Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 30578 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 30578 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Caccanno il 25/08/1948;
avverso l’ordinanza del 06/02/2025 della Corte di appello di Palermo, visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha concluso affinché il ricorso venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 febbraio 2025 la Corte di appello di Palermo ha rigettato la domanda formulata da NOME COGNOME per la riparazione dovuta ad ingiusta detenzione, nella misura di mesi 7 e giorni 15 di reclusione, in ipotesi dipesa dall’emanazione di un ordine di esecuzione divenuto illegittimo.
1.1. Più in particolare, i giudici della riparazione hanno affermato che l’ordine di esecuzione non potesse ritenersi illegittimo od arbitrario, secondo le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di legittimità: la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pena eseguita è dipesa infatti da vicende successive alla condanna, nella specie consistite nel riconoscimento della continuazione tra reati separatamente giudicati.
Tali vicende, pur avendo determinato ex post una discrasia tra pena inflitta e pena espiata, non integrano una ipotesi di detenzione indennizzabile ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen.
La Corte territoriale ha inoltre ritenuto operante il limite temporale indicato dall’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., poiché la permanenza del reato si è protratta successivamente alla pena espiata.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con un unico motivo deduce violazione della legge penale processuale e vizio della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.
I giudici della riparazione, si osserva, hanno malamente applicato i principi che governano il diritto alla riparazione per la detenzione patita a seguito di un ordine di esecuzione per una pena superiore a quella espiata.
Ricostruito l’iter processuale il ricorrente deduce l’inapplicabilità, nel caso in esame, dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., in quanto la detenzione è stata subita in riferimento ad un unico reato permanente ex art. 416-bis cod. pen. (commesso a partire dal 2004), quantunque frazionato in diversi segmenti temporali, separatamente giudicati.
Si sottolinea, inoltre, che nel corso del processo conclusosi con la sentenza emessa il 4 maggio 2022, quei fatti sono stati ritenuti, ai sensi dell’art. 81 cod pen., meno gravi rispetto a quelli già giudicati.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1.1. Allo scrutinio dei motivi è utile premettere che NOME COGNOME è stato condannato, per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., alla pena finale di ann 11, mesi 2 e giorni 20 di reclusione, con sentenza emessa il 4 maggio 2022 dalla Corte di appello di Palermo.
La pena finale risultava così determinata anche per effetto del riconoscimento della continuazione con altre sentenze, emesse dalla stessa Corte palermitana; la pena per i reati già giudicati è stata determinata in anni 5 di reclusione, che il COGNOME aveva già espiato.
In data 12 aprile 2023 è stato quindi emesso un ordine di esecuzione, dovendo il richiedente espiare la pena di mesi 7 e giorni 15 di reclusione.
La maggior pena espiata in relazione ai reati già giudicati, si è osservato, non poteva essere imputata alla detenzione ancora da espiare, poiché relativa, quest’ultima, a reati commessi in epoca successiva, a ciò ostandovi la previsione di cui all’art. 657, comma 4, cod. proc. pen.
NOME COGNOME quindi, ha dedotto l’ingiustizia della detenzione patita in eccesso, pari a mesi 7 e giorni 15 di reclusione.
In diritto si osserva che con la sentenza n. 310 del 1996, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 314 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. e per violazione dell’art. 5 della Convenzione E.D.U., che prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o d detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta.
Dopo tale pronuncia la Corte di cassazione ha inizialmente affermato che il diritto alla riparazione non è configurabile ove la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pena eseguita sia determinata da vicende, successive alla condanna, che riguardano la determinazione della pena eseguibile (Sez. 4, n. 3382 del 22/12/2016, dep. 2017, Riva, Rv. 268958 – 01; n. 4240 del 16/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269168 – 01; Sez. 4, n. 40949 del 23/04/2015, COGNOME, Rv. 264708 – 01).
La giurisprudenza successiva ha poi esteso il diritto alla riparazione anche ai casi in cui l’ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all’esecuzione della pena, purché non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell’interessato che sia stato concausa di errori o ritardi nell’emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la corretta data del termine
di espiazione della pena (Sez. 4, n. 17118 del 14/01/2021, COGNOME Rv. 281151 – 01; Sez. 4 n. 57203 del 21/9/2017, COGNOME, Rv. 271689 – 01, che richiama C.E.D.U., 24 marzo 2015, Messina c. Italia, n. 39824/07, secondo cui è ingiusta una detenzione che, per effetto della riconosciuta liberazione anticipata, sia rimasta sine titulo), con la precisazione che la detenzione sine titulo legittimante il diritto alla riparazione sussiste solo qualora si verifichi violazione di legge parte dell’autorità procedente; non, invece, qualora la discrasia tra pena definitiva e pena irrogata consegua all’esercizio di un potere discrezionale (Sez. 4, n. 26951 del 20/06/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 38481 del 17/09/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 25092 del 25/05/2021, COGNOME, Rv. 281735 – 01, che richiama Corte EDU 10/07/2003, Grava c. Italia, Corte EDU 2/03/2006, Pilla c. Italia, Corte EDU 17/06/2008, Sahin Karatas c. Turchia e Corte EDU 21/10/2013, Del Rio Prada c. Spagna).
Questo perché esiste una differenza tra la pena definita da pronuncia irrevocabile e la pena come risultante dagli interventi successivi dell’autorità giudiziaria sul trattamento sanzionatorio (Sez. 4, COGNOME, cit., in motivazione; successivamente, Sez. 4, n. 37234 del 28/09/2022, COGNOME, non massimata).
Proprio per tale ragione, ad esempio, è stato escluso il diritto alla riparazione nel caso in cui la diversa entità della pena da eseguire non è conseguente a un ordine di esecuzione illegittimo o errato, bensì all’esercizio del potere discrezionale da parte del giudice dell’esecuzione, che riconosce il vincolo della continuazione tra i reati separatamente giudicati (Sez. 4, Cimmino, cit.).
2.1. La Corte della riparazione ha fatto buon governo di tali coordinate interpretative, rilevando che la diversa entità della pena da eseguire non era conseguente ad un ordine di esecuzione illegittimo o errato, bensì all’esercizio del potere discrezionale da parte del giudice, che aveva riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati oggetto di diverse pronunce (Sez. 4, n. 26532 del 10/05/2023, COGNOME, non mass.).
Né può sostenersi, come ipotizza il ricorrente, l’erronea applicazione dell’art. 657 cod. proc. pen.
La norma disciplina il computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo, stabilendo che il pubblico ministero nel determinare la pena da eseguire computa il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o per un altro reato.
Sicché, il pubblico ministero, preso atto di un periodo di privazione della libertà a titolo di custodia cautelare, deve operare la detrazione (non essendovi margini valutativi, nemmeno per il condannato: Sez. U, n. 31416 del 10/07/2008, COGNOME, Rv. 240113 – 01; più di recente, Sez. 4, n. 50327 del 24/10/2018, D., Rv. 274051 – 01), l’unico limite essendo rappresentato dalla circostanza che la
misura sia stata subita dopo la commissione del reato per il quale va determinata la pena da eseguire, come prevede il comma 4.
Si tratta, a ben vedere, di un meccanismo di “compensazione”, che opera di diritto ed a prescindere da apposita istanza, ovvero una sorta di restituzione per equivalente rispetto alla detenzione per qualsiasi ragione risultata ex post ingiusta.
Come osservato in dottrina ed in giurisprudenza, il limite a questo meccanismo di recupero, di natura temporale, ha una doppia finalità.
Innanzitutto, affinché la pena possa esplicare le funzioni sue proprie di prevenzione speciale e rieducazione, è fondamentale che essa, ancorché scontata nella forma anomala della cd. fungibilità, debba seguire, e mai precedere, il fatto di reato, dovendosi a tal fine valorizzare l’epoca della condotta e non il momento, eventualmente successivo, in cui il reato si è consumato, e men che meno quello in cui è stato accertato.
Inoltre, il recupero della detenzione ingiustamente patita deve intendersi quale correttivo alle disfunzioni processuali, non certo quale stimolo a commettere ulteriori reati, derivante dal poter utilizzare una riserva di pena o un credito penale da “scontare” commettendo altri reati.
Ciò posto, il ricorrente deduce l’inoperatività di tale limite in quanto, pe effetto del riconoscimento della continuazione, si è in presenza di un unico reato permanente, consumato a partire dal 2004.
Osserva innanzitutto il Collegio che deve escludersi l’unicità del reato.
Ove si pongano problemi di fungibilità tra le carcerazioni sofferte per i singoli reati unificati ex art. 81 cod. pen., il reato continuato, che può considerarsi reato unico solo ai fini specificamente previsti dalla legge, deve essere scisso nelle singole violazioni che lo compongono, sì da potersi individuare quelle commesse prima della detenzione senza titolo e stabilirsi l’aliquota di sanzione del relativo frammento di aumento per la continuazione per far luogo alla fungibilità, stabilendosi, quindi, la parte di custodia cautelare o di pena inutilmente sofferta (Sez. 6, n. 48644 del 27/09/2017, COGNOME, Rv. 271651 – 01; Sez. 1, n. 45259 del 27/09/2013, COGNOME, Rv. 257618 – 01; Sez. 1, n. 8109 del 11/02/2010, COGNOME, Rv. 246383 – 01; Sez. 1, n. 25186 del 17/02/2009, COGNOME, Rv. 243809 – 01).
Inoltre, le argomentazioni del ricorrente si pongono in immotivato contrasto anche con il consolidato insegnamento di legittimità secondo cui l’istituto della fungibilità delle pene espiate senza titolo non è applicabile ai reati permanenti quando la permanenza sia cessata, come nella specie, dopo l’espiazione senza titolo (Sez. 1, n. 12675 del 06/02/2025, COGNOME, Rv. 287785 – 01; Sez. 1, n. 6072 del 24/05/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272102 – 01; Sez. 1, n. 40329 del 11/07/2013, COGNOME, Rv. 257600 – 01).
Data la struttura unitaria del reato permanente, si è osservato al riguardo che non è possibile operarne una scomposizione in una pluralità di reati, alcuni
anteriori ed altri posteriori alla detenzione rivelatasi senza titolo.
Contrariamente, quindi, a quanto sostenuto dal ricorrente, la diversa entità
della pena da eseguire non è derivata da un ordine di esecuzione illegittimo o errato, ma dall’esercizio di un potere discrezionale, senza che sia stata
fondatamente dedotta dal COGNOME una violazione di legge da parte dell’autorità
procedente che abbia dato causa alla detenzione sine titulo.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
3.1. Non vanno invece liquidate le spese sostenute dal Ministero resistente.
La memoria depositata, infatti, si limita a riportare principi giurisprudenziali in materia di riparazione per ingiusta detenzione, e non offre
un contributo alla dialettica processuale (sul punto, Sez. 4, n. 1856 del
16/11/2023, COGNOME non mass; in argomento anche Sez. U, n. 34559 del 26/6/2002, COGNOME, Rv. 222264; in riferimento alla costituzione della parte civile, ma con principi estensibili, Sez. U, n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, COGNOME, in motivazione).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla sulle spese in favore del Ministero resistente.
Così deciso in Roma, 10 settembre 2025
Il Presidente