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Riparazione ingiusta detenzione: le bugie costano

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39142/2024, ha negato la riparazione per ingiusta detenzione a un uomo assolto dall’accusa di rapina. La decisione si fonda sul comportamento dell’imputato, che con un falso alibi (mendacio) e una reazione di fuga sproporzionata, ha contribuito con colpa grave a determinare la propria carcerazione, escludendo così il diritto all’indennizzo.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riparazione per Ingiusta Detenzione: Le Bugie all’Interrogatorio Possono Negare l’Indennizzo?

Il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione rappresenta un pilastro di civiltà giuridica, volto a compensare chi ha subito la privazione della libertà personale per poi essere riconosciuto innocente. Tuttavia, il comportamento dell’indagato può influenzare questo diritto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 39142/2024) chiarisce che fornire un falso alibi e tenere una condotta sospetta può costare caro, fino a negare l’indennizzo. Analizziamo il caso e le sue importanti implicazioni.

Il Contesto: Dalla Rapina all’Assoluzione

Un uomo veniva sottoposto a fermo e custodia cautelare con la pesante accusa di aver commesso una rapina in abitazione in concorso con altri. L’elemento principale a suo carico era il riconoscimento da parte della vittima durante le indagini preliminari.

Tuttavia, nel corso del dibattimento, la stessa vittima non è stata in grado di confermare con certezza quel riconoscimento. Di conseguenza, l’imputato è stato assolto con la formula “per non aver commesso il fatto”.

Sulla base di questa assoluzione piena, l’uomo ha presentato un’istanza per ottenere la riparazione per l’ingiusta detenzione subita. La Corte di Appello, però, ha rigettato la sua richiesta, una decisione poi confermata in via definitiva dalla Corte di Cassazione.

La Negata Riparazione per Ingiusta Detenzione: Le Ragioni della Corte

La decisione dei giudici di merito, avallata dalla Cassazione, si basa su due elementi chiave del comportamento tenuto dall’imputato, ritenuti sintomatici di una “colpa grave” che ha contribuito a causare la misura cautelare.

Il Peso del “Mendacio”: Un Alibi Falso e Inverosimile

Durante l’interrogatorio, l’indagato non si è avvalso della facoltà di non rispondere, un suo pieno diritto. Al contrario, ha fornito una ricostruzione dei suoi spostamenti che si è rivelata del tutto inverosimile e falsa. Aveva dichiarato di aver passato il pomeriggio in determinati luoghi e di aver trovato casualmente uno scooter con le chiavi inserite, per poi essere fermato in un orario incompatibile con quello della rapina denunciata.

Le indagini hanno invece dimostrato che il suo alibi non reggeva e che gli orari da lui indicati non erano compatibili con quelli dell’evento criminoso. Questo comportamento, definito tecnicamente “mendacio”, è stato considerato un fattore determinante. A differenza del silenzio, che è una strategia difensiva legittima, la menzogna attiva è vista come un tentativo di sviare la giustizia che può indurre in errore il giudice sulla necessità della custodia cautelare.

La Fuga e la Resistenza: Un Comportamento Sospetto

Il secondo elemento valorizzato dalla Corte è stata la reazione dell’uomo alla vista degli agenti di polizia. Anziché fermarsi, ha tentato la fuga e opposto resistenza, una condotta giudicata del tutto sproporzionata rispetto al semplice possesso di uno scooter rubato (reato di ricettazione). Secondo i giudici, questa reazione ha contribuito in modo significativo a creare l’apparenza di una sua responsabilità per il ben più grave reato di rapina per cui si stava indagando, rafforzando così i sospetti a suo carico.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando l’impianto logico della Corte di Appello. I giudici supremi hanno ribadito un principio fondamentale, rafforzato anche da recenti modifiche legislative (D.Lgs. 188/2021): il mendacio dell’indagato, se causalmente rilevante sulla decisione di applicare la custodia, incide sull’accertamento della colpa grave che osta al riconoscimento del diritto alla riparazione.

La falsa prospettazione di fatti e situazioni non è assimilabile al silenzio, che è protetto dall’articolo 64 del codice di procedura penale. È, invece, una condotta attiva che può ingannare l’autorità giudiziaria. Allo stesso modo, la reazione sproporzionata alla vista delle forze dell’ordine è stata ritenuta un comportamento che ha logicamente contribuito a creare un quadro indiziario a suo carico per un reato più grave della semplice ricettazione, giustificando la percezione di pericolosità che ha portato alla detenzione.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre un insegnamento cruciale: il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione non è automatico, neanche a fronte di un’assoluzione con formula piena. La condotta processuale ed extra-processuale dell’indagato assume un ruolo centrale. Mentire agli inquirenti, fornire alibi falsi o reagire in modo esagerato a un controllo di polizia sono comportamenti che possono essere interpretati come colpa grave. Se tali condotte contribuiscono a determinare la privazione della libertà, possono precludere il successivo diritto a un indennizzo, poiché l’interessato ha, di fatto, partecipato a creare le condizioni della propria detenzione.

Chi mente durante un interrogatorio ha diritto alla riparazione per ingiusta detenzione?
No. Secondo questa sentenza, fornire dichiarazioni false (mendacio) che risultano causalmente collegate alla decisione del giudice di applicare la custodia cautelare costituisce una colpa grave che esclude il diritto all’indennizzo, anche in caso di successiva assoluzione.

Qual è la differenza tra mentire e restare in silenzio ai fini della riparazione?
Restare in silenzio (avvalersi della facoltà di non rispondere) è un legittimo esercizio del diritto di difesa e non preclude il diritto alla riparazione. Mentire, al contrario, è un comportamento attivo che, se induce in errore l’autorità giudiziaria e contribuisce alla detenzione, viene valutato come colpa grave che nega il diritto all’indennizzo.

Fuggire dalla polizia può impedire di ottenere la riparazione per ingiusta detenzione?
Sì. Se la reazione alla vista degli agenti, come la fuga e la resistenza, è considerata sproporzionata e tale da contribuire a creare un’apparenza di colpevolezza per un reato grave (andando oltre la giustificazione per un reato minore), può essere ritenuta una concausa della detenzione e, di conseguenza, escludere il diritto alla riparazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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