Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26946 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26946 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/06/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG che ha concluso per l’annullamento dell’ordina impugnata
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen. presentata nell’interesse di NOME COGNOME, con riferimento alla detenzione da costui subita (dal 20 settembre 2012 al 14 aprile 2014) in stato di custodia cautelare in carcere in ordine ai reati di cui agli ar 56, 110, 575, 577 cod. pen e 110 cod. pen, 10, 12, 14 legge n.497/1974 commessi in Vibo Valentia I’ll febbraio 2012 (in relazione al tentato omicidio di NOME COGNOME); in ordine ai reati di cui agli artt. 81, 110, 56- 575 e 575 cod. pen., 10, 12, 14 legge n. 497/1974 commessi in Vibo Valentia il 21 marzo 2012 (in relazione all’omicidio di NOME COGNOME e al tentato omicidio di NOME COGNOME e NOME COGNOME).
1.1. La Corte di Assise di Catanzaro, con sentenza del 19 luglio 2016, aveva assolto NOME COGNOME dai reati su indicati con la formula “perché il fatto non sussiste”.
1.2.La Corte della riparazione ha rigettato la richiesta, ravvisando la condizione ostativa della colpa grave nella condotta extraprocessuale del ricorrente, quale emersa dalle dichiarazioni, definite precise e concordanti, di NOME COGNOME, dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME (cugina del ricorrente), NOME e NOME COGNOME e da “numerose conversazioni”, tra cui quelle captate in carcere tra NOME COGNOME e il fratello NOME COGNOME.
2.La difesa dell’interessato ha proposto ricorso, a mezzo del difensore, formulando un unico,articolato motivo con cui ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della condizione ostativa della colpa grave. La Corte avrebbe tratto la prova della condotta colposa di NOME dalle dichiarazioni dei collaboratori che, tuttavia, non erano state riscontrate. La Corte di Assise di Catanzaro, infatti, nella sentenza assolutoria aveva dato atto che le dichiarazioni di NOME COGNOME non avevano trovato “riscontro individualizzante né in dati investigativi esterni, né nel dato dichiarativo”; ch NOME COGNOME nulla aveva riferito in ordine al ricorrente e che NOME, nel narrare che i fratelli COGNOME avevano consegnato al killer la somma di 10.000 euro, non aveva indicato nominativamente COGNOMECOGNOME pur avendo nel corso del suo racconto puntualmente evocato altre figure famiwliari; che la circostanza per cui, secondo il racconto di NOME COGNOME, il ricorrente era stato presente in occasione della consegna delle foto dei bersagli da colpire da parte di NOME durante un pranzo familiare, era neutra e insufficiente a collegare causalmente
l’imputato al fatto storico dell’omicidio; che il contributo di COGNOME era del tut generico, in quanto questi aveva parlato dei “COGNOME“, senza attribuire specificamente a COGNOME alcuna condotta.
La Corte di Assise di Appello, nel rigettare l’appello del Procuratore Generale avverso la sentenza assolutoria di primo grado, aveva rilevato che, con riferimento al tentato omicidio e successivo omicidio di COGNOME e ai tentati omicidi di NOME COGNOME e NOME COGNOME, le dichiarazioni di COGNOME erano prive di idonei riscontri; che il dialogo intercettato in carcere fra NOME COGNOME, moglie COGNOME, e il fratello NOME COGNOME, nel corso del quale la donna aveva spiegato di avere detto al marito che COGNOME aveva due auto, era compatibile “con una conversazione avvenuta in ambito familiare / nel contesto di un discorso relativo ad un soggetto certamente considerato ostile al gruppo familiare del COGNOME (e perciò senz’altro interessante) ma, non per questo, indicativa di un coinvolgimento diretto di COGNOME nel progetto omicidiario”; che le dichiarazioni rese in sede di rinnovazione dell’istruttoria dai collaborator i COGNOME e COGNOME non erano significative, in quanto COGNOME non aveva attribuito al ricorrente alcun ruolo nella deliberazione omicidiaria di COGNOME, ma aveva solo riferito della sua partecipazione attiva rispetto ad una vicenda diversa rispetto a quelle per cui era processo, mentre COGNOME aveva riferito solo della generica partecipazione del ricorrente alle riunioni in cui si pianificavano gli omicidi, senza tuttavia attribu allo stesso un ruolo attivo; infine, aveva ritenuto che la circostanza per cui NOME COGNOME avesse riportato una condanna definitiva per essere stato ritenuto stabilmente inserito nel contesto dell’associazione, non potesse valere a fondare l’affermazione della sua responsabilità per i reati fin.eascrivibili al disegno del sodalizio.
Secondo il difensore, dunque, NOME era stato vittima di dichiarazioni accusatorie smentite da altre dichiarazioni, sicchè non poteva dirsi che lo stesso avesse posto in essere una condotta gravemente colposa.
3.11 Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere accolto, in quanto fondato il motivo.
2.In linea generale, va ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese Rv. 259082). Pertanto, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta di una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME‘Ambrosio, Rv.247663). ). A tal fine, peraltro, il giudice della riparazione non può valorizzare elementi di fatto la cui verificazione sia stata esclusa dal giudice di merito, ovvero anche solo non accertata al di là di ogni ragionevole dubbio, con la conseguenza che non possono essere considerate ostative al diritto all’indennizzo condotte escluse sul piano fattuale o ritenute non sufficientemente provate con la sentenza di assoluzione (Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039; Sez. 4, n.46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274350).
Ai medesimi fini, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini e apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condott che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, COGNOME NOME COGNOME, Rv. 276458).
3. Ciò premesso, si osserva che la Corte di Appello, nel rigettare la domanda, è incorsa in un errore di tipo metodologico, in quanto ha evocato condotte attribuite a NOME COGNOME, senza, tuttavia, chiarire se ed in che termini tali condotte fossero state accertate o quanto meno non escluse nel loro accadimento fattuale dalle sentenze assolutorie
3.1.La Corte ha spiegato che il coinvolgimento del ricorrente con riferimento a plurimi episodi era emerso:
dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, il quale aveva riferito che COGNOME era tra coloro che avevano ordinato i pedinannenti di NOME COGNOME (vittima del delitto didentato omicidio, per cui era stata applicata la misura cautelare); aveva preso parte alla pianificazione degli omicidi di COGNOME, COGNOME e COGNOME, avvenuta presso la sua abitazione e nel garage del fratello NOME; aveva procurato la casa ove ospitare i killer e aveva raggiunto un accordo con COGNOME per il compenso ad un killer proveniente da Reggio Calabria; aveva fornito informazioni sull’esito dell’agguato nel corso del quale COGNOME era rimasto ucciso e COGNOME e COGNOME erano stati feriti;
dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, la quale aveva riferito della presenza del cugino NOME in occasione della consegna delle foto di COGNOME e COGNOME a NOME COGNOME durante un pranzo famigliare;
dalle dichiarazioni del killer NOME, collaboratore reo confesso, e di NOME COGNOME, escussi in sede di rinnovazione dibattimentale nel giudizio di appello, i quali avevano riferito della presenza di NOME COGNOME in occasione delle riunioni prodromiche alle riunioni onnicidiarie;
dalle conversazioni intercorse fra la moglie del ricorrente NOME COGNOME e il fratello NOME da cui era emerso che ella aveva spiegato al marito che NOME aveva la disponibilità di una BMW X 3.
Tali elementi -secondo la Corte-, benché insufficienti a fondare una pronuncia di condanna, sarebbero, comunque, idonei a disvelare la condotta gravemente colposa del ricorrente e a ingenerare nel giudice della cautela un’apparenza di colpevolezza.
3.2. La Corte della riparazione, seguendo tale percorso argomentativo, tuttavia, come detto, è incorsa in un errore di impostazione, in quanto ha richiamato condotte del richiedente, senza verificare, da un lato, se tali condotte fossero state poste a fondamento della detenzione da parte del giudice della cautela e, dall’altro, se il giudice del merito le avesse ritenute provate o quanto meno non le avesse escluse sul piano dell’accadimento fattuale.
In primo luogo, la Corte ha dato rilievo a comportamenti che erano stati riferiti dai collaboratori, senza verificare se le sentenza assolutorie avessero ritenuto tali comportamenti accertati. Gli stralci della sentenza assolutoria di primo grado, riportati nel ricorso, sembrano smentire tale assunto, in quanto in essi si afferma che il collaboratore COGNOME nulla aveva riferito a proposito d NOME COGNOME e che il collaboratore NOME aveva parlato genericamente dei fratelli COGNOME e non specificamente di COGNOME; così pure negli stralci della sentenza assolutoria di secondo grado, riportati nel ricorso, si dà atto che in
sede di rinnovazione dell’istruttoria COGNOME non aveva indicato COGNOME fra coloro che avevano avuto un ruolo nella ideazione dell’omicidio di COGNOME e NOME aveva reso dichiarazioni generiche, non rilevanti in relazione ai reati per cui era in corso il processo. Sotto tale ultimo profilo, si osserva che secondo un recente orientamento la colpa grave non può essere integrata dalla commissione di illeciti diversi da quelli per cui sia stata subita la detenzione, non sussistendo in tal caso il nesso eziologico fra il comportamento dell’interessato e la sua privazione della libertà, conseguente a un provvedimento del giudice determinato da un errore cui quel comportamento abbia dato causa. In altri termini, non è sufficiente rinvenire nella condotta del richiedente elementi che creino apparenza di un qualsiasi reato, ma occorre che la condotta colposa abbia creato l’apparenza del reato per il quale è stato adottato il provvedimento restrittivo (Sez. 4, n. 10195 del 16/01/2020, Cerruti, Rv. 278645). In ragione di tale principio, la Corte avrebbe dovuto meglio chiarire a quali comportamenti del ricorrente avesse fatto riferimento il collaboratore e se, e in che misura, detti comportamenti fossero stati esaminati dal giudice della cautela ai fini della composizione del grave quadro indiziario a fondamento dell’applicazione della misura cautelare nei suoi confronti.
3.3.La Corte della riparazione, inoltre, non ha spiegato in che senso la presenza del ricorrente in contesti famigliarixnelle occasioni in cui sarebbero stati presi accordi per la pianificazione delle condotte di reato, ovvero ancora l’avere egli conversato con la moglie a proposito delle macchine possedute da una delle vittime valessero a configurare un comportamento gravemente colposo, denotante macroscopica ed eclatante negligenza rispetto al corretto agire. A tale fine si deve ricordare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui “in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, le frequentazioni ambigue con soggetti condannati nel medesimo procedimento possono integrare un comportamento gravemente colposo, ostativo al riconoscimento del diritto all’indennizzo, anche nel caso in cui intervengano con persone legate da rapporto di parentela, purché siano accompagnate dalla consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti e non siano assolutamente necessitat (Sez. 4, n. 29550 del 05/06/2019,COGNOME,Rv. 277475;Sez. 4, n. 1235 del 26/1 1/2013,dep. 2014, Calò Rv. 258610 – 01). La Corte avrebbe, dunque, dovuto farsi carico del rapporto di parentela fra il ricorrente e gli altri commensali e verificar se in concreo la presenza del ricorrente potesse essere valutata come gravemen colposa e non necessitata alla luce dei principi sopra richiamati.
3.4.Nessun cenno contiene, infine, l’ordinanza impugnata a proposito dell condanna del ricorrente nell’ambito di diverso procedimento in ordine al reato cui all’art. 416 bis cod. pen., di cui invece si fa menzione negli stral sentenza assolutoria riportati nel ricorso. La Corte della riparazione non rich
tale condanna che, al contrario, avrebbe potuto essere valutata, soprattutto se le azioni omicidiarie per le quali NOME COGNOME era stato sottoposto a misura cautelare fossero da ricollegare all’appartenenza all’associazione mafiosa affermata in tale pronuncia e sempre che, nella prospettiva ex ante del giudice della cautela, tale condanna fosse stata valutata quale elemento a conforto dell’ipotesi di accusa.
L’ordinanza impugnata, deve, pertanto, essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Catania, che nel nuovo giudizio dovrà accertare la sussistenza di condotte dolose o gravemente colpose del richiedente la riparazione, endoprocessuali o extraprocessuali, sinergiche rispetto alla adozione o al mantenimento della misura cautelare, secondo i principi su indicati.
P . Q . M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di Appello di Catanzaro.
Deciso il 30 maggio 2024