Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 3000 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 3000 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE c/o NOME nato a VILLAROSA il 20/08/1966
avverso l’ordinanza del 29/04/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Caltanissetta, con ordinanza del 29 aprile 2024, ha condannato il Ministero dell’Economia e Finanze al pagamento dell’indennizzo per la somma di euro 215.067,84 a favore di NOME COGNOME in relazione alla detenzione subita dal 22 febbraio 2017 al 21 agosto 2019 nell’ambito del giudizio penale nel quale il suddetto era imputato del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. per avere fatto parte,unitamente ai fratelli, dell’associazione mafiosa denominata “clan Nicosia” operante in Villarosa, finalizzata a commettere delitti quali omicidi, usura, traffico di sostanze stupefacenti e reati in materia di armi.
1.1. La Corte della riparazione dopo avere richiamato principi giurisprudenziali in materia di riparazione ha evidenziato che l’ordinanza custodiale era fondata sulle dichiarazioni di collaboratori di giustizia che ha passato in rassegna, rilevando che molte di esse si riferivano al fratello dell’odierno ricorrente, NOME COGNOME Talune propalazioni non attribuivano condotte illecite specifiche ad NOME COGNOME altre ancora si caratterizzavano per genericità laddove si sosteneva che “i fratelli NOME comandavano a Villarosa” o che erano “temuti” sia pure facendo riferimento prevalentemente al fratello NOME. Ancora, la Corte della riparazione ha rilevato che i collaboratori, nel richiamare l’attività avente ad oggetto il traffico di sostanze stupefacenti, non facevano riferimento a condotte illecite poste in essere dal Nicosia successive alla data di commissione del reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90 già giudicato in via definitiva; che le dichiarazioni che attribuivano il ruolo di “responsabil del paese” di Villarosa ai fratelli COGNOME non risultavano comprovate da condotte specifiche e che “il protagonismo nel campo dell’usura” sarebbe stata affermazione rimasta vaga e in termini di sospetto. Il collaboratore COGNOME che pure aveva riferito dell’attività usuraria svolta dai fratelli COGNOME (“erano una sorta di banca”) non indicava episodi specifici. Quanto alle attività illecite usurarie poste in essere dai COGNOME erano state acquisite le dichiarazioni di tale NOME COGNOME il quale riferiva di un incontro con NOME COGNOME a Dittaino al quale era presente anche il fratello NOME che, tuttavia, era rimasto in silenzo. Del pari generiche sono state ritenute le vicende relative a un tale NOME COGNOME la cui ex moglie aveva venduto mobili ad NOME COGNOME e ai suoi parenti «che potrebbe essere valorizzato come condotta ostativa al riconoscimento dell’indennizzo richiesto solo se connesso strettamente al differente reato per il quale il predetto è stato sottoposto alla misura detentiva». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso l’ordinanza in parola, ha proposto ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze affidandolo a due motivi.
2.1 Con il primo si deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. d) ed e) cod. proc. pen. sotto il profilo della motivazione carente e contraddittoria in relazione alla ritenuta esistenza dei presupposti di cui all’art. 314 cod. proc. pen. L’esistenza di precedenti per narcotraffico esercitato in forma associata, usura ed estorsione commessi nel medesimo arco temporale di riferimento del contestato reato associativo di tipo mafioso, considerato che il narcotraffico, l’usura e l’estorsione sono delitti scopo, frequentemente connessi alle finalità delle associazioni mafiose, non può essere considerato elemento irrilevante nella valutazione dell’aver dato causa alla detenzione, valutazione del tutto autonoma rispetto a quella preordinata all’accertamento della responsabiltà penale.
2.2 Con il secondo si deduce la mancanza e contraddittorietà della motivazione e conseguente violazione dell’art. 315 cod. proc. pen nella quantificazione dell’indennizzo.
Il P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il motivo di ricorso con cui si censura, in termini di violazione di legge e vizio di motivazione, l’esclusione in capo al Nicosia di condotte gravemente ostative al riconoscimento del diritto alla riparazione è fondato e assorbente.
Come lamenta il Ministero ricorrente i giudici della riparazione hanno operato una valutazione di comportamenti tenuti dal Nicosia che si limita a riprodurre lo schema argomentativo usato dalla sentenza assolutoria senza operare un autonomo accertamento dell’eventuale concorso di colpa dell’interessato. Detta valutazione contraddice i principi della giurisprudenza, nel solco dei quali, purtuttavia, la Corte nissena ha premesso di operare.
E’ noto che in tema di equa riparazione per ingiusta detenzione costituisce causa impeditiva all’affermazione del diritto invocato, l’avere, l’interessato, dato causa, per dolo o colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare. L’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria per far sorgere il diritto all’indennizzo, deve essere accertata dal giudice, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito e deve tendere a stabilire non se tale condotta integri estremi di reato, quanto piuttosto se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di un errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come
illecito penale (Sez. 4, n. 2145 del 13/01/2021).
Nel caso in esame, la Corte della riparazione, nel valutare la ricorrenza dei presupposti del chiesto indennizzo, sembra confondere i piani della responsabilità penale, già negativamente acclarata, con la necessaria valutazione dell’eventuale comportamento doloso o gravemente colposo dell’imputato, sinergico rispetto alla misura cautelare adottata.
L’ordinanza impugnata non pare tenere conto della totale autonomia esistente tra il giudizio penale e quello della riparazione che, come è noto, attengono a piani del tutto diversi che possono portare a differenti conclusioni anche se fondate sul medesimo materiale probatorio acquisito. Diverso, infatti, è il vaglio di detto materiale perché diversi sono i parametri di valutazione poiché in sede di riparazione i fatti sono oggetto di una rivalutazione che attiene non alla loro portata indiziaria o probatoria, che ben può essere ritenuta insufficiente ai fini della affermazione della responsabilità penale, quanto, piuttosto, se le condotte tenute dall’interessato, connotate da negligenza o imprudenza siano state idonee a determinare l’adozione della misura cautelare traendo in inganno il giudice.
La Corte nissena, dopo avere premesso che “l’ordinanza genetica è fondata quasi esclusivamente su dichiarazioni dei collaboratori di giustizia” ripercorre pedissequamente la sentenza di assoluzione della Corte di merito e nel fare ciò assume che “quasi tutte le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia” riguarderebbero fatti riconducibili alla condanna riportata dal ricorrente per il reato di cui all’art. d.P.R. n. 309/90 commesso in Villarosa, Enna e altrove dal 1997 al 1999 (sentenza del GUP del Tribunale di Caltanissetta del 25 gennaio 2000 confermata dalla Corte di appello di Caltanissetta il 2 marzo 2001). Viene rilevanto, inoltre, che le dichiarazioni valorizzate dal GIP con le quali era stato attribuito ai fratelli COGNOME un ruolo d “responsabili del paese” e un protagonismo nel caso dell’usura, “come affermato nella sentenza di assoluzione” sarebbero rimaste vaghe e “come tali non integranti la condizione ostativa al riconoscimento del beneficio invocato”.
La Corte ha, tuttavia, trascurato una serie di elementi che pure si ricavano dalla stessa sentenza di assoluzione, per quanto ritenuti non idonei a fondare un giudizio di responsabilità del Nicosia in relazione al reato associativo contestatogli.
Va innanzitutto rammentato che NOME COGNOME era chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. per avere fatto parte dell’associazione denominata “RAGIONE_SOCIALE” costituita per commettere delitti quali omicidi, usura, traffico di sostanze stupefacenti e porto di armi nonché per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o il controllo di attività economiche quali la gestione di negozi
e il controllo esclusivo di terreni adibiti a pascolo ed agricoltura dalla fine degli ann 1990 al 2013.
Il fatto che la Corte territoriale abbia concluso nel senso di ritenere i fatti partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti commessi dal 1997 al 1999 coperti dal giudicato, non significa che delle condotte antecedenti non possa non tenersi conto ai fini del decidere sulla istanza di riparazione.
Si tratta, invero, di fatti per nulla esclusi dalla Corte di merito che, anzi, ha dat atto di “una consolidata precedente rete relazionale facente capo agli odierni preveuti nell’ambito del narcotraffico” affermando, tuttavia, che le risultanze istruttorie “non hanno dato piena contezza della simultanea e successiva sussistenza, nel contesto territoriale del comune di Villarosa, di un’organizzazione capeggiata dai medesimi, aventi i caratteri tipici di cui all’art. 416 bis comma 3 c.p. … del tutto autono rispetto alla nota organizzazione criminale denominata RAGIONE_SOCIALE“.
Sotto altro profilo, la Corte territoriale se è vero che ha assolto il Nicosia “svalutando” le dichiarazioni dei collaboratori, non per questo ha negato fatti e circostanze che dovevano essere prese in considerazione ai fini della riparazione. Né ha escluso l’esistenza di condotte illecite tenute dall’imputato assolto, lungo tutto l’arco temporale oggetto della contestazione.
A titolo esemplificativo, oltre quanto detto con riferimento ai reati in materia di narcotraffico, pure presi in considerazione del giudice della cautela e che il giudice ha ritenuto “ragionevolmente” coperti dalla sentenza di condanna già definitiva, appare opportuno richiamare pagina 5 dell’ordinanza impugnata laddove si leggey«né la rivalutazione di due specifici episodi già giudicati (i delitti di usura ed estorsione a danni di NOME NOME e le vicende relative a Paternò Salvatore) possono ritenersi predittivi della dimensione “diffusa” di quell’esercizio del potere d intimidazione tale da integrare la condizione normativa descritta dall’art. 416 bis comma 3, cod. pen.” A ben vedere per quanto i giudici dell’appello non abbiano ritenuto provata la dimensione mafiosa di quel sodalizio criminale destinato ad operare nel settore degli omicidi, dell’usura, del narcotraffico, ecc. del quale si sarebbero resi protagonisti NOME e i suoi fratelli, la stessa Corte territoriale ha dato atto della ricorrenza di plurime condotte illecite tenute dall’istante, già giudicate, che di quel sodalizio erano state ritenute dal GIP e poi dal Tribunale costituire i reati fine.
Come pure la Corte della riparazione non ha sottoposto ad autonomo giudizio ai fini che le erano richiesti, l’argomento speso a pagina 5 della sentenza assolutoria dove si legge «mette conto ulteriormente soggiungere che le investigazioni eseguite dagli operanti di P.G. hanno evidenziato un esponenziale incremento di attività
economiche riconduci COGNOME ili ai fratelli NOME, frutto evidente, però delle attività illeci svolte dai medesimi nel capo dell’usura e del traffico di stupefacenti. Ma nulla di più».
In sostanza, la Corte della riparazione ha sostanzialmente operato una diretta quanto acritica Otitst~2 tra la sentenza di assoluzione e il diritto alla riparazione, creando una commistione dei distinti piani di giudizio.
Ne è indice eloquente il passaggio motivazionale riportato a pagina 8 della motivazione laddove si legge, con riferimento alle attività illecite usurarie poste in essere dai “fratelli” COGNOME che erano state acquisite le dichiarazioni di tale NOME COGNOMEsecondo il quale “con i Nicosia non si doveva scherzare” ma che aveva riferito esclusivamente di suoi rapporti economici con NOME COGNOME anche se una volta al Dittaino lo aveva incontrato con il fratello NOME che tuttavia era rimasto in silenzio».
Anche sotto tale profilo, la Corte della riparazione avrebbe dovuto valutare, e non avendolo fatto provvederà il giudice del rinvio, se la natura di incontri di tal fatta pur non ritenuti rilevanti a fondare un giudizio di colpevolezza del ricorrente rispetto a dinamiche criminali associative, fossero comunque indice di una contiguità criminale o di una connivenza, rispetto a fatti di contenut6 intrinsecamente criminale. Se cioè un incontro del genere, al netto del silenzio serbato nell’occasione dall’odierno ricorrente, fosse indice quantomeno di una frequentazione ambigua, di una connivenza sia pure con il fratello NOME macchiatosi di gravi reati.
Sul punto questa Corte, infatti, ha affermato il principio secondo cui le frequentazioni ambigue possono integrare un comportamento gravemente colposo, ostativo al riconoscimento del diritto all’indennizzo, anche nel caso in cui intervengano con persone legate da rapporto di parentela, purché siano accompagnate dalla consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti e non siano assolutamente necessitate (Sez. 3 n. 29550 del 05/07/2019, Rv. 277475 -01).
In definitiva l’ordinanza impugnata omette in concreto di confrontarsi, sotto il profilo del dolo e della colpa ostativi e non della idoneità a fondare un giudizio di responsabilità penale ) con circostanze che si ricavano dalla stessa sentenza di assoluzione e che richiedevano un diverso scrutinio.
E’ appena il caso di rmamentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del
procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit” secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 dei 13/12/1995 dep. il 1996, COGNOME ed altri, Rv. 203637).
E’ del pari noto che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, deve valutare la condotta tenuta dall’interessato sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura, verificando l’incidenza causale del dolo o della colpa grave della condotta tenuta rispetto alla applicazione del provvedimento custodiale.(Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, COGNOME, Rv. 247664).
Ancora più recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dover ulteriormente precisare che ai fini del riconoscimento dell’indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in rilievo solo l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la “ratio” solidaristica che è alla base dell’istituto (così Sez. Unite, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, rv. 257606).
Da quanto detto discende l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Catania per un nuovo giudizio da svolgersi in maniera coerente ai principi di diritto richiamati (invero, dalla stessa Corte della riparazione) rimettendo al giudice ad quem le questioni inerenti alla regolamentazione tra le parti delle spese processuali, comprese quelle di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Caltanissetta.
Deciso il 24 ottobre 2024
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