Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1615 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1615 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CORI il 14/08/1981
avverso l’ordinanza del 17/11/2022 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 17.11.2022 la Corte d’appello di Roma ha rigettato la domanda proposta da COGNOME COGNOME ex art. 314 cod.proc.pen. in relazione alla ingiusta detenzione dallo stesso asseritamente patita in regime di custodia cautelare dall’11.10.2018 al 26.10.2018 e successivamente in regime di arresti domiciliari dal 27.10.2018 al 20.12.2018 per il reato di cui all’art. 612 bi cod. pen.
Quanto al merito, con sentenza del Tribunale di Latina in data 23.1.2020, passta in giudicato in data 4.11.2020, lo stesso veniva assolto perché il fatto non sussiste.
Il Giudice della riparazione, dopo avere ripercorso la vicenda processuale e, dopo avere richiamato i principi informatori della materia, ha ritenuto di rigettare l richiesta, individuando, nei comportamenti serbati dal ricorrente una colpa grave ostativa al riconoscimento dell’indennizzo.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, a mezzo del suo difensore, articolando un motivo di ricorso.
Con detto motivo, lamenta la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione nonché la violazione di legge in relazione agli artt. 192 e 314 cod.proc.pen. e 643 cod.proc.pen.
Assume che l’ordinanza impugnata presenta una motivazione illogica e contraddittoria nella parte relativa all’esposizione delle ragioni in base alle qual ha ritenuto integrati gli estremi della colpa grave ostativi al riconoscimento del diritto all’equa riparazione.
La Corte d’appello nella parte motiva dell’ordinanza ha ripercorso gli episodi posti a base dell’ordinanza custodiale fondati prevalentemente sulle dichiarazioni della persona offesa per poi evidenziare con il richiamo alla sentenza di assoluzione le incoerenze e le falsità ravvisabili negli elementi addotti dalla persona offesa ed emersi nel corso del dibattimento. Rileva come tutti gli episodi posti a base dell’ordinanza cautelare tranne quello del pugno al volto del febbraio 2018 siano stati tutti smentiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Pertanto, affermare da una parte che la parte offesa ha manipolato le prove in modo tale da indurre il giudice a ritenere che lo Zanardo la tormentasse e dall’altro ritenere che lo stesso abbia tenuto un comportamento gravemente colposo così contribuendo a dare causa alla restrizione della propria libertà si traduce in un vizio dell’iter argomentativo della Corte.
Nessuna condotta colposa può attribuirsi allo COGNOME ma se mai una evidente negligenza nelle indagini preliminari atteso che doveva essere acquisita copia
forense del cellulare della vittima per una genuina e fedele acquisizione dei tabulati telefonici e dei messaggi intercorsi tra indagato e persona offesa da cui sarebbe emersa la reale rappresentazione dei fatti.
Pertanto la misura applicata é stata condizionata non già dal comportamento dello COGNOME bensì dalla rappresentazione falsa creata dalla persona offesa.
Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria con cui chiede il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso é fondato.
Va premesso che in tema di riparazione per ingiusta detenzione il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato causa o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un ite logico- motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se essa sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di un errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013 – dep. 25/02/2014, Maltese, Rv. 25908201).
La valutazione del giudice della riparazione, pertanto, si svolge su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello del giudice del processo penale, ed in relazione a tale aspetto della decisione, egli ha piena ed ampia libertà di considerare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, COGNOME ed altri).
L’unico limite incidente su tale valutazione è rappresentato dall’accertamento effettuato dal giudice della cognizione. Invero, per consolidato orientamento della Corte di legittimità, il giudice della riparazione non può mai ritenere provati fatti che tali non siano stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo abbia valutato come dimostrate (così, Sez. 4, Sentenza n. 12228 del 10/01/2017, Rv. 270039; conforme Sez. 4, Sentenza n. 11150 del 19/12/2014, dep. 16/03/2015, Rv. 262957). Nella specie la Corte territoriale ha ripercorso le varie fasi della vicenda
giudiziaria sfociata nella sentenza assolutoria dando atto che il quadro accusatorio che aveva fondato l’adozione ed il mantenimento della misura custodiale all’esito dell’istruttoria dibattimentale aveva rivelato incoerenze e falsità e ciò in quanto gran parte degli episodi denunciati risultavano in realtà commessi dalla persona offesa nei confronti dello COGNOME e che le numerose telefonate che la stessa aveva attribuito all’odierno istante erano state da lei selezionate cancellando invece quelle da lei effettuate al medesimo.
Ebbene, nel caso di specie, pur a fronte di un sostanziale ridimensionamento della piattaforma probatoria, la Corte territoriale ha ritenuto, tuttavia, che quadro che emerge a carico dell’imputato con la sentenza di assoluzione presenti in ogni caso “numerosi elementi che fanno ritenere che egli abbia quantomeno concorso nel dare causa alla restrizione della propria libertà” reputando così tout court integrata la condotta ostativa all’accoglimento dell’istanza ex art. 314 cod. p roc. pen.
Con tale espressione ellittica l’ordinanza impugnata non ha tuttavia in alcun modo individuato quali siano state dette condotte integranti colpa grave (una volta operato il raffronto con quelle escluse dalla sentenza di assoluzione) né quale sia stata l’efficacia sinergica delle stesse in relazione all’applicazione della misura alla luce dell’ipotesi di reato contestata.
Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte d’appello di Roma. Alla stessa demanda altresì la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q. M .
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’appello di