Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 18446 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 4 Num. 18446 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
QUARTA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME nata a CATANZARO il 15/12/1977
avverso la ordinanza del 30/01/2025 della CORTE APPELLO CATANIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG presso la Corte di Cassazione
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30/1/2025, la Corte di appello di Catania ha rigettato l’istanza di riparazione per la dedotta ingiusta detenzione avanzata da COGNOME NOMECOGNOME La richiedente era sottoposta alla misura cautelare della custodia in carcere e, successivamente, degli arresti domiciliari per un periodo complessivo di anni 3, mesi 11 e gg. 4 (dal 13/1/2017 al 16/12/2020).
Lamentava di avere patito un periodo in esubero di detenzione pari ad anni 1, mesi 3 e gg. 4 rispetto alla misura della pena finale inflittale, essendo stata condannata per il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/90 alla pena definitiva di anni 2, mesi 8 di reclusione oltre la multa.
Chiedeva, pertanto, la riparazione limitatamente al periodo in questione, alla luce della pronuncia della Corte Cost. n. 219/2008, richiamata nel ricorso.
Nel rigettare la richiesta, la Corte di merito ha osservato come sussistessero i presupposti per l’applicazione della misura cautelare, avendo la ricorrente subito una condanna definitiva, sia pure con riferimento alla sola fattispecie di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/90; ha poi ritenuto che la richiedente avesse serbato una condotta connotata da colpa grave, suscettibile di esplicare una efficacia sinergica sull’adozione ed il mantenimento della misura.
Avverso il provvedimento di rigetto ha proposto ricorso per cassazione la richiedente, articolando il seguente unico motivo di doglianza.
Erronea applicazione della legge penale, vizio risultante dal testo della ordinanza impugnata,
con riferimento agli artt. 314, 125, comma 3 e 546, comma 3, cod. proc. pen.
La Corte di merito, pur riconoscendo l’astratta indennizzabilità per la custodia cautelare patita dalla ricorrente in esubero rispetto alla misura della pena inflitta, ne ha escluso, di fatto, il riconoscimento.
In tal modo ha eluso il dettato costituzionale dell’art. 3 Cost., omettendo di verificare se la eventuale condotta colposa o dolosa abbia avuto incidenza sul mantenimento della misura protrattasi oltre la misura della pena irrogata.
Non ha considerato che l’esuberanza della detenzione patita dava diritto alla riparazione, in quanto il comportamento tenuto nel corso del processo era stato improntato a piena lealtà e, pertanto, la protrazione della custodia non avrebbe dovuto essere ricondotta a sua colpa.
Nel corso del giudizio Ł ampiamente emerso come le intercettazioni riguardanti la ricorrente non avessero attinenza con il fatto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90.
L’ingiustizia della detenzione patita Ł resa ancora piø evidente dal fatto che, a carico dei coimputati, nei confronti dei quali erano state elevate le medesime contestazioni, non era stata disposta alcuna misura, avendo il giudice della cautela rigettato la richiesta avanzata dal P.M.
il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di doglianza sono infondati; pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
La vicenda processuale che ha dato luogo al maggior periodo di detenzione sofferto rispetto alla pena definitivamente inflitta, a cui Ł necessario fare rimerimento per una migliore comprensione dei fatti, può essere così riassunta: con sentenza del 12/12/2018, il G.u.p. del Tribunale di Catania riconosceva COGNOME NOME colpevole di tutte le ipotesi di reato a lei ascritte (capi J e K della rubrica, riguardanti le fattispecie di cui agli artt. 74 e 73, commi 1 e 4 d.P.R. 309/90) con condanna alla pena di anni 12 di reclusione.
La Corte d’appello di Catania, investita dell’impugnazione, con sentenza del 9/12/2020, assolveva la ricorrente dalle ipotesi di reato alla stessa contestate limitatamente al traffico di cocaina. Era pertanto rideterminata la pena inflitta, in relazione al capo K della rubrica, riguardante la fattispecie di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/90, in anni 4 di reclusione ed euro 8.000 di multa. La pena era ulteriormente ridotta, per effetto della concessione delle circostanze attenuante generiche, a quella definitiva di anni 2, mesi 8 di reclusione oltre la multa, in seguito alla sentenza della Corte d’appello di Catania emessa in sede di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione.
Va premesso che il Giudice delle leggi, con la nota sentenza n. 219 del 2008, condividendo i dubbi di incostituzionalità prospettati dalle Sezioni Unite di questa Corte con l’ordinanza di rimessione del 19 luglio 2006, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen., nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione del richiedente al proscioglimento nel merito dalle imputazioni.
La Corte Costituzionale, dopo articolata disamina dell’istituto della riparazione, ha osservato:’l’art. 314 cod. proc. pen. condiziona espressamente tale rimedio alla circostanza per cui, all’esito del giudizio, l’imputato sia stato prosciolto nel merito. Tale limitazione viene contestata, sul piano della legittimità costituzionale, dalle Sezioni unite, le quali assumono a causa
c o n d e l l ‘ i m p e d i m e n t o n e l c o n f i g u r a r e i l d i r i t t o a l l a r i p a r a z i o n e « p e r l a p a r t e ( d i c u s t o d i a c a u t e l a r e ) e c c e d e n t e l ‘ e n t i t à d e l l a p e n a i n concreto inflitta» proprio l’univoca norma che subordina la possibilità di riparazione per l’ingiusta detenzione al fatto che l’imputato sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile di merito. Tramite la disposizione censurata, il legislatore ha pertanto i n t e s o normare gli effetti della custodia cautelare, a processo concluso, in relazione all’esito del giudizio sulla responsabilità penale dell’imputato. Tale scelta legislativa appare manifestamente irragionevole, e pertanto lesiva dell’art. 3 della Costituzione. Non Ł infatti costituzionalmente ammissibile, sotto tale profilo, che l’incidenza che la custodia cautelare ha esercitato sul bene i n v i o l a b i l e d e l l a l i b e r t à p e r s o n a l e d e l l ‘ i n d i v i d u o , n e l l a f a s e a n t e r i o r e a l l a s e n t e n z a d e f i n i t i v a , p o s s a v e n i r e a p p r e z z a t a esclusivo riferimento all’esito del processo penale, e per il solo caso di assoluzione nel merito dalle imputazioni. Se, infatti, un sacrificio della libertà personale vi Ł stato durante la fase della custodia cautelare, il meccanismo solidaristico della riparazione non può che attivarsi anche per tale caso, quale che sia stato l’esito del giudizio, e pertanto anche ove sia mancato il proscioglimento nel merito. E’, per tale ragione, palesemente privo di ragionevolezza che i l l e g i s l a t o r e pr e t e n d a di apprezzare la r i c o r r e n z a dell e c o n d i z i o n i necessarie ai fini della riparazione alla luce dell’esito della vicenda processuale concernente il merito dell’imputazione, e non già della sola lesione verificatasi durante l’applicazione della misura custodiale’.
Il Giudice delle leggi, all’esito della lunga disamina, ha stabilito che, una volta dichiarata l’illegittimità della norma in questione per le ragioni sopra indicate, doveva essere riconosciuto il diritto all’indennizzo anche in caso di custodia cautelare eccedente la misura della pena inflitta, essendo rilevante la distinzione tra prosciolto e condannato, in sede di determinazione del “quantum debeatur” e non anche dell”an debeatur”.
Nell’alveo di tale pronuncia, con orientamento consolidato, questa Corte di legittimità ha statuito che la custodia cautelare sofferta oltre il limite della condanna Ł astrattamente indennizzabile, sempre che il giudice della riparazione ne accerti l’esistenza ed i presupposti, e purchŁ non sussistano cause ostative, riconducibili a dolo o colpa grave .
Invero, il sistema della riparazione, come delineato a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, Ł espressione del principio solidaristico, in forza del quale il diritto alla riparazione, in ogni sua estrinsecazione, incontra un limite nell’assenza di interferenze causali della condotta del soggetto passivo – di natura dolosa o gravemente colposa – sull’evento della custodia.
Sul punto, non Ł superfluo rammentare che le Sezioni Unite D’ambrosio (sent. n. 32383 del 27/5/2010), successivamente all’intervento della Corte Costituzionale, abbiano sottolineato come il principio solidaristico sotteso all’istituto della riparazione per ingiusta detenzione trovi ‘il suo naturale contemperamento nel dovere di responsabilità che incombe in capo a tutti i consociati, i quali evidentemente non possono invocare benefici tesi a ristorare pregiudizi da essi stessi colposamente o dolosamente cagionati”.
Deve, conseguentemente, ritenersi che, per effetto della pronuncia additiva della Corte Costituzionale n. 219/2008, il limite della non interferenza causale della condotta posta in essere dal richiedente operi anche nelle ipotesi di riparazione per ingiusta detenzione che concernano il soggetto condannato, sottoposto a regime cautelare carcerario per un periodo piø lungo rispetto alla pena detentiva infertagli. Dal che la rilevanza dell’indagine riguardante la presenza o meno di condotte dolose o gravemente colpose che abbiano svolto una effeciacia sinergica sulla detenzione patita dal richiedente.
Ciò premesso, nel caso di specie, non si individuano nella ordinanza impugnata i vizi lamentati nel ricorso, avendo il giudice della riparazione offerto puntuale motivazione a sostegno della decisione di rigetto.
Ha osservato la Corte di merito che dalle sentenze emergevano le seguenti circostanze: 1. La ricorrente Ł stata condannata per il traffico di stupefacenti, sia pure limitatamente alla sostanza stupefacente ‘leggera’; 2. Ha ammesso di avere svolto il ruolo di staffetta, per ben due volte, durante il trasporto della marijuana; 3. Ha ammesso di avere intrattenuto rapporti con gli altri coimputati, sia pure determinati da ragioni creditorie estranee al traffico di stupefacenti.
Pertanto, considerato che deve qualificarsi gravemente colposo il comportamento di colui il quale, per negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi o regolamenti crei una situazione che renda prevedibile, anche se non voluto, l’intervento dell’autorità giudiziaria (cfr. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263), correttamente la Corte di merito ha riconosciuto l’esistenza di tali requisiti nella condotta serbata dalla richiedente.
Inoltre, non manifestamente illogica Ł la valutazione operata dal giudice di merito, laddove ha ritenuto che la condotta serbata dalla ricorrente, per la sua estrema equivocità, sia stata idonea a concorrere a determinare l’errore del giudice non solo al momento dell’adozione della misura, ma anche del suo mantenimento, tanto da rendere necessaria una laboriosa istruttoria dibattimentale prima di giungere all’assoluzione per il reato sub capo J, riguardante la contestazione associativa, ed il traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 06/05/2025.
Il Presidente
NOME COGNOME