Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9481 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9481 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza emessa il 03/07/2023 dalla Corte d’Appello di Torino
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13/05/2022, la Corte d’Appello di Torino rigettava una domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da COGNOME NOME in relazione a due ordinanze cautelari, relative ad altrettanti procedimenti per violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (in particolare, cessione in concorso di 500 grammi di hashish in un caso; nell’altro, detenzione di circa 75 grammi di hashish all’interno della propria abitazione): procedimenti definiti con sentenze assolutorie divenute irrevocabili, in un caso per la riconosciuta estraneità del DE
COGNOME alla cessione, nell’altro per la mancata dimostrazione della finalità di spaccio dello stupefacente detenuto.
Tale provvedimento veniva annullato con rinvio dalla Quarta Sezione di questa Suprema Corte, con sentenza n. 10132 del 02/02/2023, per vizio di motivazione.
La sentenza rescindente, in particolare, evidenziava una lacuna motivazionale in ordine alla affermata sussistenza, in capo al COGNOME, di una colpa ostativa all’accoglimento dell’istanza di riparazione: e ciò, anzitutto, quanto al procedimento per la detenzione, dal momento che si era trattato di una condotta “domestica”, che la droga era stata spontaneamente consegnata dal ricorrente agli operanti, e che non erano emersi elementi sintomatici di un’attività di spaccio. Inoltre, quanto al procedimento per la cessione dei 500 grammi – definito con sentenza assolutoria essendo venuti meno, nel giudizio di merito, gli elementi a carico costituiti dal riconoscimento del COGNOME da parte di un’operante, e dal possesso di una Smart – la Quarta Sezione ha ritenuto illogica la valorizzazione, ai fini che qui rilevano, della predetta detenzione domestica, che era stata accertata due anni dopo l’episodio di cessione.
Giudicando in sede di rinvio, la Corte torinese, con ordinanza del 03/07/2023, ha nuovamente rigettato la domanda di riparazione del COGNOME, sostenendo che gli elementi di novità, preclusivi dell’accoglimento della richiesta di indennizzo, andavano individuati sia nell’arresto del COGNOME per la detenzione di 300 grammi di hashish avvenuto il 24/01/2013 (procedimento definito con sentenza di patteggiannento ormai irrevocabile), sia nelle modalità della detenzione accertata il 03/03/2015.
In particolare, la Corte d’Appello ha osservato che l’arresto per la detenzione dei 300 grammi dimostrava la colpa grave del COGNOME con riferimento alla cessione dei 500 grammi, avvenuta il 21/12/2012 (ma con emissione del titolo cautelare solo in data 20/02/2015), dal momento che l’arresto per i 300 grammi era avvenuto “appena trentaquattro giorni dopo essere stato sospettato di essere responsabile della cessione dei 500 grammi di hashish”. Quanto al titolo cautelare relativo alla detenzione dei 75 grammi, accertata il 03/03/2015 in sede di esecuzione dell’altra misura, la Corte territoriale ha sostenuto che la finalità di uso personale era giustificata dalle sole affermazioni del COGNOME, essendo una così significativa scorta scarsamente compatibile con la facilità di reperire hashish a Torino e con la mancanza di mezzi leciti di acquisto da parte del ricorrente; anche le modalità della detenzione integravano i presupposti indicati dalle Sezioni Unite, unitamente alla irrevocabilità del patteggiamento per i 300 grammi.
Anche avverso tale decisione, propone ricorso per cassazione il COGNOME.
Quanto al titolo cautelare relativo alla cessione dei 500 grammi, si evidenzia la fallacia del ragionamento della Corte territoriale, non potendo tale vicenda ergersi a presupposto logico collegato all’arresto per la detenzione dei 300 grammi, dato che il COGNOME era stato assolto dall’accusa di cessione perché il COGNOME era incorso in un error in persona: non si poteva quindi attribuire, al ricorrente, la responsabilità di aver dato luogo ad un legittimo sospetto per un fatto commesso da altri.
Quanto all’altro titolo cautelare, la difesa evidenzia l’assoluta mancanza di motivazione, non avendo la Corte territoriale in alcun modo supportato il proprio assunto iniziale secondo cui doveva conferirsi rilievo alle “modalità e circostanze” della detenzione (in relazione alla quale il COGNOME aveva da subito rappresentato la finalità di uso personale). Sul punto, la difesa deduce la violazione dell’art. 623 cod. proc. pen., non essendosi la Corte d’Appello uniformata alle indicazioni espresse in sede rescindente in ordine alla necessità di accertare l’eventuale presenza di ulteriori elementi indizianti, oltre al mero possesso della droga, ed essendo anzi emersa l’insussistenza degli indici menzionati in via esemplificativa dalla sentenza di annullamento (suddivisione in dosi, presenza di strumenti per il taglio e il confezionamento quali bilancini, pellicola ecc.).
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO sollecita l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, condividendo i rilievi formulati dalla difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Occorre prendere le mosse dal primo titolo cautelare cui si riferisce la domanda di riparazione, relativo all’accusa di cessione di gr. 500 di hashish dalla quale il COGNOME era stato poi assolto per non aver commesso il fatto: titolo in relazione al quale la Corte d’Appello aveva rigettato la domanda, valorizzando il ritrovamento di gr. 75 di hashish in casa del COGNOME in sede di esecuzione della misura, avvenuta due anni dopo il fatto addebitato.
Al riguardo, va anzitutto premesso che la Quarta Sezione di questa Suprema Corte, nell’annullare il precedente provvedimento di rigetto della domanda di riparazione, aveva per un verso ritenuto “certamente illogica” la motivazione dell’ordinanza che aveva elevato la detenzione (oggetto del secondo titolo cautelare, su cui cfr. in fra) ad elemento di riscontro di un episodio di cessione avvenuto due anni prima: episodio per cui il giudizio di merito aveva escluso la valenza probatoria degli elementi a carico (il riconoscimento di un operante era risultato essere un error in persona; il possesso di una Smart era sempre stato negato dal DE COGNOME).
Per altro verso, la sentenza rescindente aveva altresì precisato che “nessun rilievo eziologico ai fini dell’adozione della prima misura cautelare può pertanto essere attribuito a un comportamento processuale realizzato oltre due anni dopo i fatti oggetto di imputazione, atteso che il giudice della cautela non avrebbe neppure potuto apprezzarlo ai fini dell’adozione della cautela, tenuto altresì conto che il COGNOME, in sede di interrogatorio di garanzia, aveva escluso il proprio coinvolgimento nella vicenda, riferendo di non avere la disponibilità di un veicolo Smart e che la detenzione dello stupefacente nella propria abitazione avrebbe potuto al massimo rappresentare un motivo per il mantenimento della misura disposta per l’altro episodio e non certo per l’adozione della misura stessa, a fronte di un quadro indiziario totalmente escluso dal giudice dell’assoluzione” (cfr. sent. n. 10123 del 2023, cit., § 4 della motivazione).
Ritiene il Collegio che l’ordinanza impugnata incorra nel medesimo vizio motivazionale già denunciato dalla sentenza di annullamento con rinvio del primo provvedimento, avendo fondato il rigetto dell’istanza di riparazione su una vicenda (il possesso di 300 gr. di hashish, per il quale il COGNOME ha definito il processo con sentenza di patteggiamento) che appare di sicura valenza dimostrativa di una negativa personalità del COGNOME, ma che risulta anch’essa avvenuta a notevole distanza temporale (oltre un mese) dall’episodio di cessione, apparendo altresì del tutto avulsa da quest’ultimo, al quale l’odierno ricorrente è risultato del tutt estraneo.
Coglie allora nel segno la censura difensiva proposta avverso il collegamento dei due episodi operato dalla Corte d’Appello, secondo cui il COGNOME era stato coinvolto nella detenzione dei 300 grammi “appena trentaquattro giorni dopo essere stato sospettato di essere responsabile della cessione di 500 grammi di hashish” (cfr. pag. 3 dell’ordinanza impugnata). Si è al riguardo criticamente osservato, infatti, che la Corte territoriale aveva “elevato a presupposto del ragionamento un fatto (rappresentato dal sospetto di essersi reso responsabile della cessione di 500 grammi di hashish) inesistente in rerum natura, atteso che, come abbiamo illustrato, il riconoscimento operato dal Brig. COGNOME si fonda su un incredibile error in persona” (cfr. pag. 3 del ricorso).
Si tratta di rilievi che appaiono del tutto in linea con il consolida insegnamento di questa Suprema Corte, secondo cui «in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la semplice condotta sospetta non è sufficiente per costituire condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione, poiché la colpa grave, di cui all’art. 314 cod. pen., che esclude siffatto diritto, va rapportat agli indizi cui non si deve dare adito per grave imprudenza e non ai sospetti, la cui sola esistenza non autorizza l’emissione di alcuna misura cautelare» (Sez. 4, n. 10793 del 19/12/2019, dep. 2020, Samiri, Rv. 278655 – 01).
Anche per ciò che riguarda il secondo titolo cautelare (emesso con riferimento alla già ricordata detenzione di 75 grammi di hashish da parte del COGNOME, accertata in sede di esecuzione della prima misura custodiale), è
opportuno prendere le mosse dalla sentenza della Quarta Sezione che aveva annullato il precedente provvedimento reiettivo della domanda di riparazione, presentata dal COGNOME a seguito dell’assoluzione anche da tale capo di accusa (essendo stato riconosciuto che la detenzione era a fini di uso personale).
In sede rescindente, era stato infatti evidenziato che “non ogni ipotesi di sostanza stupefacente può rappresentare causa ostativa alla riparazione per ingiusta detenzione ma soltanto quel possesso che, in ragione del tempo, del luogo e delle circostanze dell’azione e delle caratteristiche dello stupefacente, possa consentire all’autorità giudiziaria di apprezzare, con verosimile certezza, la sua destinazione allo spaccio”. Poste tali premesse, la Quarta Sezione era pervenuta – anche in parte qua ad una decisione di annullamento dell’ordinanza della Corte territoriale, per la totale assenza di accertamenti a tale specifico riguardo, essendo anche risultato che la detenzione dell’hashish (non suddiviso in dosi) “era domestica, lo stupefacente era stato consegnato dal ricorrente spontaneamente e che il possesso non era accompagnato da elementi sintomatici ricognitivi di una attività di spaccio” (cfr. sent. n. 10132 del 2023, cit., § 3 della motivazione).
Ritiene il Collegio che la Corte territoriale, in sede di rinvio, non si sia attenut a tali indicazioni.
La motivazione della nuova ordinanza fa riferimento alla inverosimiglianza di una scorta di stupefacente realizzata a Torino, ad un non meglio precisato riferimento alle “concrete modalità” della detenzione, nonchè al già richiamato patteggiamento per la detenzione del gennaio 2013 (cfr. pag. 4 del provvedimento impugnato).
Al riguardo, deve rispettivamente osservarsi: che i rilievi sulla scorta appaiono del tutto congetturali, se non contrastanti con l’id quod plerumque accidit come sottolineato dal difensore (essendo la scorta funzionale ad un acquisto a minor prezzo da parte del consumatore); che il generico riferimento alle “concrete modalità” della detenzione presta il fianco alle medesime obiezioni di genericità, già sviluppate dalla sentenza di annullamento con rinvio; che il richiamo all’episodio definito con patteggiamento non tiene conto, anche in questo caso, della distanza di anni dal fatto per cui era stata emessa la misura, risultando poi totalmente apodittica l’affermazione per cui tale episodio dimostrerebbe il “compimento di condotte ontologicamente incompatibili rispetto ad una destinazione ad uso personale dello stupefacente detenuto” (affermazione condivisibile se correlata all’episodio definito con patteggiamento, ma non certo “esportabile” per ogni successiva vicenda verificatasi a distanza di anni).
4. Le considerazioni fin qui svolte impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Torino.
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Torino
Così deciso il 31 gennaio 2024