Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 44319 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 44319 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ANDRIA il 13/02/1985
avverso la sentenza del 07/09/2023 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette e conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 settembre 2023, la Corte di appello di Bari ha riformato in parte la sentenza emessa dal Tribunale di Trani il 16 marzo 2022 nei confronti di NOME COGNOME, imputato del delitto di cui all’art. 589 bis, commi 1, 2 e 8 cod. pen. e della contravvenzione di cui all’art. 186, comma 2, lett. c), d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285. Dopo aver dato atto che l’imputato aveva rinunciato a tutti i motivi di impugnazione ad eccezione di quelli relativi all’assorbimento della contravvenzione nel delitto e alla concessione delle attenuanti generiche con criterio di prevalenza sull’aggravante, in accoglimento dei motivi residui, la Corte di appello ha ritenuto la contravvenzione assorbita nel delitto, ha concesso le attenuanti generiche (la cui applicazione era stata esclusa dal giudice di primo grado), ha valutato tali attenuanti prevalenti sull’aggravante di cui all’art. 589 bis, comma 2, cod. pen. e ha determinato la pena nella misura di anni quattro e mesi sei di reclusione (a fronte dalla pena di anni nove di reclusione inflitta in primo grado). Nel resto, la sentenza di primo grado è stata confermata.
Contro la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha proposto tempestivo ricorso per mezzo del difensore munito di procura speciale articolando tre motivi.
2.1. Col primo motivo, la difesa deduce inosservanza degli artt. 191, commi 1 e 2 e 178 lett. c) cod. proc. pen. con riferimento all’utilizzo, ai fini de decisione, dell’esito dell’accertamento tecnico sul tasso alcolemico eseguito su richiesta della Polizia giudiziaria senza che COGNOME fosse stato avvertito della facoltà di farsi assistere da un difensore ai sensi dell’art. 114 d.lgs. 28 lugli 1989 n. 271. In tesi difensiva, anche se questo motivo di impugnazione è tra quelli cui l’imputato ha rinunciato, la Corte territoriale avrebbe comunque dovuto pronunciarsi sul punto trattandosi di una nullità ex art. 178, lett. c) rilevabile anche d’ufficio e, comunque, tempestivamente dedotta nel corso del dibattimento di primo grado.
2.2. Col secondo motivo, la difesa deduce vizi di motivazione quanto alla decisione di non applicare nella loro massima estensione le concesse attenuanti generiche. Sostiene che, dopo aver valorizzato il comportamento collaborativo tenuto dall’imputato rinunciando a molti dei motivi di appello quale concreto segno di resipiscenza, la sentenza impugnata ha contraddittoriamente ritenuto che le generiche non potessero essere concesse nella massima estensione facendo riferimento a un precedente per guida in stato di ebbrezza risalente al
2004 e sviluppando argomenti relativi alla dinamica dei fatti «logicamente antecedenti rispetto all’atteggiamento dimostrato dall’imputato».
2.3. Col terzo motivo, la difesa deduce violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. Sostiene che, nel determinare la pena, la Corte di appello avrebbe operato un aumento per continuazione non consentito perché superiore rispetto a quello operato dal giudice di primo grado.
Con memoria scritta il Procuratore generale ha rassegnato le proprie conclusioni e ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
Quanto al primo motivo è sufficiente osservare che, per giurisprudenza costante «nel caso di rinuncia parziale ai motivi d’appello, il giudice, in riferimento ai capi della sentenza oggetto dei motivi rinunciati, non è tenuto a motivare eventuali cause di improcedibilità o nullità anche assolute, eccepite con l’impugnazione, né può rilevarle d’ufficio» (Sez. 5, n. 40278 del 06/04/2016, COGNOME, Rv. 268198). Ai sensi art. 597, comma primo, cod. proc. pen., l’effetto devolutivo dell’impugnazione circoscrive la cognizione del giudice del gravame ai soli punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti. Ne consegue che, quando quei motivi siano stati oggetto di rinuncia, il giudice di appello non può prenderli in considerazione, né può farlo il giudice di legittimità. Conseguentemente è inammissibile il ricorso per cassazione relativo ai capi o ai punti oggetto dei motivi rinunziati (Sez. 4, n. 9857 del 12 febbraio 2015, COGNOME ed altri, Rv. 262448; Sez. 2, n. 46053 del 21 novembre 2012, COGNOME e altro, Rv. 255069; Sez. 2, n. 3593/11 del 3 dicembre 2010, Izzo, Rv. 249269). Ed invero, la rinuncia “parziale” all’impugnazione, costituisce atto abdicativo di diritt e facoltà processuali già acquisiti, sia pure con effetti più limitati rispetto a quell totale (cfr. Sez. U. n. 12603 del 4/11/2015, dep. 25/03/2016, COGNOME, Rv. 266245). Tale rinuncia “parziale” «determina il passaggio in giudicato della sentenza gravata limitatamente ai capi oggetto di rinuncia, onde è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si propongono censure attinenti ai motivi d’appello rinunciati e non possono essere rilevate d’ufficio le questioni relative ai medesimi motivi» (Sez. 2, n. 47698 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 278006).
Non ha maggior pregio il secondo motivo. Non è illogico né contraddittorio, infatti – ed è anzi conforme alla chiara previsione dell’art. 133
cod. pen. – aver valorizzato il comportamento processuale dell’imputato ai fini della concessione delle attenuanti generiche, ma aver ritenuto che, in ragione del grado elevato della colpa, delle gravi conseguenze che derivarono dall’incidente e dell’esistenza di un precedente per guida in stato di ebbrezza (pur risalente nel tempo), tali attenuanti non potessero operare nella loro massima estensione. Basta ricordare in proposito che, come questa Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare: «non è ravvisabile il vizio di contraddittorietà della motivazione nel caso in cui il giudice, in sede di giudizio di bilanciamento, pur ritenendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, non operi la riduzione di pena nella massima misura possibile in ragione della sussistenza delle aggravanti che continuano a costituire elementi di qualificazione della gravità della condotta» (Sez. 4, n. 48391 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265332; Sez. 2, n. 37061 del 22/10/2020, Nunziato, Rv. 280359; Sez. 3, n. 13210 del 11/03/2010, COGNOME, Rv. 246820).
Anche il terzo motivo è manifestamente infondato. Come risulta dalla lettura della sentenza di primo grado (pag. 4 della motivazione), il Tribunale di Trani ha affermato la responsabilità di NOME COGNOME per il delitto di cui all’art. 589 bis, commi 1, 2 e 8 cod. pen. e per la contravvenzione di cui all’art. 186, comma 2, lett. c) cod. strada. e ha ritenuto questi reati uniti da vincolo della continuazione. La pena base è stata determinata «per il più grave delitto di cui all’art. 589 bis cod. pen.» in anni otto e mesi dieci di reclusione ed è stato operato un aumento di due mesi per l’illecito contravvenzionale portando così la pena finale ad anni nove di reclusione. La sentenza di appello ha ritenuto la contravvenzione assorbita nel delitto aggravato ed ha quindi rideterminato la pena senza tenere conto dell’illecito contravvenzionale. Nel farlo, ha preso atto che, con la propria condotta, COGNOME aveva determinato la morte di più persone e, non diversamente dal Tribunale, ha applicato l’art. 589 bis, comma 8, cod. pen. Essendo state applicate le attenuanti generiche con criterio di prevalenza sulla aggravante, il calcolo della pena è stato compiuto ex novo con riferimento alla cornice edittale prevista dall’art. 589 bis comma 1. La tesi sostenuta dal ricorrente, secondo la quale sarebbe stato determinato un aumento per continuazione non disposto dal giudice di primo grado, dunque, non trova riscontro in atti.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell’art.616 cod. proc. pen. l’onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 novembre 2024
Il Presidente