Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 15710 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 15710 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a ORGOSOLO il 16/01/1975
avverso l’ordinanza del 19/09/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni della Procura generale, in persona del Sostituto Procuratore
NOME COGNOME nel senso del rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Cagliari (Sezione distaccata di Sassari), quale giudice della riparazione, ha rigettato l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME ex art. 314 cod. proc. pen., avente a oggetto il riconoscimento di un equo indennizzo per l’ingiusta detenzione prospettata come patita in forza di ordinanza cautelare emessa con riferimento ai reati di rapina, tentato omicidio e in materia di armi. Trattasi di fattispeci contestate come commesse in concorso con altri soggetti, con riferimento alle quali il richiedente è stato assolto, per non aver commesso il fatto, con sentenza d’appello irrevocabile emessa all’esito del giudizio di rinvio (con la quale è stata ribaltata in senso assolutorio una c.d. «doppia conforme» di condanna).
Avverso l’ordinanza, nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso fondato su due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con il primo motivo si deduce la manifesta illogicità dell’apparato motivazionale sotteso alle accertate condotte di NOME COGNOME ritenute dal giudice della riparazione gravemente colpose, e alla sinergia rispetto all’intervento dell’Autorità (in termini di adozione dell’ordinanza cautelare e di suo mantenimento).
La Corte territoriale, in primo luogo, non si sarebbe confrontata con la sentenza assolutoria che, a dire del ricorrente, nel ritenere (a pag. 11) che «gli indizi a carico dei tre imputati appaiono fondati su dati incerti», avrebbe «indirettamente» escluso le circostanze fattuali invece sottese alle accertate condotte ostative alla riparazione. Il riferimento sarebbe al mendacio di NOME COGNOME ai Carabinieri, quanto ai suoi spostamenti nel contesto spaziotemporale della rapina e della sua preparazione, in particolare nelle giornate del 15 e 16 agosto 2008, e alla frequentazione con i due autori del reato, antecedentemente alla rapina e durante la loro fuga dopo l’esecuzione del reato.
Il giudice di merito non si sarebbe peraltro confrontato con la sentenza rescindente, essendosi fondato l’annullamento della prima sentenza d’appello proprio sull’apparato motivazionale sotteso al ragionamento logico-inferenziale e, in particolare, in ordine all’accertamento e alla gravità degli elementi indiziari Prova ne sarebbe il riferimento che la Corte di cassazione, nell’annullare la sentenza d’appello, avrebbe fatto alla mancata gravità degli indizi emergenti dalla conversazione delle ore 16:45 del 16 agosto 2008, non potendosi con certezza argomentare dal solo dialetto utilizzato dall’interlocutore che questi fosse proprio l’attuale ricorrente. Parimenti dicasi con riferimento alla ritenuta
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mancata permanenza di NOME COGNOME in Orgosolo, nelle giornate del 15 e 16 agosto 2008, permanenza invece dedotta quale alibi nelle dichiarazioni rese ai Carabinieri. Sul punto, difatti, la Suprema Corte avrebbe evidenziato l’inconducenza dell’assunto per cui COGNOME non si fosse trovato a Orgosolo solo perché le forze dell’ordine, in quel giorno, non l’avrebbero visto in loco nonostante l’avessero ivi cercato.
A quanto innanzi si aggiungono altre circostanze che, nella valutazione del ricorrente, dovrebbero essere lette nel senso dell’insussistenza delle condotte ostative, ritenute invece accertate dal giudice di merito. In particolare, elementi emergenti dalla CNR sarebbero tali da determinare il superamento della valenza probatoria degli elementi di segno contrario valorizzati dal giudice di merito circa gli spostamenti di NOME COGNOME Gli esiti delle ulteriori intercettazioni agli atti la circostanza dell’assenza di graffi sulla persona di NOME COGNOME poi, a dire della difesa, condurrebbero a una decisione diversa da quella assunta dal giudice della riparazione. In tesi difensiva, si tratterebbe di elementi la cui lettura porterebbe a ritenere che l’attuale ricorrente non fosse con i due autori del reato al momento della loro fuga attraverso le campagne dopo la rapina con tentato omicidio, non avendo egli mostrato segni di graffi. Comunque, conclude sul punto il motivo in esame, il giudice di merito non avrebbe esplicitato l’iter logicogiuridico sotteso tanto alla ritenuta gravità della colpa, con riferimento alle descritte condotte, quanto alla loro sinergia rispetto all’intervento dell’autorità.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il difetto assoluto di motivazione circa la sussistenza dei danni lamentati dal ricorrente come invece causalmente ricollegati all’ingiusta detenzione.
La Procura generale ha concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile per plurimi profili.
2.1. L’apparato motivazionale dell’ordinanza impugnata, di seguito sintetizzato, rende manifestamente infondato il profilo di censura deducente l’illogicità manifesta del percorso logico-giuridico seguito dal giudice della riparazione nell’accertamento della condotta gravemente colposa e sinergica rispetto all’intervento dell’autorità.
Il giudice della riparazione, difatti, nel confrontarsi con la sentenza assolutoria (emessa in sede rescissoria) ha fatto corretta applicazione dei principi
governanti la materia, nei termini sintetizzati di recente da Sez. 4, n. 30820 del 13/06/2024, COGNOME e in questa sede condivisi e ribaditi.
In tema di riparazione per ingiusta detenzione, il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilir con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (ex plurimis: Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263 – 01; Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268952 – 01). La colpa grave di cui all’art. 314 cod. proc. pen., quale elemento negativo della fattispecie integrante il diritto all’equa riparazione in oggetto non necessita difatti di estrinsecarsi i condotte integranti, di per sé, reato, se tali, in forza di una valutazione ex ante, da causare o da concorrere a dare causa all’ordinanza cautelare (sul punto si vedano anche Sez. 4, n. 15500 del 22/03/2022, Solito, in motivazione; Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, B., Rv. 273996 – 01 1 in motivazione, oltre che i precedenti ivi richiamate, tra cui Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, Maltese, dep. 2014, Rv. Rv. 259082-01). Ai fini di cui innanzi è necessario uno specifico raffronto tra la condotta del richiedente (da ricostruirsi in considerazione della sentenza assolutoria) e le ragioni sottese all’intervento dell’autorità e/o alla sua persistenza (Sez. 3, n. 36336 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277662 – 01, nonché Sez. 4, n. 27965 del 07/06/2001, COGNOME, Rv. 219686 – 01), con motivazione che deve apprezzare la sussistenza di condotte che rivelino (dolo o) eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazioni di leggi o regolamenti che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 20963 del 14/03/2023, Tare, in motivazione; Sez. 4, n. 27458 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 276458 – 01, e anche, tra le altre, Sez. 4, n. 22642 del 21/03/2017, COGNOME, Rv. 270001 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per quanto di maggiormente rileva in questa sede, occorre quindi muovere non dagli elementi fondanti la misura cautelare bensì dall’accertamento della condotta del richiedente, anche in ragione dei fatti ritenuti provati o non esclusi dal giudice penale, per poi valutarla ai fini del giudizio circa la condizione ostativa del dolo o della colpa grave e del loro collegamento sinergico con l’intervento dell’autorità in relazione alle circostanze sottese all’ordinanza cautelare (si veda, in particolare, Sez. 4, n. 30820 del 13/06/2024, COGNOME, cit., la giurisprudenza di legittimità in essa richiamata, tra cui Sez. 4, n. 9910 del 16/01/2024, COGNOME).
2.2. Orbene, il ricorrente non confronta il suo dire con la rado decidendi sottesa all’ordinanza impugnata laddove deduce, peraltro in termini aspecifici, il mancato confronto con la sentenza assolutoria, per aver ritenuto accertati elementi fattuali invece da essa esclusi, oltre che l’omessa motivazione in merito alla ritenuta gravità della colpa caratterizzante la condotta ostativa e alla sua sinergia rispetto all’intervento dell’autorità (per l’inammissibilità del motivo di ricorso che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, tra le più recenti; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, cit.).
Il giudice della riparazione ha preliminarmente chiarito che tutte le circostanze sottese alla sua valutazione in merito all’accertamento della condotta ritenuta ostativa non sono state escluse dalla sentenza assolutoria e che, per converso, la stessa sentenza penale, pur confermandole, ha ritenuto gli indizi non tali da fondare la responsabilità in merito ai reati ascritti all’attual ricorrente.
L’ordinanza impugnata ha successivamente evidenziato in termini chiari le circostanze fattuali escluse dalla sentenza assolutoria e che, di conseguenza, esplicitamente non sono state poste a fondamento dell’accertamento in merito alla condotta ostativa. Il riferimento è, in particolare, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente: a) alla conversazione delle ore 16:45 del 16 agosto 2008, non potendosi con certezza argomentare dal solo dialetto utilizzato dall’interlocutore che questi fosse proprio l’attuale ricorrente; b) alla corrispondenza dei dati antropometrici di uno dei rapinatori con quelli di NOME COGNOME non ritenuta confermata dal giudice penale; c) alla identità del modello di vettura dell’attuale ricorrente rispetto a quello utilizzato dai rapinatori, anch’essa esclusa in sede penale.
Premesso quanto innanzi, il giudice della riparazione con motivazione non sindacabile in sede di legittimità, in quanto coerente e non manifestamente illogica, ha ravvisato sostanzialmente come essere triplice la condotta ostativa, gravemente colposa e sinergica rispetto all’intervento dell’Autorità, valorizzando le false dichiarazioni rese ai Carabinieri da NOME COGNOME le sue frequentazioni con i due rapinatori e la sua presenza, con essi, al momento delle fuga dopo l’esecuzione del reato.
Quanto al mendacio, il riferimento è alle dichiarazioni rese ai Carabinieri da NOME COGNOME in merito ai suoi spostamenti nel contesto spazio-temporale dell’eseguita rapina con tentato omicidio e della preparazione del delitto, in particolare nelle giornate del 15 e 16 agosto 2008. Al fine di escludere che COGNOME fosse rimasto sempre in Orgosolo, come da egli invece dichiarato, il giudice,
differentemente da quanto sostenuto dal ricorrente, ha valorizzato non solo il dato per cui appartenenti delle forze dell’ordine, in sede di servizio mirato a riscontrare l’eventuale presenza di Mele in paese, non abbiano notato la presenza del ricorrente ma anche e soprattutto altre circostanze. Il riferimento è, in particolare, agli esiti dell’intercettazione delle ore 12:54 del 16 agosto (n. 6194), eseguita quindi proprio mentre i due autori della rapina erano in fuga dopo l’esecuzione del reato. Nel corso di essa uno dei due rapinatori (Carta), come emerge dal provvedimento impugnato, evidenzia al suo interlocutore la necessità di chiamare il fratello dello stesso interlocutore e si ode proprio la voce dell’attuale ricorrente (riconosciuta dagli agenti operanti). Il giudice della riparazione ne trae la convinzione che l’attuate ricorrente, diversamente da quanto dichiarato da NOME COGNOME ai Carabinieri, si trovasse non presso la propria azienda agricola, bensì con i due rapinatori durante la loro fuga all’esito della rapina. A ciò si aggiunge anche la valutazione, in uno con la precedente captazione, dell’intercettazione delle ore 18:31, nel corso della quale uno dei rapinatori effettivamente contatta NOME COGNOME fratello dell’attuale ricorrente.
In uno con il mendacio di cui innanzi, sono state ritenute gravemente colpose e sinergiche rispetto all’intervento dell’Autorità anche la condotta consistite nell’accompagnarsi ai due rapinatori proprio durante la loro fuga attraverso i boschi o dopo l’eseguito crimine, come innanzi già evidenziato, e la frequentazione dei due autori (di cui uno anche pluripregiudicato). Trattasi, come chiarito dal giudice della riparazione, di frequentazione consapevole in quanto attuata nei giorni immediatamente antecedenti all’esecuzione della rapina ed estrinsecatasi anche in dialoghi intercettati e ritenuti dal giudice di merito suscettibili di ingenerare il convincimento del coinvolgimento di NOME COGNOME nel crimine da eseguire (ed effettivamente eseguito).
Dopo aver accertato la detta condotta ostativa, il giudice della riparazione ha ritenuto parimenti accertata la colpa grave caratterizzante l’agire del richiedente.
Il riferimento è all’accertato mendacio reso in occasione delle dichiarazioni rese alle forze dell’ordine oltre che all’essersi NOME COGNOME accompagnato ai due rapinatori non solo nei giorni antecedenti all’esecuzione del crimine, affrontando con loro discorsi, intercettati, ritenuti tali da ingenerare i convincimento di un suo coinvolgimento, ma anche al momento della fuga attuata attraverso le campagne dopo l’esecuzione della rapina.
All’esito, GLYPH rapportando GLYPH la GLYPH descritta condotta, GLYPH accertata anche in considerazione della sentenza assolutoria, con valutazione ex ante alle ragioni sottese all’ordinanza cautelare è stata ritenuta la stessa sinergica rispetto
all’intervento dell’autorità (in termini di adozione e mantenimento della misura cautelare), in quanto anch’essa fondante l’ordinanza cautelare.
2.3. Le doglianze, laddove lambiscono l’apparato argomentativo della sentenza impugnata, si presentano inammissibili ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. in quanto deducenti motivi diversi da quelli prospettabili in sede di legittimità (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione si vedano ex plurimis: Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, cit., tra le più recenti; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 – 01; si veda altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME Rv. 268822 – 01, in ordine ai motivi d’appello ma sulla base di principi pertinenti anche al ricorso per cassazione).
Trattasi di mere censure in fatto con le quali si prospettano anche erronee valutazioni probatorie del giudice di merito sottese all’apprezzamento delle circostanze valorizzate ai fini dell’accertamento della condotta ritenuta ostativa. Inammissibilmente il ricorrente vorrebbe difatti che le dette circostanze si leggessero nel senso dell’insussistenza della condotta ostativa. In particolare, si fa riferimento a elementi emergenti dalla CNR ) tali da fondare il superamento della valenza probatoria degli elementi di segno contrario, invece valorizzati dal giudice di merito circa gli spostamenti. di NOME COGNOME Gli esiti delle ulteriori intercettazioni agli atti e la circostanza dell’assenza di graffi sulla persona di NOME COGNOME poi, a dire della difesa, condurrebbero a una decisione diversa da quella assunta dal giudice della riparazione. La difesa, sostituendo la propria valutazione degli elementi probatori a quella del giudice di merito, sostiene che la loro lettura porterebbe a ritenere che l’attuale ricorrente non fosse con i due autori del reato al momento della loro fuga attraverso le campagne, realizzata dopo la rapina con tentato omicidio, non avendo egli mostrato segni di graffi.
Parimenti inammissibile per manifesta infondatezze è il secondo motivo di ricorso. Si censura difatti il difetto assoluto di motivazione in merito alla dedotta sussistenza di danni derivanti dell’ingiusta detenzione con riferimento a ordinanza che ha invece escluso la stessa sussistenza del presupposto della riparazione, cioè l’assenza della condotta gravemente colposa sinergica rispetto all’intervento dell’autorità.
In conclusione, all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende (misura ritenuta equa, ex art. 616 cod. proc. pen. come letto da Corte cost. n. 186 del 2000, in considerazione dei profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità emergenti dai ricorsi nei termini innanzi evidenziati).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così decis il 25 marzo 2025