Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7375 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7375 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Reggio Calabria il 06-05-1992, avverso l’ordinanza del 11-04-2024 della Corte di appello di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; letta la memoria trasmessa nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze dall’Avvocatura generale dello Stato, in persona dell’Avvocato dello Stato NOME COGNOME con cui è stato chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 9 giugno 2022, la Corte di appello di Reggio Calabria rigettava l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento alla detenzione da questi patita nell’ambito di un procedimento penale in cui gli erano stati contestati i reati ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e 416 bis cod. pen., nonché quelli di tentate lesioni pluriaggravate e detenzione e porto in luogo pubblico di pistola, reati dai quali il richiedente era stato poi assolto con sentenze irrevocabili tra primo grado (reato ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990) e secondo grado (tutti gli altri reati).
In accoglimento del ricorso proposto di COGNOME la Quarta Sezione della Corte di cassazione, con la sentenza n. 19966 del 14 marzo 2023, annullava con rinvio l’ordinanza della Corte territoriale, ravvisandovi un vizio di motivazione rispetto alla valutazione della colpa grave ostativa al riconoscimento dell’indennizzo .
In sede di rinvio, con ordinanza dell’11 aprile 2024, la Corte di appello di Reggio Calabria rigettava di nuovo l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione.
Avverso la seconda ordinanza della Corte di appello reggina, COGNOME tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con il quale sono stati dedotti il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di una condotta gravemente colposa ex art. 314, comma 1, cod. proc. pen. e la violazione degli art. 623 e 627 cod. proc. pen. e 173, comma 2, disp. att. cod. proc. pen.; si evidenzia in particolare che il giudice del rinvio, discostandosi dalle linee guida della sentenza rescindente, ha replicato la lacuna motivazionale della prima ordinanza, già censurata dal giudice di legittimità, limitandosi a valorizzare due intercettazioni etero-accusatorie in cui il ricorrente non è stato neanche nominato, venendo indicato solo in base alle sue fattezze fisiche, non avendo i giudici del rinvio altresì considerato che dai predetti dialoghi si evince che COGNOME non si era messo a disposizione di quei soggetti, dovendosi escludere quindi che il contegno manifestato dal richiedente fosse tale, secondo l’ id quod plerumque accidit, da creare una situazione di allarme sociale, tanto più ove si consideri che, contrariamente a quanto prescritto nella sentenza di annullamento, non è stata accertata la consapevolezza in capo a COGNOME del ruolo apicale di COGNOME il quale fino al processo non aveva subito condanne e comunque non era soggetto inquadrabile nel contesto storico del gruppo Cardi-Borghetto-Zindato, non comprendendosi in ogni caso perché da una pretesa rivalsa di COGNOME nei confronti di uno degli interlocutori si debba ricavare l’esistenza di pregressi rapporti.
Né, ad avviso della difesa, può ritenersi pertinente il riferimento alla sentenza n. 28372 -2022 emessa nei confronti del coimputato COGNOME essendo il rigetto del ricorso di quest’ultimo dipeso anche dalla genericità delle doglianze sollevate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Nel circoscrivere l’oggetto della verifica sollecitata dal ricorso, occorre premettere che la Quarta Sezione di questa Corte, con la sentenza rescindente, ha evidenziato la necessità di approfondire in sede di rinvio il tema, non affrontato adeguatamente nella prima ordinanza della Corte di appello, relativo alla configurabilità della colpa grave ostativa al riconoscimento dell’indennizzo.
In particolare, è stato osservato che, con la prima decisione, il giudice della riparazione aveva valorizzato, in termini di cd. ‘frequentazioni ambigue’, la vicinanza di COGNOME a soggetti di spicco appartenenti alla cosca Caridi-BorghettoZindato, in particolare al gruppo satellite facente capo a NOME COGNOME.
Nel fare ciò, tuttavia, la Corte territoriale non aveva evidenziato la tipologia dei rapporti tra il richiedente e NOME COGNOME nulla dicendo in merito alla consapevolezza in capo a COGNOME della figura di COGNOME quale soggetto di spicco del sodalizio. A tale vizio motivazionale, rilevante sotto il profilo della condotta gravemente colposa sinergica rispetto all’intervento dell’Autorità, si aggiungeva la contraddittorietà motivazionale, nella misura in cui l’ordinanza impugnata, nel fare riferimento alla sentenza assolutoria per ricavare gli elementi esposti, ha evidenziato come dalla medesima pronuncia di assoluzione emergerebbe l’assenza di contezza della tipologia di rapporti tra il richiedente e NOME COGNOME tanto da avere in quella sede escluso la partecipazione di COGNOME al sodalizio.
Orbene, l’ordinanza resa in sede di rinvio dalla Corte territoriale risulta aver colmato le lacune argomentative rilevate dalla sentenza rescindente.
In primo luogo, la Corte di appello ha ripercorso in sintesi le vicende che hanno portato all’imposizione della misura cautelare, ricordando in proposito che il procedimento penale che ha visto coinvolto COGNOME ha riguardato la potente cosca della ‘ndrangheta reggina denominata COGNOME, operante in una porzione della zona sud di Reggio Calabria, nell’ambito della più ampia cosca Libri . In tale procedimento erano stati coinvolti anche NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali erano gravemente indiziati di aver posto in essere atti diretti in modo non equivoco a provocare lesioni pluriaggravate nei confronti di NOME COGNOME, appartenente alla consorteria, il quale era stato convocato subdolamente in un luogo isolato per consumare il fatto a mezzo di alcuni bastoni e di una pistola illegalmente detenuta e portata in luogo pubblico. Ciò è stato desunto da due eloquenti conversazioni ambientali, ossia quella del 14 ottobre 2012, intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME e quella avvenuta nel carcere di Palmi il 26 ottobre 2012 tra NOME COGNOME e il fratello detenuto.
Dai dialoghi intercettati è in particolare emerso non solo il coinvolgimento di COGNOME e di Polimeni nella vicenda, ma anche l’intento di Varano di riferire l’accaduto a NOME COGNOME, il quale, oltre a re darguire i due, li avrebbe anche ‘menati’, perché la loro condotta avrebbe potuto avere per il sodalizio effetti pregiudizievoli. Ciò posto, ha osservato la Corte di appello, in maniera non irragionevole, che il potere di COGNOME di ‘chiedere conto’ a COGNOME e a Polimeni del loro grave affronto poteva logicamente derivare soltanto da un pregresso rapporto di costoro con l’esponente del clan , circostanza di cui erano evidentemente a conoscenza anche COGNOME e COGNOME, parimenti considerati partecipi della medesima cosca.
Ora, se è vero che tale vicenda, per come riconosciuto dai giudici di merito, era inidonea a fondare un addebito associativo nei confronti di COGNOME e COGNOME, tuttavia è altrettanto innegabile che la stessa attesta il gravitare dei predetti in un ambiente di alto spessore criminale. Del resto, l’iniziativa illecita in questione, consistente in una sorta di spedizione punitiva, poteva essere concepita da COGNOME e COGNOME, solo recependo la prospettiva che gli stessi orbitassero in qualche modo nel contesto associativo, pur non potendosi definire veri e propri affiliati.
Peraltro, la verificazione del fatto storico che ha visto protagonisti COGNOME e COGNOME non è stata smentita dai giudici di merito, i quali si sono solo legittimante limitati a una differente valutazione giuridica sulla valenza dimostrativa della vicenda.
Stante la pacifica autonomia tra giudizio penale e giudizio di riparazione, ancorati a parametri valutativi differenti, i giudici del rinvio hanno ritenuto indubbio che COGNOME con la sua condotta, rivelatrice comunque di una vicinanza al sodalizio, potesse prefigurarsi un intervento dell’Autorità giudiziaria nei suoi confronti , avendo egli programmato un’azione violenta da compiere nell’ambito relazionale di appartenenti al sodalizio, di cui era evidentemente nota la caratura criminale.
L’ impostazione dell’ordinanza impugnata circa la configurabilità della colpa grave in capo a COGNOME risulta in tal senso coerente con la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, Rv. 273996 e Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, Rv. 262436), secondo cui, in tema di riparazione per l ‘ ingiusta detenzione, integra la condizione ostativa della colpa grave la condotta di chi, nei reati associativi, abbia tenuto comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità al sodalizio criminale, mantenendo con gli appartenenti all ‘ associazione frequentazioni ambigue e tali da far sospettare del diretto coinvolgimento nelle attività illecite, proprio come avvenuto nel caso di specie.
2.1. Non può sottacersi, da ultimo, che, come ricordato nell’ordinanza impugnata, la Quarta Sezione di questa Corte, con la sentenza n. 28372 del 23 giugno 2022, ha rigettato il ricorso proposto dal coimputato COGNOME avverso il provvedimento con cui era stata disattesa la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, con considerazioni in larga parte sovrapponibili all’odierno giudizio.
Anche in quel caso, infatti, era stato sottolineato che l’accertata vicinanza tra il richiedente e COGNOME era qualificabile come una ‘frequentazione ambigua’ idonea a integrare un comportamento colposo tale da escludere la riparazione, sebbene non rilevante ai fini del giudizio circa l’appartenenza dell’interessato al sodalizio .
In definitiva, come correttamente rilevato anche dal Procuratore generale, l’ordinanza resa in sede di rinvio dalla Corte di appe llo, collocandosi razionalmente nel solco tracciato dalla pronuncia rescindente, non presta il fianco alle censure difensive con cui, in termini invero non adeguatamente specifici, è stata prospettata una lettura alternativa del materiale indiziario, operazione che tuttavia non può trovare ingresso in questa sede, a fronte di un apparato motivazionale sorretto da argomentazioni non certo irrazionali e anzi coerenti con la necessaria autonomia valutativa propria del giudizio di riparazione per ingiusta detenzione.
4 . Alla stregua di tali considerazioni, stante l’infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, liquidate in complessivi euro mille.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese in favore del MEF rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che liquida in complessivi euro 1.000.
Così deciso il 13.11.2024