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Rinuncia appello: Cassazione e spese processuali

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso a seguito della formale rinuncia all’appello presentata dal difensore. L’imputata, precedentemente condannata per appropriazione indebita, viene di conseguenza condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende. La sentenza sottolinea come la rinuncia sia un atto che porta automaticamente a una declaratoria di inammissibilità.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia all’Appello: Conseguenze e Costi secondo la Cassazione

La decisione di presentare un’impugnazione è un momento cruciale in qualsiasi procedimento legale, ma altrettanto importante è la scelta di fare un passo indietro. La rinuncia all’appello è un atto formale con conseguenze immediate e significative, come chiarito da una recente sentenza della Corte di Cassazione. Questo provvedimento analizza gli effetti di una rinuncia espressa e stabilisce in modo inequivocabile la condanna al pagamento delle spese processuali per il ricorrente.

Il Contesto del Caso: Dalla Condanna al Ricorso

La vicenda giudiziaria trae origine da una sentenza del Tribunale di Velletri, che aveva dichiarato un’imputata responsabile del reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.), condannandola alla pena prevista e al risarcimento dei danni a favore della parte civile.

Contro questa decisione, era stato proposto appello. Tuttavia, la Corte d’Appello di Roma aveva dichiarato l’impugnazione inammissibile per un vizio di forma: essendo la sentenza di primo grado stata emessa in assenza dell’imputata, l’atto di appello non conteneva la necessaria dichiarazione o elezione di domicilio, un requisito previsto dalla legge per garantire la corretta notificazione degli atti.

Di fronte a questa declaratoria di inammissibilità, il difensore dell’imputata aveva presentato ricorso per Cassazione, lamentando un’errata applicazione della norma procedurale (art. 581, comma 1 quater, c.p.p.).

L’Atto Decisivo: La Rinuncia Formale

Il colpo di scena si è verificato quando, prima della discussione del ricorso, il difensore e procuratore speciale dell’imputata ha trasmesso a mezzo PEC un atto formale di rinuncia all’appello. Questo atto, definito dalla Corte come “abdicativo”, ha cambiato radicalmente il corso del procedimento in Cassazione, spostando l’attenzione dal merito del ricorso alla conseguenza diretta della rinuncia stessa.

La Decisione della Corte di Cassazione

Preso atto della ritualità e della formalità della rinuncia pervenuta, la Suprema Corte ha concluso il procedimento con una declaratoria di inammissibilità del ricorso. I giudici hanno stabilito che la volontà di non proseguire con l’impugnazione, espressa formalmente, impedisce qualsiasi valutazione sul merito dei motivi originariamente presentati.

Di conseguenza, la Corte ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte è lineare e si fonda sull’applicazione diretta delle norme del codice di procedura penale. L’articolo 591, comma 1, lettera d), prevede espressamente che l’impugnazione sia inammissibile in caso di rinuncia. La Corte ha semplicemente preso atto di questa manifestazione di volontà, considerandola un “atto abdicativo” che preclude l’esame del ricorso.

La condanna alle spese, a sua volta, non è una decisione discrezionale, ma una conseguenza quasi automatica prevista dall’articolo 616 del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che, in caso di inammissibilità del ricorso, la parte privata che lo ha proposto sia condannata al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria. La Corte, nel caso di specie, non ha ravvisato alcuna “ragione d’esonero” che potesse giustificare una deroga a tale principio, rifacendosi a un proprio precedente (Sez. 2, n. 45850 del 15/09/2023).

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: la rinuncia all’appello è un atto processuale definitivo che chiude irrevocabilmente la via dell’impugnazione. Le implicazioni pratiche sono chiare: una volta formalizzata la rinuncia, il procedimento si estingue in quella fase e la sentenza impugnata passa in giudicato. Inoltre, scattano automaticamente le conseguenze economiche previste dalla legge, ovvero la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione di rinunciare, pertanto, deve essere ponderata attentamente, tenendo conto non solo della chiusura del contenzioso, ma anche dei costi che ne derivano.

Cosa succede se, dopo aver presentato un ricorso in Cassazione, si decide di rinunciarvi?
La Corte di Cassazione, una volta ricevuta la comunicazione formale di rinuncia, dichiara il ricorso inammissibile. Questo significa che il caso non viene esaminato nel merito e la sentenza precedente diventa definitiva.

Chi paga le spese processuali in caso di rinuncia all’appello?
Secondo la sentenza, la parte che ha presentato il ricorso e vi ha successivamente rinunciato è condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle Ammende, poiché la rinuncia porta a una declaratoria di inammissibilità.

Per quale motivo il primo appello era stato dichiarato inammissibile?
La Corte d’Appello aveva dichiarato l’appello inammissibile perché la sentenza di primo grado era stata emessa in assenza dell’imputata e l’atto di impugnazione non conteneva la necessaria dichiarazione o elezione di domicilio per le notificazioni, come richiesto dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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