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Rinuncia motivi appello: inammissibilità del ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per tentata estorsione. La decisione si fonda sulla precedente rinuncia ai motivi di appello da parte dell’imputato, che aveva limitato l’impugnazione solo alla determinazione della pena. Poiché il motivo sollevato in Cassazione, relativo a una circostanza attenuante, rientrava tra quelli rinunciati, il ricorso è stato respinto con condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia ai Motivi di Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

La rinuncia ai motivi di appello è un atto processuale con conseguenze significative, che possono precludere la possibilità di future impugnazioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come tale rinuncia determini l’inammissibilità del ricorso successivo, anche se basato su argomenti apparentemente validi. Analizziamo insieme questa importante decisione per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche per la difesa.

Il Contesto del Caso: Dalla Tentata Estorsione alla Cassazione

La vicenda processuale ha origine da una condanna per il reato di tentata estorsione, confermata sia in primo grado dal Tribunale di Nola che in secondo grado dalla Corte di Appello di Napoli. L’imputato, non rassegnato alla decisione, decideva di presentare ricorso per cassazione.

Tuttavia, l’unico motivo di doglianza sollevato davanti alla Suprema Corte riguardava la presunta erronea applicazione della legge penale in merito al mancato riconoscimento di una circostanza attenuante, specificamente quella prevista dall’art. 62 n. 6 del codice penale.

La Decisione della Cassazione e la Rinuncia ai Motivi di Appello

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un presupposto procedurale cruciale: dalla sentenza della Corte di Appello emergeva chiaramente che l’imputato aveva rinunciato a tutti i motivi di impugnazione, ad eccezione di quelli strettamente legati alla quantificazione della pena.

La Procedura “de plano”

In virtù di questa situazione, la Corte ha trattato il ricorso con la procedura semplificata detta “de plano”, prevista dall’art. 610, comma 5 bis, del codice di procedura penale. Questa modalità, introdotta dalla legge n. 103 del 2017, consente alla Corte di decidere in camera di consiglio, senza udienza pubblica, quando l’impugnazione è basata su motivi non consentiti dalla legge, come in questo caso.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Le motivazioni della Corte sono nette e si basano su un principio di coerenza e auto-responsabilità processuale. I giudici hanno stabilito che il motivo di ricorso proposto – relativo al diniego di un’attenuante – non rientrava tra quelli relativi alla mera “determinazione della pena”, per i quali l’imputato si era riservato il diritto di appello. Al contrario, tale motivo faceva parte dell’insieme più ampio di doglianze a cui l’imputato aveva espressamente rinunciato nel grado precedente.

La rinuncia ai motivi di appello, quindi, ha creato un effetto preclusivo. L’imputato non poteva “resuscitare” in Cassazione un motivo che aveva volontariamente abbandonato in appello. La Corte ha ritenuto che la sussistenza dell’attenuante invocata rientrasse a pieno titolo tra i motivi rinunciati. Di conseguenza, il ricorso è stato qualificato come basato su “motivi non consentiti”, determinandone l’inevitabile inammissibilità.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La conclusione della vicenda è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria è una conseguenza diretta della colpa del ricorrente nel promuovere un’impugnazione palesemente inammissibile.

Dal punto di vista pratico, questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: le scelte processuali compiute in un grado di giudizio hanno effetti vincolanti per i gradi successivi. Una rinuncia, totale o parziale, ai motivi di appello deve essere ponderata con estrema attenzione, poiché limita in modo irreversibile l’ambito del successivo ricorso in Cassazione. Gli avvocati difensori devono essere consapevoli che una tale strategia, sebbene possa apparire vantaggiosa in un determinato momento, chiude definitivamente la porta a future contestazioni sui punti oggetto di rinuncia.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’imputato, nel precedente grado di giudizio, aveva rinunciato a tutti i motivi di appello tranne quelli relativi alla determinazione della pena. Il motivo sollevato in Cassazione, riguardante una circostanza attenuante, è stato ritenuto parte dei motivi rinunciati.

Cosa significa che un ricorso viene trattato “de plano”?
Significa che la Corte di Cassazione decide il caso sulla base dei soli atti scritti, senza la celebrazione di un’udienza pubblica. Questa procedura si applica, tra gli altri casi, quando un ricorso è fondato su motivi che la legge non consente di proporre.

Quali sono le conseguenze per il ricorrente quando un ricorso è dichiarato inammissibile per sua colpa?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, ritenuta equa dalla Corte, in favore della Cassa delle ammende. In questo specifico caso, la somma è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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