Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 8305 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8305 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI NOME nato a LA SPEZIA il 04/01/1981
avverso l’ordinanza del 09/07/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria del MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE che ha concluso chiedendo la conferma dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza emessa il 9 luglio 2024 la Corte di appello di Milano ha rigettato la richiesta di riparazione proposta nell’interesse di NOME COGNOME per l’ingiusta detenzione da costui subita per complessivi 180 giorni (dal 1 ottobre al 2 novembre 2015 in carcere e dal 3 novembre 2015 al 12 aprile 2016 agli arresti domiciliari) in relazione ai reati di cui agli artt. 317, 319 e 3 pen.
2. Avverso l’ordinanza, l’avv. NOME COGNOME difensore del Di Capua, ha proposto ricorso affidandolo ad un unico motivo con il quale deduce l’erronea applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen. Secondo la difesa la Corte ha desunto la sussistenza di una grave condotta colposa, avente efficacia sinergica rispetto alla ordinanza applicativa dell misura cautelare e al suo mantenimento sino allo spirare del termine massimo di fase, da alcune conversazioni telefoniche captate, confluite nella ordinanza custodiale ma che i giudici di merito avrebbero totalmente “neutralizzato”. Richiama in proposito la difesa, quanto al capo 6.4 bis il dialogo intercettato 22 gennaio 2014 che è stato oggetto di ascolto diretto da parte della Corte di appello di Milano, che avrebbe dovuto costituire la prova dell’accordo corruttivo tra i diversi soggetti coinvolti nella vicenda processuale, che ha restituito dato totalmente erroneo rispetto a quanto trascritto nella versione originaria Dall’ascolto della conversazione da cui il GIP aveva desunto l’esistenza di un patto corruttivo, fondato sullo scambio di prestazioni professionali gratuite favore del senatore COGNOME, del quale COGNOME era segretario, per il conferimento di commesse pubbliche all’arch. COGNOME, si evince non vi era una correlazione dato che la frase pronunciata dall’architetto e posta a fondamento del grave quadro indiziario non era i “miei lavori per la sua villa” ma “i p lavori della mia vita”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto al capo 7) rileva la difesa che la mancata aggiudicazione della gara non poteva dirsi determinata da un intervento turbativo del Di COGNOME e del suo dominus COGNOME posto che sulla legittimità della determina di annullamento della gara da parte del dott. COGNOME si era già pronunciato i Tar Lombardia.
Quanto alle pronunce assolutorie relative ai capi 1) e 2) già adottate dal Tribunale e confermate dalla Corte era, comunque, stato delineato il ruolo del COGNOME quale mero nuncius del senatore COGNOME. COGNOME, per il ruolo di segretario ricoperto, non avrebbe potuto operare in autonomia e, comunque, gli interventi finalizzati alla restituzione degli incarichi al Bianchi costit
mere sollecitazioni che non consentivano di ipotizzare la sussistenza del reato contestato. Quanto al capo 2, come confermato in dibattimento dal direttore NOME COGNOME, il tenore delle conversazioni non avrebbe potuto essere tradotto in una pressione volta a condizionare l’autonomia decisionale in merito al trasferimento scaturito dal rinvio a giudizio del Bianchi in un procediment penale pendente a Sondrio. Rileva la difesa che la sussistenza della colpa grave in ordine alla condotta endroprocessuale del Di Capua appare inconferente.
Secondo la difesa sarebbe inconferente il mendacio del Di Capua in relazione ai contatti frequenti intrattenuti con il COGNOME avendo negato primo, già dalla fase delle indagini preliminari, di essere a conoscenza dell pendenze penali di costui e ancora, nel corso del dibattimento, la circostanza che COGNOME gli avrebbe chiesto di essere introdotto nel settore ell’edil ospedaliera (così contraddicendo quanto riferito al P.M. in sede di interrogatorio).
Secondo la difesa il COGNOME, da subito, si è mostrato collaborativo e, comunque, il Tribunale di Milano ha escluso che COGNOME e COGNOME fossero a conoscenza del rinvio a giudizio del COGNOME non avendo la Procura fornito prova di ciò.
Quanto all’avere, il COGNOME, affermato in dibattimento, che COGNOME gl aveva chiesto di essere introdotto nel settore dell’azienda ospedaliera, così contraddicendo quanto detto al P.M. in sede di interrogatorio, si tratta aspetto non scrutinabile dal giudice della cautela ma da quello della cognizione che era il solo a potere valutare la sussistenza del mendacio.
Il difensore, ancora, contesta l’argomento speso dalla Corte secondo cui COGNOME, lungi dall’avere contattato COGNOME – dopo la perquisizione subita per “consolare un amico”, abbia piuttosto mostrato interesse per l’esito dell’atto di p.g. al fine di valutare un possibile coinvolgimento del senat COGNOME nella vicenda.
Il P.G. in persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
L’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria chiedendo la conferma dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è manifestamente infondato.
L’ordinanza impugnata non rimane scalfita dalle censure mosse con il ricorso che, per lunga parte (fino a pagina 11), prospetta e ribadisce che le pronunce assolutorie sono state adottate sulla scorta del medesimo compendio indiziario che era stato posto alla base della ordinanza cautelare sicché «pur a fronte dell’autonomia dei due giudizi ossia quello della cautela da un lato e quello del giudice penale della cognizione dall’altro, il dolo o l colpa grave non possono essere desunti da condotte che le sentenze di assoluzione abbiano ritenuto non sussistenti o non sufficientemente provate….»
E’ il caso di rammentare che l’art. 314 cod. proc. pen. prevede, al primo comma che chi è prosciolto con sentenza irrevocabile ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare, «qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave».
Il secondo comma dell’art. 314 cod. proc. pen. prevede che lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando «con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso e mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen».
Il ricorrente, a ben vedere, non contesta il giudizio espresso dalla Corte della riparazione in merito ai profili di colpa grave che sono stat ravvisati proprio nelle condotte che hanno dato luogo all’emissione della ordinanza custodiale ma ribadisce l’insussistenza della colpa grave del ricorrente sotto il profilo extraprocessuale ricavandola dalle pronunce assolutorie emesse «sulla base del medesimo compendio indiziario sussunto alla base dell’ordinanza restrittiva».
Invero, con l’istanza introduttiva si era argomentato che l’ordinanza applicativa della custodia cautelare si sarebbe fondata su un quadro indiziario tutt’altro che grave e che il Di Capua, sin dalle prime battute s era attivato per chiarire la sua posizione, per dimostrare la propria estraneità ai fatti. Si ricava, all’evidenza, la mancanza di alcun riferiment all’assenza ab origine dei gravi indizi di reità e alla medesimezza degli elementi valutati dal giudice della cautela prima e dal giudice del merito poi, che configurano gli indici della ingiustizia della detenzione di cui all’ar 314, co. 2 cod. proc.
Da quanto detto risulta evidente che la critica posta all’ordinanza impugnata, mediante una prospettazione di ingiustizia formale, è del tutto nuova e come tale inammissibile.
A tale proposito va ricordato l’insegnamento di questa Corte di legittimità secondo cui non possono essere dedotte, con il ricorso per cassazione, questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciarsi, in quanto non devolute alla sua cognizione (Sez. 3 n. 16610 del 24/01/2017, Rv. 269632). In ogni caso la critica alla ordinanza impugnata avrebbe dovuto rappresentare e dare dimostrazione che alla Corte della riparazione era stata prospettata la identità degli elementi che erano stati posti alla base dell’ordinanza cautelare rispetto a quelli che avevano condotto alla sentenza di assoluzione perché solo tale identità renderebbe irrilevante la colpa grave ostativa (Sez. U. n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663 – 01).
Il ricorso, inoltre, facendo discendere il diritto alla riparazione da sentenza di assoluzione non si confronta affatto con l’ampia motivazione posta dalla Corte della riparazione a fondamento del provvedimento reiettivo, in piena adesione ai principi giurisprudenziali sanciti in subiecta materia, congruamente richiamati.
4.1. Il giudice della riparazione, infatti, dopo avere ripercorso l vicende relative alla custodia cautelare patita dal Di Capua, nonché i fatti posti a fondamento delle imputazioni poste a suo carico, proprio nel solco dei principi giurisprudenziali richiamati in tema di riparazione, da pag. 10 a pag. 26 ha analizzato e congruamente valutato tutti gli elementi sulla scorta dei quali ha fondato il rigetto dell’istanza. A tanto la Corte ha proceduto facendo specifico riferimento a ciascuna delle imputazioni ponendo a confronto gli argomenti spesi dal giudice della cautela nell’ordinanza genetica con quelli addotti nei giudizi di merito a sostegno delle pronunce assolutorie, per nulla neutralizzati.
4.2. Così, con riferimento al reato sub 1) da cui COGNOME è stato assolto in primo grado, i giudici della riparazione hanno spiegato che la vicenda era scaturita dall’ordine di servizio n. 9 del 12 aprile 2012 con cui il Provveditor vicario alle opere pubbliche, NOME COGNOME aveva ridimensionato gli incarichi del RUP, NOME COGNOME, funzionario del suddetto Provveditorato, in relazione ai progetti di edilizia scolastica non ancora avviati, in ragion del procedimento penale instaurato a suo carico a Sondrio, per delitti di corruzione propria e turbativa d’asta in relazione al quale era stato, anche sottoposto a misura cautelare. La decisione aveva determinato grave malcontento nel Bianchi il quale si era rivolto direttamente al senatore COGNOME che, pur non essendo più sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti con delega al settore dell’edilizia scolastica, era
ancora senatore ed era affiancato dal COGNOME in qualità di segretario politico. Tant’è che Bianchi interloquiva, da subito, direttamente con COGNOME al quale chiedeva di sollecitare un intervento del suo “capo” per tentare di rimediare.
La Corte della riparazione ha riportato da pag. 11 a pagina 17 una moltitudine di conversazioni e messaggi intercorsi tra COGNOME e COGNOME dai quali è emersa la piena consapevolezza da parte del COGNOME delle vicende giudiziarie occorse al COGNOME che costituivano la ragione del ridimensionamento del suo incarico elargendo consigli ed esortazioni, strategie e suggerimenti sul modo di relazionarsi con il nuovo Provveditore.
Quanto al comportamento endoprocessuale rappresentato dal mendacio del COGNOME in dibattimento, la Corte della riparazione lo ha desunto anche dall’analisi delle dichiarazioni rese dal COGNOME, giudicato separatamente il quale ha confermato che COGNOME gli avrebbe detto che si sarebbe attivato con COGNOME affinchè venisse ripristinata la situazione precedente all’emanazione dell’ordine di servizio n. 9 e che aveva all’uopo predisposto una lista degli incarichi che gli erano stati sottratti per esercitare pressio sul nuovo provveditore affinché gli venissero restituiti, almeno in parte.
Ha riportato la Corte della riparazione il passaggio motivazionale della sentenza assolutoria pronunciata dal Tribunale di Milano (pagg. 55 e 56) laddove ha rilevato che, sebbene non integrative della fattispecie di concussione addebitata, non rimaneva esclusa la «sussistenza di inviti pressanti alla restituzione degli incarichi a NOME da parte degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti del Provveditore NOME COGNOME» pur non rafforzati dalla prospettazione del male ingiusto descritto in imputazione, ossia la minaccia della revoca delle convenzioni da parte dei Comuni. Come pure la Corte della riparazione ha riportato il passaggio in cui il Provveditore COGNOME ha escluso una “idoneità sollecitatoria” ricollegabile a Di Capua”, pur ammettendo di avere da costui ricevuto delle telefonate.
4.2. La Corte della riparazione è poi passata all’esame del materiale posto a fondamento dell’ipotesi di cui al capo 2, relativa alla tentata concussione nei confronti del direttore del personale del Ministero dei trasporti, NOME COGNOME e ha ritenuto di individuare un comportamento del Di Capua improntato a macroscopia inosservanza di norme di lealtà e trasparenza comportamentale evidenziando che la procedura di trasferimento avviata nei confronti di COGNOME era imposta dall’art. 3 della legge n. 97/2001 in seguito al rinvio a giudizio del funzionario per il delit di concussione, nel procedimento penale pendente a Sondrio. Bianchi di ciò
aveva avvisato COGNOME, come si ricava dalle dichiarazioni del coimputato e dalle intercettazioni riportate e costui si era attivato informando il senator COGNOME sollecitandolo ad intervenire presso il Direttore del personale COGNOME cosa che effettivamente avveniva poiché COGNOME interveniva presso l’ing. COGNOME per evitare che il Ministero assumesse i provvedimenti di trasferimento di COGNOME e per garantirgli di conservare gli incarichi.
La Corte della riparazione ha rilevato, nell’autonomia di giudizio che le è propria, che, per quanto all’esito del dibattimento gli accadimenti non siano stati ritenuti idoneo a configurare un tentativo di concussione, gli stessu sono stati espressamente inquadrati nell’ambito di un “abuso soggettivo” ascrivibile a COGNOME e COGNOME, sulla scorta del richiamo alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 1228/2014, essendosi, comunque, trattato di una «ingerenza nelle prerogative del privato comunque odiosa, comunque contrastante con i principi generali di imparzialità e buon funzionamento della pubblica amministrazione».
4.3. Ancora, il giudice della riparazione, passando all’esame della vicenda oggetto dell’imputazione sub 6) ha evidenziato che pur non essendosi individuato un accordo corruttivo tra il senatore COGNOME e l’arch. NOME COGNOME per ottenere una serie di commesse relative alla ritrutturazione di strutture ospedaliere site nel pavese, la pronuncia di assoluzione nei confronti di COGNOME, COGNOME e COGNOME, pur fondata sulla carenza di prova in ordine alla effettiva sussistenza di un accordo in tal senso, funzionale a «ripagare COGNOME di talune opere, realizzate a titolo gratuito a favore di COGNOME ed altri membri della sua famiglia», ha dato per accertate pratiche descritte come “men che commendevoli” messe a punto dal politico anche per il tramite del proprio segretario COGNOME. In altri termini la Corte di merito ha evocato le “raccomandazioni” a vantaggio del COGNOME presso diversi direttori sanitari di aziende ospedaliere contattat direttamente dal COGNOME, tra i quali NOME COGNOME Direttore Generale dell’AST di Pavia, contattata direttamente dal COGNOME per metterla in contatto con l’architetto di fiducia del suo “capo”, NOME COGNOME.
4.4. Il giudice della riparazione ha, ancora, evidenziato una serie di circostanze che, al netto della assoluzione cui è pervenuta la Corte di merito, sono rimaste accertate ossia: l’incontro avvenuto del 9.1.2014 tra di Capua e la COGNOME, molto vicina a COGNOME che in quel frangeste gestiva la ristrutturazione degli ospedali dell’area del pavese; la richiesta del 10.1.2014 da parte di Di Capua a COGNOME di inviare il curriculum da girare alla COGNOME che era in cerca di nominativi di progfessionisti; l’incontro tr COGNOME, COGNOME e la COGNOME nei pressi del palazzo della INDIRIZZO il 20 gennaio 2014 in cui era presente anche il responsabile dell’ufficio tecnico
dell’azienda ospedaliera, tale NOME COGNOME. Si è ritenuto ricorrere una attività di ingerenza nella individuazione dei soggetti a cui affidare i lav di ristrutturazione da compiere presso gli ospedali interessati, intromissione che è stata ritenuta dalla Corte di merito, prassi “non commendevole”.
Sul punto la Corte ha anche individuato un profilo di colpa endoprocedimentale laddove ha richiamato le dichiarazioni rese dal Di Capua ed in specie pag. 48 delle trascrizioni dell’udienza nel giudizio di primo grado, laddove lo stesso aveva negato di avere mai ricevuto alcuna richiesta esplicita da parte di NOME COGNOME di essere introdotto nel mondo degli appalti della sanità pubblica diversamente da quanto aveva dichiarato al Pubblico Ministero nell’interrogatorio del 28 ottobre 2015.
4.5. Quanto alla originaria contestazione di concorso nella corruzione descritta al capo 6.4 i giudici della riparazione hanno ritenuto ostativa perché gravamente colposa, anche la condotta tenuta dal Di COGNOME all’esito della perquisizione eseguita dalla Guardia di Finanza presso lo studio dell’architetto COGNOME. Di Capua, tempestivamente avvisato dell’accaduto,, ha ripetutamente incontrato il COGNOME e nella conversazione del 22.6.2014 il Di COGNOME ha riferito al sentatore COGNOME che avrebbe incontrato il “loro amico ” NOME COGNOME in piscina a Gattinara.
Argomentando in maniera coerente con i dati obiettivi non negati dalle sentenze assolutorie, ha ritenuto che la conversazione tra COGNOME e COGNOME, lungi dall’essere riferita all’intento del DI COGNOME di “confortare l’amico” come riferito dallo stesso COGNOME nel corso dell’esame, fosse funzionale a comprendere meglio i contenuti e il contesto della perquisizione, dando adito ad un suo diretto interesse nella vicenda .
4.6. Infine quanto alla assoluzione dall’imputazione di turbata libertà dagli incanti di cui al capo 7) la Corte di merito, secondo i giudici dell riparazione sarebbe pervenuta alla insussistenza del fatto sulla base della “sostanziale legittimità dell’azione amministrativa posta in essere dal presunto esecutore materiale della turbativa, ossia il diretore generale dell’ASL Milano 1, NOME COGNOME il quale aveva deciso di non aggiudicare l’appalto del servizio di pazienti nefropatici, prorogando le convenzioni già esistenti con le associazioni territoriali tra cui la Croce Azzurra Ticina Secondo la Corte della riparazione, l’esito assolutorio nei riguardi degli imputati sul presupposto della esistenza di “un quadro probatorio solo suggestivo di interventi indebiti ab externo” va letto in uno al ruolo svolt dal Di COGNOME nella vicenda. Costui ha palesato un interessamento in ordine alla possibilità di annullare o meno la gara, espresso nelle varie interlocuzioni con il direttore Generale COGNOME, peraltro, nel suo ruolo di segretario politico che non avrebbe avuto alcun titolo per monitorare
l’andamento della gara o di proporre a COGNOME figure idonee a svolgere assistenza e consulenza legale sulla questione dell’eventuale annullamento. Ha riportato la Corte territoriale la trascrizione della conversazione tra D COGNOME e COGNOME (pagg. 24 e ss.) che, se come affermato a pag. 237 della sentenza della Corte di appello «non può essere univocamente interpretato come l’istigazione ad ottenere una copertura legale di una operazione illecita in corso di attuazione», non può per ciò stesso escludere la valenza sintomatica nell’ambito del quadro indiziario posto al vaglio del giudice della cautela con riguardo al tempo in cui questa fu emessa e mantenuta.
Con tutti i sopraesposti argomenti posti dalla Corte della riparazione a sostegno del rigetto della istanza di riparazione il ricorso non si è affatt confrontato con la conseguenza che lo stesso deve ritenersi inammissibile per genericità del motivo proposto.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ritenuto – alla luce della sentenza n. 186 del 13 giugno 2000 della Corte costituzionale – che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità».
Non si procede alla liquidazione delle spese sostenute dal Ministero resistente cui conseguirebbe la condanna del ricorrente alla rifusione delle stesse. La memoria depositata, invero, si limita a riportare principi giurisprudenziali in materia di riparazione per ingiusta detenzione senza confrontarsi con i motivi di ricorso sicché non può dirsi che l’Avvocatura dello Stato abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa del ricorrente (Sez. U., n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716; Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Nulla per le spese al Ministero resistente.
Deciso il 26 novembre 2024