Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6303 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6303 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MANFREDONIA il 30/03/1965
avverso la sentenza del 05/11/2024 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME con le quali ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato; letta la memoria del MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE per il tramite dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, con la quale è stato chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso o, in subordine, il rigetto.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza emessa il 5 novembre 2024 la Corte di appello di Bari ha rigettato la richiesta di riparazione dell’ingiusta detenzione patita da NOME COGNOME per 350 giorni di cui 157 in custodia cautelare in carcere e 193 agli arresti domiciliari, in relazione al reato di cui all’art.56, 575 co pen. dal quale è stato assolto dal giudice di primo grado, con la formula per non aver commesso il fatto.
La Corte nel respingere l’istanza ha ritenuto di ravvisare profili di colpa grave nell’avere il La Torre fornito elementi di alibi, per la prima volta, distanza di cinque mesi dai fatti.
Avverso il provvedimento sopra indicato è stato proposto ricorso nell’interesse del La Torre affidandolo ad un unico motivo con il quale si lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in relazione all’art. 314 cod. proc. pen.
La Corte, con motivazione apparente, ha posto a fondamento del rigetto dell’istanza la colpevole tardività della allegazione della prova d’alibi, ponendo l’accento sul silenzio serbato dal COGNOME, nel corso dell’interrogatorio di garanzia senza considerare che già l’ordinanza dava atto della circostanza che non solo COGNOME aveva riferito di avere trascorso la serata con l’avv. NOME COGNOME ma che lo stesso era stato già sentito, come risulta dalla stessa ordinanza custodiale.
Il P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Il Ministero resistente, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e in subordine, il rigetto dello stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
2. La Corte della riparazione ha ricostruito i fatti nel modo che segue: a) l’istante è stato attinto da misura cautelare custodiale in carcere emessa dal gip di Foggia in data 4.1.2010; b) con ordinanza del 10.6.2010 il Tribunale del riesame di Bari sostituiva la misura di massimo rigore con quella degli arresti domiciliari; c) il 20.12.2010 detta misura veniva sostituita con quella dell’obbligo di presentazione alla P.G..
Secondo quanto si legge a pagina 2 del provvedimento impugnato il Tribunale di Foggia ha assolto l’imputato sulla scorta dell’alibi fornito attraverso la testimonianza dell’avv. COGNOME dalla quale si ricavava la presenza del La Torre in luoghi incompatibili rispetto alla abitazione della vittima. Rileva, tuttavia, la Corte della riparazione che «a fronte della esecuzione della ordinanza coercitiva in data 20 agosto 2014, gli elementi relativi all’alibi rappresentato in dibattimento sono stati prospettati per l prima volta solo in data 26.1.2015, ovvero a distanza di ben cinque mesi dai fatti, non essendovi traccia di precedenti rilievi sul punto».
Evocando giurisprudenza di questa Corte di legittimità i giudici della riparazione hanno evidenziato che allorquando gli elementi ricostruttivi alternativi non vengono portati a conoscenza dell’A.G. o ciò avviene a causa del ritardo con il quale gli stessi vengono rappresentati, tale coportamento deve essere ascritto esclusivamente all’imputato e alla sua difesa, non è possibile dolersi del fatto che la custodia cautelare si sia protratta oltr determinati termini.
Nel caso in esame il provvedimento impugnato muove da un presupposto erroneo, ossia che gli elementi ricostruttivi alternativi siano stati sottoposti all’autorità giudiziaria, a distanza di cinque mesi dall’arresto
A tal fine occorre brevemente ricostruire gli accadimenti per meglio comprendere la vicenda in esame.
Il 3 agosto 2014 COGNOME NOME, rincasando veniva attinto da numerosi colpi di bastone al capo che gli provocavano una frattura cranica, tanto da rendersi necessario, un intervento neurochirurgico. Lo COGNOME riferiva nell’immediatezza alla donna che a lui si accompagnava, l’identità del suo aggressore indicandolo come “il suo vicino” con il quale vi erano stati precedenti screzi. La persona offesa faceva accesso al pronto soccorsoalle ore 1,23. I carabinieri che si recavano sui luoghi in cui era avvenuta l’agressione recuperavano due pezzi di legno, resti di un bastone che sottoponevano a sequestro e identificavano il presunto aggressore in INDIRIZZO il quale negava ogni addebito. Nell’occasione gli veniva
sequestrata la maglia di colore rosso che indossava in quanto all’altezza del petto vi era una macchia che i militari sospettavano avere natura ematica. Si legge nella ordinanza custodiale che «I CC danno atto nell’annotazione a foglio 15 che l’indagato, nel negare di essere l’autore dell’aggressione ai danni del vicino di casa, riferiva loro di essere stato la sera del 3 agosto u.s. e fino alle ore 1.55 in compagnia dell’Avv. NOME COGNOME, in una pizzeria in località Montagna di Manfredonia».
Nel prosieguo della ordinanza cautelare si legge «E’ stato opportunamente sentito l’avv. NOME COGNOME che ha confermato di avere passato la serata del 2 agosto u.s., unitamente alla moglie, con i coniugi COGNOME con i quali consumavano una pizza presso il locale “Mari e Monti” in località Montagna INDIRIZZO Manfredonia”.
E’ stato ripetutamente affermato da questa Corte che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione ai fini dell’accertamento della condizione ostativa della colpa grave, il silenzio serbato dall’indagato o dall’imputato non è sindacabile a meno che sia possibile affermare che fosse in grado di fornire una logica spiegazione al fine di eliminare il valore indiziante di elementi acquisiti nel corso delle indagini (Sez. 4, n. 849 del 28/09/2021, dep. 2022, Rv. 282564).
Come dire che la facoltà dell’indagato di non rispondere, la reticenza e persino la menzogna, pur costituendo esercizio del diritto di difesa, possono rilevare sul piano del dolo o della colpa grave solo ove l’indagato sia in grado di fornire specifiche circostanze non note all’organo decidente, che siano idonee a prospettare un alogica spiegazione al fine di escludere e caducare il valore indiziante degli elementi acquisiti in sede investigativa che hanno determinato l’adozione del provvedimento cautelare e le taccia.
Nel caso in esame, al netto del fatto che il GIP, operando una ricostruzione degli orari richiamati tanto dal La Torre quanto dal COGNOME, abbia ritenuto che la prova d’alibi fornita non fosse incompatibile con l’aggressione che il La Torre avrebbe consumato ai danni del vicino, ritenendo comunque sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di tentato omicidio ipotizzato, il dato che emerge dalla lettura degli atti è che l’indagato ha, già nell’immediatezza dei fatti, allegato la specifica circostanza che costituiva la prova di alibi e non dopo cinque mesi, come si sostiene nel provvedimento reitettivo della istanza di riparzione.
Da quanto detto discende che la individuazione della condotta colposa, da parte dei giudici della riparazione, nell’avere fornito elementi per una ricostruzione alternativa solo a distanza di cinque mesi, è argomento che non trova corrispondenza negli elementi desumibili dal compendio in atti. Così stando le cose non può sostenersi che il La Torre abbia taciuto o falsamente rappresentato fatti rispetto ai quali aveva un onere di rappresentazione e allegazione al quale non avrebbe, con il silenzio serbato dinanzi al giudice della cautela, dato corso e che avrebbero avuto valore sinergico rispetto all’addebito mosso, in quanto avrebbero influito concausalmente sul mantenimento dello stato detentivo (ex multis, v. Sez. 4, n. 25252 del 20/05/2016, Rv. 267393).
Così stando le cose l’ordinanza impugnata va, quindi, annullata con rinvio alla Corte di appello di Bari, cui va rimessa, altresì, l regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bari cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Deciso il 11 febbraio 2025