Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6314 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6314 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROSSANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/10/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., presentata nell’interesse di NOME COGNOME, con riferimento alla detenzione da costui subita in eccesso rispetto alla condanna.
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1.1.Con ordinanza del 23 ottobre 2013, eseguita 1’8 novembre 2013, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari aveva applicato nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere in ordine a plurimi delitti di cui all’art. 73,comnna 1 , d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.
Con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Castrovillari del 27 aprile 2015, COGNOME era stato condannato per i predetti reati alla pena di anni 5 di reclusione e euro 22.000 di multa. La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 14 novembre 2016 divenuta irrevocabile, in riforma della sentenza di primo grado, previa riqualificazione dei reati in quelli di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90, aveva rideterminato la pena in anni 1 mesi 4 e giorni 20 di reclusione e euro 2500 di multa.
1.2.COGNOME era stato ristretto in carcere dall’8 novembre 2013 al 12 giugno 2014, per un totale di duecentosedici giorni, e dal 13 giugno 2014 al 25 maggio 2016 in regime di arresti domiciliari, per un totale di settecentododici giorni. A fronte di una condanna definitiva pari ad anni 1 e mesi 4 di reclusione, aveva, dunque, scontato una pena in eccesso di anni 1 mesi 8 e giorni 26 di reclusione.
1.3.La Corte della riparazione ha rigettato la domanda ravvisando nella condotta extraprocessuale del ricorrente la condizione ostativa della colpa grave.
Avverso l’ordinanza, la difesa dell’interessato ha proposto ricorso, a mezzo del difensore, formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della condizione ostativa. Il difensore lamenta che la Corte della riparazione abbia rigettato la domanda ravvisando, in maniera apodittica e tautologica, la condizione ostativa, senza tuttavia, indicare quali condotte del ricorrente fossero caratterizzate dalla colpa grave. In particolare la corte, dopo aver effettuato una premessa giuridica di carattere generale in ordine all’istituto della riparazione, si era limitata a osservare che la condizione ostava era “mutuabile dall’ordinanza di custodia cautelare” il cui quadro probatorio a carico dell’istante era stato confermato dalla sentenza di appello, nella quale erano state confutate nel merito tutte le deduzioni difensive addotte a fondamento della richiesta di assoluzione. La motivazione del provvedimento impugnato- ha
proseguito il difensore- doveva essere ritenuta inesistente o meramente apparente, anche perché la Corte non si era soffermata, come invece sarebbe stato necessario, sul periodo di pena espiato in eccesso, né sulle numerose e documentate richieste di revoca della misura formulate dal ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza della condizione ostativa. Il difensore osserva che nel caso di specie la condanna era, infine, intervenuta per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e che in conseguenza di detta riqualificazione la pena irrogata era stata di gran lunga inferiore alla carcerazione sofferta. La Corte della riparazione avrebbe dovuto rilevare che, in considerazione della intervenuta riqualificazione giuridica, non vi erano i presupposti quantomeno per il permanere della cautela e, prima ancora, che il reato così come riqualificato non avrebbe consentito la applicazione della misura della custodia in carcere.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME AVV_NOTAIO, ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere accolto.
2.Si deve, in primo luogo, precisare che nella domanda di riparazione rivolta alla Corte di Appello il ricorrente aveva fatto riferimento unicamente al fatto che la durata della detenzione subita (dapprima in carcere e poi agli arresti domiciliari) era stata superiore rispetto a quella della pena inflitta. Il giudizio devoluto alla Corte, dunque, riguardava solo il tema del carattere ingiusto della privazione della libertà personale per un periodo eccedente la entità della pena irrogata con la sentenza di condanna e non anche il diverso tema, che pare invocato con il secondo motivo dell’odierno ricorso, della ingiustizia della detenzione in relazione alla riqualificazione della originaria imputazione in altra fattispecie per la quale non sussistevano le condizioni di applicabilità della misura della custodia in carcere ai sensi degli artt. 273 e 280 cod. proc. pen ( c.d. ingiustizia formale ex art. 314 cod . p roc pe n .).
Ne consegue che, dovendo questa Corte esercitare il sindacato sulla ordinanza impugnata (sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione) nei limiti del tema devoluto con la domanda introduttiva del giudizio di riparazione, potrà essere preso in esame solo il primo dei due temi su indicati e non anche il secondo.
3.La Corte di Appello, con l’ordinanza impugnata, pur riconoscendo in astratto la sussistenza, nel caso di detenzione sofferta in eccedenza rispetto alla durata della pena inflitta, del diritto alla riparazione, ha tuttavia rigettato la richies ritenendo che il ricorrente avesse tenuto una condotta ostativa al riconoscimento di detto diritto, in quanto gravemente colposa.
Il percorso argomentativo adottato dai giudici della riparazione, sussistente per il profilo strettamente giuridico, è, tuttavia, come osservato dal ricorrente, gravemente carente, o meglio addirittura assente nella indicazione dei comportamenti del ricorrente connotati da dolo o grave colpa.
3.1. Occorre premettere che la Corte Costituzionale, con sentenza 20 giugno 2008, n.219, ha dichiarato la illegittimità – con riferimento all’art.3 Cost. dell’art.314 cod. proc. pen. “nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni”, rilevando che ove la durata della custodia cautelare abbia ecceduto la pena successivamente irrogata in via definitiva è evidente che l’ordinamento, al fine di perseguire le finalità del processo e le esigenze di tutela della collettività, ha imposto al reo un sacrificio della libertà che travalica il grad della responsabilità personale” e affermando, altresì, che “la distinzione tra prosciolto e condannato, che si deve configurare in tale ipotesi irrilevante ai fini dell’an debeatur del diritto all’equa riparazione, assume invece rilievo ai fini della determinazione del quantum deleatur”, in quanto il grado di sofferenza cui è esposto chi, innocente subisca la detenzione è, in linea di principio amplificato rispetto alla condizione di chi, colpevole, sia ristretto per un periodo eccessivo rispetto alla pena.
3.2.Sulla scorta di tale pronuncia, questa Corte di legittimità ha riconosciuto il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione anche nel caso di custodia cautelare subita in eccedenza rispetto alla misura della pena definitivamente inflitta (Sez. 4, n.32357 dell’11/4/2012, Rannzi, Rv. 253651). La giurisprudenza di legittimità ha anche affermato il principio secondo cui il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione spetta anche quando la durata della custodia cautelare risulti superiore alla misura della pena inflitta con la sentenza di primo grado, alla quale abbia fatto seguito una sentenza di appello dichiarativa della estinzione del reato per prescrizione, ma, ai fini della quantificazione dell’indennizzo, non si deve tenere conto della parte di detenzione cautelare patita che corrisponda alla condanna inflitta in primo grado (Sez. Un. n. 4187 del 30/10/2008 dep. 2009, Pellegrino, Rv. 241855).
Si è, tuttavia, precisato che tale diritto è configurabile, sempre che nella condotta del richiedente non siano individuabili condotte gravemente colpose che
abbiano avuto un ruolo eziologico nella protrazione della restrizione della libertà Sez. 4, 32136 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270420; Sez. 4, n. 17788 del 6/3/2012, COGNOME ed altro, Rv. 253504). Ciò in quanto il principio solidaristico sotteso all’istituto della riparazione per ingiusta detenzione trova il suo naturale contemperamento nel dovere di responsabilità che incombe in capo a tutti i consociati, i quali evidentemente non possono invocare benefici tesi a ristorare pregiudizi da essi stessi colposamente o dolosamente cagionati.
Anche nell’ipotesi in cui viene in rilievo, dunque, una detenzione sofferta per un periodo maggiore rispetto alla pena inflitta, il giudice è tenuto a valutare la sussistenza della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, non già come concausa dell’errore del giudice in ordine al momento genetico della misura, che in caso di condanna non sussiste, ma in relazione alla eventuale incidenza sulla protrazione della misura oltre l’entità della pena irrogata.
Dalla richiamata giurisprudenza costituzionale e di legittimità GLYPH discende, dunque, che la protrazione della detenzione cautelare per un tempo superiore alla pena inflitta può fondare il diritto all’equa riparazione, sempre che nella condotta del richiedente non siano individuabili condotte dolose o gravemente colpose che abbiano avuto un ruolo eziologico nella determinazione di tale eccedenza.
3.3 Nel caso di specie, la Corte di Appello ha affermato la sussistenza della condizione ostativa alla riparazione, ma non ha spiegato in che termini tale condizione si sarebbe concretizzata, ovvero quali fossero stati i comportamenti del ricorrente, dolosi o gravemente colposi, tali da incidere sulla protrazione della detenzione. Né può ritenersi, in tal senso, sufficiente il mero richiamo al compendio indiziario su cui il giudice della cautela aveva fondato la applicazione della misura e alla motivazione della sentenza di condanna, in quanto la Corte era tenuta a indicare essa stessa quali condotte dello COGNOME dovevano essere ritenute rilevanti nel senso anzidetto.
Come osservato dal ricorrente, dunque, l’ordinanza impugnata appare viziata in quanto la motivazione adottata è meramente apparente e, quindi, inesistente.
4.Ne consegue che l’ordinanza impùgnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro, che nel nuovo giudizio dovrà motivare in maniera adeguata sulla sussistenza o meno della condizione ostativa alla riparazione, con indicazione eventuale di quali condotte del ricorrente, dolose o gravemente colpose, abbiano assunto rilievo ai fini della eccedenza della restrizione della libertà sofferta rispetto alla pena inflitta.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Catanzaro.
Salv GLYPH