Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44964 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44964 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nato a Onnegna il 13/12/1961, avverso l’ordinanza in data 22/12/2023 della Corte di appello di Torino, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 22 dicembre 2023, decidendo in seguito alla sentenza della Sezione Quarta della Corte di cassazione n. 32380 del 24/05/2023 di annullamento con rinvio, la Corte di appello di Torino ha rigettato nuovamente la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione presentata da NOME COGNOME
Il ricorrente, ristretto in carcere per plurimi episodi di peculato, indebito utilizzo di strumenti di pagamento e falso, lamenta la violazione di norme processuali e il vizio di motivazione perché la Corte di appello di Torino aveva
ravvisato la sua colpa grave nel fatto di non aver attivato i rimedi di legge per confutare l’interpretazione retroattiva dell’art. 1, comma 6, lett. b), legge n. 3 del 2019, che aveva introdotto tra i reati ostativi alla sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. anche molti reati contro la Pubblica Amministrazione, tra cui il peculato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
NOME COGNOME è stato ristretto in carcere dal 13 marzo 2019 al 14 febbraio 2020 in virtù dell’ordine del Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino di esecuzione della pena definitiva di anni 2, mesi 8 di reclusione per i reati di peculato, di indebito utilizzo di strumenti di pagamento e di falso. In data 14 febbraio 2020, il Procuratore generale ha sospeso l’esecuzione, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2020 che ha dichiarato illegittimo l’art. 1, comma 6, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3, cosiddetta “spazzacorrotti”, in quanto interpretato nel senso che «le modificazioni introdotte all’art. 4-bis, comma 1, ord. pen., si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge sull’ordinamento penitenziario, della liberazione condizionale prevista dagli art. 176 e 177 cod. pen. e del divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione previsto dall’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen.»
La Corte di appello di Torino ha rigettato la prima istanza del ricorrente, volta a ottenere la riparazione per ingiusta detenzione, perché il Procuratore generale aveva emesso l’ordine di esecuzione sulla base di un’interpretazione assolutamente consolidata all’epoca e perché dalle vicende successive all’ordine di esecuzione innanzi al Magistrato e al Tribunale di Sorveglianza si poteva desumere la colpa del ricorrente.
La Sezione Quarta della Corte di cassazione ha annullato con rinvio la predetta ordinanza perché – premesso che la riparazione per ingiusta detenzione inerisce anche all’esecuzione della pena per errore dell’autorità, in esso riconnpreso quello conseguente alla pronuncia di illegittimità costituzionale che ha efficacia retroattiva – ha osservato che la Corte di appello di Torino aveva rigettato l’istanza senza esaminare il profilo dell’illegittimità della patita detenzione, ovvero la mancata sospensione dell’ordine di esecuzione nel periodo intercorrente tra il 13 e il 27 marzo 2019.
Il 13 marzo 2019 era la data dell’inizio della carcerazione, mentre il 27 marzo 2019 era la data in cui il Magistrato di sorveglianza, pronunciandosi nel
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merito dell’istanza di applicazione dell’affidamento in prova, aveva ritenuto l’insussistenza degli elementi idonei a individuare il grave pregiudizio e aveva disposto la trasmissione degli atti per l’ulteriore corso al Tribunale di sorveglianza in applicazione della normativa antecedente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 6, lett. b), legge n. 3 del 2019, atteso che, diversamente opinando, avrebbe invece dovuto dichiararne l’inammissibilità. Dunque, nel periodo tra il 13 marzo e il 27 marzo 2019 il ricorrente era stato detenuto in virtù di un ordine di carcerazione basato su un’interpretazione dell’art. 1, comma 6, lett. b), legge n. 3 del 2019, secondo cui la modifica dell’elenco dei reati ostativi al riconoscimento dei benefici penitenziari dell’art. 4-bis ord. pen. aveva efficacia retroattiva, errata e sconfessata dalla Corte costituzionale. Nella sentenza rescindente la Sezione Quarta della Corte di cassazione ha chiaramente riconosciuto la sussistenza dei presupposti oggettivi per il riconoscimento dell’indennizzo, demandando al Giudice del rinvio la verifica di comportamenti di natura gravemente colposi addebitabili all’interessato.
La Corte di appello di Torino ha ritenuto, però, di ribadire il rigetto dell’istanza del ricorrente, ravvisando una colpa grave nel suo comportamento perché non aveva proposto l’incidente di esecuzione contro l’ordine di carcerazione del Procuratore generale, facendo valere l’illegittimità dell’interpretazione della norma, sul presupposto che il Giudice non avrebbe potuto rilevare . la questione d’ufficio.
E’ pacifico in giurisprudenza che la colpa grave ostativa alla riparazione per ingiusta detenzione è integrata, anche nell’ipotesi di esecuzione della pena definitiva, da tutti quei comportamenti, processuali o extraprocessuali, dell’interessato che abbiano indotto in errore l’Autorità giudiziaria, ma, nel caso in esame, l’illegittimità è dipesa dall’emissione dell’ordine di esecuzione da parte del Procuratore generale sul presupposto, successivamente rivelatosi errato, che la norma avesse applicazione retroattiva. Il condannato, quindi, non ha dato causa a questa interpretazione e, anzi, ha inutilmente adito il Magistrato di sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova. Vero è che non ha coltivato ulteriormente l’azione, perché ha rinunciato alla domanda dinanzi al Tribunale di sorveglianza che ha pronunciato il non luogo a provvedere determinando la protrazione della carcerazione, né ha sollevato l’incidente di esecuzione. Ma, all’epoca, era consolidato un diritto vivente nel senso più sfavorevole al reo che la Corte costituzionale ha successivamente sconfessato. La fattispecie è quindi sovrapponibile al caso già scrutinato da questa Corte con la sentenza Sez. 4, n. 44978 del 04/11/2021, COGNOME Rv. 282247 – 01, che ha annullato con rinvio l’ordinanza che aveva escluso il diritto all’indennizzo ravvisando una condotta gravemente colposa nel ritardo dell’istante nell’eccepire l’abbaio criminis e l’intervenuto indulto, senza attribuire rilievo all’omessa rilevazione delle medesime
evenienze da parte dell’autorità giudiziaria. Infatti, qualunque giudice e finanche il procuratore generale procedente, avrebbe potuto rilevare la scorrettezza dell’interpretazione retroattiva della norma della cosiddetta “spazzacorrotti”, poi, infatti, dichiarata incostituzionale. Ciò tanto più in considerazione del fatto che l’interessato aveva presentato l’istanza di affidamento in prova rispetto alla quale, a differenza di quanto prospettato dalla Corte di appello di Torino, poteva esserci spazio per sollevare anche d’ufficio la questione di legittimità costituzionale.
In generale, quindi, in caso di esecuzione della pena, la colpa grave non può dipendere da scelte difensive del condannato e non è integrata dall’omesso esercizio di un rimedio giurisdizionale.
S’impone, pertanto, un nuovo annullamento dell’ordinanza impugnata per esaminare il diritto del ricorrente a ottenere l’indennizzo per riparazione da ingiusta detenzione nel periodo dal 13 al 27 marzo 2019.
P.Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Torino.
Così deciso, il 6 giugno 2024
Il Consigliere estensore
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