Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30108 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30108 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in ETIOPIA il 16/08/1980 avverso l’ordinanza del 10/09/2024 della Corte d’appello di Palermo udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria dell’Avvocatura dello Stato che insiste nel rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Palermo, giudicando in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto con sentenza della Corte di cassazione n. 41868/2023, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da NOME in relazione alla sofferta misura della custodia in carcere applicata dal 21/07/2016 al 23/08/2018 in forza dell’ordinanza del GIP presso il Tribunale di Roma del 7/07/2016 (poi confermata dal GIP presso il Tribunale di Palermo con ordinanza del 21/07/2016), misura poi sostituita dal 23/08/2018 al 14/01/2020 con quella degli arresti domiciliari, in relazione ai reati di associazione a delinquere finalizza all’immigrazione clandestina di cui agli artt.416 cod.pen. e 4,1.146/2006 (capo 1) e del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod.pen., 12, comma 3, lett. a), b), c), d) ed e), comma 3-bis, comma 3-ter, lett b), d.lgs. 286/1998 e 4, legge 146/2006 (capo 2); imputazioni rispetto alle quali, dopo la condanna pronunciata dal GUP presso il Tribunale di Palermo, era stata assolta il 14/01/2020 dalla Corte d’assise d’appello per non aver commesso il fatto, con pronuncia divenuta definitiva il 14/07/2020 dai reati di cui ai capi 1) e 2), ed era stata condannata, alla pena di anni uno e mesi quattro di
reclusione e € 4.000,00 di multa, in relazione al reato di esercizio abusivo dell’intermediazione finanziaria di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod.pen., 5, comma 3, d.lgs. n.153/1997, in relazione all’art.15, comma 1, lett.c), 1.52/1996, 3, d.lg n.347/1999, 132 d.lgs. n.385/1993 in relazione all’art.106, del d.lgs. n.385/1993 e 4 d.lgs. n.146/2006 (capo 71).
La corte territoriale ha rilevato che era stato definitivamente accertato che la ricorrente risultava avere collaborato col marito nell’illecita attivi intermediazione finanziaria denominata hawala e che tale condotta ha integrato gli estremi del delitto di esercizio abusivo di attività di intermediazione finanziar per cui la medesima ha riportato condanna definitiva, e dunque non era contestabile che la medesima, ponendo in essere tale condotta avesse dato causa alla misura della custodia cautelare da lei subita. In conclusione, la ricorrente sarebbe stata sottoposta alla misura cautelare per aver tenuto una condotta che ha contribuito a legittimare pienamente il provvedimento restrittivo, svolgendo quindi quel ruolo almeno sinergico nel determinare la misura restrittiva che per il legislatore esclude appunto il diritto alla riparazione.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME COGNOME deducendo con un articolato motivo di ricorso, la violazione di legge e vizio di motivazione. Argomenta la ricorrente che il provvedimento impugnato avrebbe negato il diritto alla riparazione sul rilievo che la condanna per il capo 71, per l’esercizio abusivo di attività di intermediazione finanziaria, era un comportamento che ha dato causa alla misura custodiale da lei subita. Tale affermazione sarebbe del tutto priva di pregio in quanto la condanna è avvenuta per un reato per il quale non è neanche prevista l’applicazione di una misura cautelare, ma neppure era collegato con quelli per cui la misura è stata richiesta ed è stata disposta.
Peraltro, la sentenza di assoluzione della Corte di assise d’appello di Palermo ha accertato che la ricorrente era del tutto estranea alle attività illeci del marito, come attestato dal collaboratore di giustizia e dalle intercettazion telefoniche, situazione questa già dimostrativa che la condotta, ritenuta gravemente colposa, dell’odierna istante viene collegata a un presunto legame con le condotte riportate al capo 71 che, tuttavia, nulla hanno a che vedere con i capi 1) e 2) per i quali era stata applicata la misura cautelare, Ma vi è di più, la Cort d’assise d’appello, a pagina 76 della sentenza di assoluzione, ha precisato che l’accertamento della condotta di esercizio abusivo dell’attività di intermediazione finanziaria mediante il metodo hawala non ha di per sé solo alcuna refluenza dal punto di vista probatorio sulla dimostrazione delle ulteriori condotte delittuose contestate agli appellanti NOME e NOME COGNOME in quanto era emerso
chiaramente che l’attuale ricorrente non conosceva le ragioni del trasferimenti di denaro, indi alcun comportamento colposo può farsi derivare dalla condotta per il capo 71, condotta che è rimasta scollegata con le altre fattispecie delittuose per le quali era stata applicata la misura cautelare.
Il provvedimento impugnato, dunque, non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi ermeneutici e ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità per cui, nella valutazione della decisione sul dirit alla riparazione, sebbene il giudice abbia la piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione, gli è però preclusa l’affermazione di circostanze che sono state escluse dall’accertamento nel merito.
Nel caso di specie il giudice della riparazione avrebbe fondato il rigetto dell’istanza di riparazione su circostanze diverse ed escluse nel giudizio di merito, incorrendo quindi in violazione di legge e vizio di motivazione.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
L’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria scritta con cui ha chiesto l’inammissibilità del ricorso, in subordine il rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. GLYPH Il ricorso è fondato.
La corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi reiteratamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, anche riportati nella sentenz rescindente di Questa Corte, là dove ha richiamato lo ius receptum secondo cui la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in comportamenti, non esclusi dal giudice della cognizione, di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver dato causa all’imputazione) o processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi), in ordine alla cui attribuzione all’interessato e incide sulla determinazione della detenzione il giudice è tenuto a motivare specificamente (Sez.4, 3/6/2001 n.34656, COGNOME, RV. 248074; Sez.4, 21/10/2014, n.4372/2015, COGNOME, RV. 263197; Sez.3, 5/7/2022, n.28012, COGNOME, RV. 283411). Sin dalle risalenti Sezioni Unite 13/12/1995, n.43/1996, COGNOME, RV. 203638, nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur
dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un iter logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di esaminare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizion dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione; derivandone, in diretta conseguenza di tale principio, quello ulteriore in base al quale il giudice del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione può rivalutare fatti emersi nel processo penale, ivi accertati o non esclusi, ma ciò a solo fine di decidere sulla sussistenza del diritto alla riparazione (Sez.4 10/6/2010, n.27397, Grillo, RV. 247867; Sez.4, 14/12/2017, n.3895/2018, P., RV. 271739).
4. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha individuato nella condotta di intermediazione finanziaria, posta in essere dall’istante, rimasta accertata e per la quale ha riportato condanna (ma è del tutto irrilevante che per tale fattispecie di reato non sia consentita la misura cautelare coercitiva, poiché ciò che rileva è l’incidenza di tale condotta fattuale quale presupposto per ravvisare il dolo o la colpa grave per escludere l’indennizzo) un ruolo sinergico nel determinare la misura restrittiva per i capi 1 e 2, rilevando come fosse emerso, dagli elementi probatori che «la COGNOME risultava aver collaborato con il marito NOME COGNOME COGNOME nell’attività di intermediazione finanziaria denominata hawala».
Il rapporto sinergico della condotta di intermediazione finanziaria è stato affermato in modo assertivo, ma soprattutto ha attribuito valore ostativo a circostanze di fatto già ampiamente esaminate ed escluse nel giudizio di merito
La sentenza di assoluzione, a pag. 76, ha argomentato che “l’accertamento della condotto di esercizio abusivo dell’attività di intermediazione finanziaria mediante il metodo havala non ha di per sé solo alcuna fluenza dal punto di vista probatorio sulla dimostrazione delle ulteriori condotte delittuose contestate agli appellanti in quanto è emerso chiaramente che l’attuale ricorrente non conosceva le ragioni dei trasferimenti di denaro”, indi alcun comportamento colposo può farsi derivare, per ciò solo, dalla condanna per il capo 71.
Pertanto, risultano ravvisabili i denunciati vizi di violazione di legge e d motivazione e l’ordinanza va, pertanto, annullata, con rinvio alla Corte d’appello di Palermo che dovrà rivalutare la vicenda processuale e la ricorrenza o meno di
profili idonei a concretizzare il dolo o la colpa fondati su elementi non esc cognizione.
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6. Al giudice di rinvio è demandata anche l’eventuale liquidazione de spese richieste dall’Avvocatura dello Stato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appell
Palermo
Così è deciso, 09/07/2025
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