze acquisite nel corso delle indagini, ma sempre che tali emergenze non siano state escluse o neutralizzate nel giudizio assolutorio.
4.3 La condotta da cui scaturisce il rimprovero di colpa, e quindi il fatto preclusivo al riconoscimento dell’indennizzo, può infatti consistere nel fatto già esaminato dal giudice penale dell’assoluzione e da questi ritenuta penalmente irrilevante, stante il diverso accertamento demandato al giudice della riparazione (S.U., n.32383 del 27 Maggio 2010, COGNOME). Conseguentemente anche la stessa condotta che integra l’imputazione ascritta, ritenuta penalmente irrilevante dal giudice dell’assoluzione, può giustificare l’esclusione della riparazione in quanto connotata dai richiesti profili di inescusabile leggerezza e macroscopica imprudenza come nella specie (da ultimo sez.4, n.34438 del 2/07/2019, COGNOME, Rv.276859; n.2145 del 13/01/2021, COGNOME, Rv.280246 per ipotesi di collegamenti, nel primo caso personali e nel secondo caso economici, con realtà criminose associative), soprattutto allorquando le conclusioni del giudice dell’assoluzione si fondino sull’ermeneusi dell’oltre ogni ragionevole dubbio, che lascia pertanto spazio ad un diverso criterio valutativo da parte del giudice della riparazione.
5. Il giudice distrettuale ha specificamente indicato una serie di elementi di fatto (desunti da intercettazioni ambientali e telefoniche, dichiarazioni di collaboratori di giustizia, interlocuzioni criptiche e segrete in cui l’oggetto del dialogo era costituito da oscure relazioni finanziarie), non esclusi dalle pronunce assolutorie, che indicavano la stessa ricorrente quale soggetto interessato alla restituzione di rilevanti somme di denaro date in prestito, presupponevano collegamenti e relazioni tra la PICCOLO con alcuni degli indagati appartenenti all’associazione, ai quali venivano riportate le richieste e le ambasciate del marito capoclan, nonchè la ricorrenza di
interessenze economiche e patrimoniali strettamente intrecciate a quelle del sodalizio gestito dal marito, tali da non potersi confinare in un ambito strettamente familiare e domestico, ma che assumono rilievo ostativo alla riparazione, in ragione delle frequentazioni ambigue e malavitose con soggetti appartenenti a clan camorristico.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, le cui difese sono risultate pertinenti ed utili ai fini della presente decisione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della rifusione delle spese sostenute dal ministero resistente che liquida in euro mille.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 novembre 2024
Il consigliere estensore
Il Presidente