Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8246 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8246 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato a Roma il 25/11/1970
avverso la sentenza emessa in data 14/02/2024 dalla Corte di appello di Roma udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza impugnata; udite le conclusioni degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno annullamento senza
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME insistito per l’accoglimento de i motivi di ricorso, chiedendo l ‘ rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, con decreto emesso in data 9 ottobre 2018, ha disposto il rinviato a giudizio di NOME COGNOME e NOME COGNOME per rispondere, in concorso, del delitto di corruzione per un atto
contrario ai doveri di ufficio di cui agli artt. 319, 321 cod. pen. (capo A).
Secondo l’ipotesi di accusa, COGNOME in qualità di Maresciallo capo della Guardia di Finanza, avrebbe ricevuto dal commercialista NOME COGNOME la somma di cinquemila euro e altre somme di ammontare imprecisato, dal giugno 2012 all ‘ ottobre 2013, per l’asservimento della sua funzione e per il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio, consistiti nel consegnargli bozze dei verbali degli accertamenti svolti nelle verifiche fiscali eseguite sul gruppo di società riferibile alla famiglia COGNOME, nel cui interesse operava COGNOME (capo A).
Al capo B) dell’imputazione è stato, inoltre, contestato ad Argenio, in concorso con NOME, il delitto di cui agli artt. 110 cod. pen., 14 cod. pen. mil. e 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383, per aver colluso, nelle qualità indicate, al fine di frodare la Finanza, dal giugno 2012 all ‘ ottobre 2013.
Il Tribunale di Roma, con sentenza emessa in data 31 gennaio 2022, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di NOME e NOME, in relazione al delitto contestato al capo A), riqualificato in quello di corruzione per la funzione di cui all’art. 318 cod. pen., in quanto estinto per prescrizione, e li ha assolti dal delitto contestato al capo B) perché il fatto non sussiste.
Con la pronuncia impugnata la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, condannando l’imputato appellante al pagamento delle spese processuali.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di Argenio, hanno impugnato questa sentenza e ne hanno chiesto l’annullamento, proponendo sei motivi di ricorso.
4.1. Con il primo motivo i difensori censurano l’inosservanza dell’art. 157 cod. pen., in quanto la Corte di appello avrebbe applicato un termine di decadenza per la rinuncia alla prescrizione ignoto al codice penale.
I difensori precisano che il ricorrente ha rinunciato alla prescrizione del reato contestato al capo A) della rubrica con dichiarazione allegata all’atto di appello.
La Corte d’appello ha, tuttavia, ritenuto tardiva la rinuncia alla prescrizione, in quanto la stessa è stata formulata dopo la pronuncia della sentenza nel grado del giudizio in cui è maturata.
Ad avviso dei difensori, questo rilievo sarebbe illegittimo; il delitto di corruzione per il compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio, come originariamente contestato al capo A) della rubrica, si è, infatti, prescritto soltanto dopo che il giudice di primo grado lo ha riqualificato nel meno grave reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 cod. pen.
L ‘ imputato, dunque, non avrebbe potuto rinunciare alla prescrizione prima
di conoscere la decisione del giudice sulla riqualificazione e, di conseguenza, il momento per rinunciare efficacemente alla prescrizione non poteva che coincidere con il deposito dell’atto di appello.
I difensori rilevano, inoltre, che, nel giudizio di primo grado è stato contestato al capo B) anche il più grave reato di collusione con un militare per frodare la Guardia di finanza previsto dall’art. 3 della legge 9 dicembre 1941 n. 1383, per il quale il termine di prescrizione non era comunque maturato; a nulla, dunque, sarebbe valsa una rinuncia parziale, rispetto alla necessità di proseguire il processo per il più grave reato non ancora prescritto.
4.2. Con il secondo motivo i difensori rilevano che la Corte di appello, ritenendo illegittimamente tardiva la rinuncia alla prescrizione, avrebbe deciso l ‘ impugnazione proposta dall ‘ imputato ricorrendo al canone dell’evidenza della prova, sancito dall’art. 129 , comma 2, cod. proc. pen.
L’errata applicazione di questa regola di giudizio, dunque, avrebbe determinato l ‘ omesso esame delle censure proposte nel merito dai difensori nell’atto di appello.
4.3. Con il terzo motivo i difensori deducono che la Corte di appello ha posto a fondamento delle proprie valutazioni intercettazioni già dichiarate inutilizzabili dal giudice di primo grado e ne avrebbe operato, peraltro, una «sintesi del tutto parziale».
Ad avviso dei difensori, inoltre, la circostanza affermata dalla Corte di appello, secondo cui COGNOME avrebbe consegnato a COGNOME alcuni file contenenti i verbali delle verifiche fiscali sarebbe stata categoricamente esclusa dal Tribunale; i giudici di primo grado avrebbero, inoltre, escluso che i file relativi alle verifiche fiscali siano stati modificati nell’interesse delle società assistite da COGNOME e che questi si sia occupato del contenzioso insorto successivamente alle predette verifiche fiscali , in quanto l’incarico conferitogli dal gruppo RAGIONE_SOCIALE era stato revocato a partire dal 2012.
Con il quarto motivo, i difensori censurano il vizio di mancanza della motivazione, in quanto i giudici di appello avrebbero omesso di valutare le dichiarazioni rese dai testi della difesa, che avrebbero dato atto della correttezza del comportamento dell’imputato.
I testi della difesa hanno, infatti, dichiarato che tra COGNOME e COGNOME vi erano rapporti di amicizia e non professionali e che, all’atto della ricezione dell’assegno da COGNOME, COGNOME stava passando un periodo di grave difficoltà finanziaria; l ‘ imputato, dunque, aveva accettato un prestito personale dall’amico, erogato con assegno, proprio perché pienamente tracciabile.
La Corte di appello, ignorando le censure formulate nell ‘ atto di appello, avrebbe sostenuto, in modo manifestamente illogico, che la mera consegna di una somma di danaro, attraverso un assegno tracciabile, costituisce prova della
condotta corruttiva.
I giudici di appello, inoltre, violando il disposto dell ‘ art. 318 cod. pen., hanno ritenuto che l ‘ ipotesi del prestito personale, anche qualora fosse stata ritenuta credibile, non avrebbe escluso il reato; questa argomentazione, tuttavia, ad avviso dei difensori sarebbe errata, in quanto l ‘ erogazione di un prestito personale ad un pubblico ufficiale, stante la liceità della causa dell ‘ operazione, non integra il reato di corruzione.
Il reato di corruzione per la funzione dichiarato prescritto sarebbe, dunque, stato ritenuto sussistente sulla base di argomenti meramente congetturali, in quanto NOME non era interessato alle sorti del gruppo societario RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non aveva fatto nulla per agevolare la verifica.
4.4. Con il quinto e il sesto motivo i difensori deducono l’illegittimità della confisca della somma di euro 5.000,00, in quanto la motivazione del provvedimento ablativo sarebbe meramente apparente, e rilevano che la sentenza di primo grado ha escluso ogni collegamento causale tra la ricezione da parte di Argenio della somma di euro 5.000,00 e il compimento di atti di ufficio volti ad agevolare il gruppo COGNOME nel corso delle verifiche fiscali.
Con istanza tempestivamente depositata in data 3 dicembre 2024, i difensori hanno chiesto la trattazione orale del ricorso.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 18 dicembre 2024, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, di annullare la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma per nuovo giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto per le ragioni che di seguito si precisano.
Con il primo motivo i difensori censurano l’inosservanza dell’art. 157 cod. pen., in quanto la Corte di appello avrebbero dichiarato tardiva la rinuncia alla prescrizione applicando un termine di decadenza ignoto al codice penale.
Il motivo è fondato.
3.1. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 275 del 31 maggio 1990, superando il proprio precedente orientamento, espresso dalla sentenza n. 202 del 1971, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 157, cod. pen., per contrasto con l’art. 3, secondo comma, e 24, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevedeva che la prescrizione del reato potesse essere rinunciata dall’imputato .
La Corte costituzionale ha, infatti, censurato l’irragionevolezza dell ‘indefettibile prevalenza dell’interesse generale di non perseguire reati, il cui ricordo insieme all’allarme sociale siano ormai cessati, su ll’interesse dell’ imputato a ottenere una decisione sul merito del giudizio; questa scelta del legislatore, infatti, sacrificava irragionevolmente il diritto inviolabile alla difesa, inteso come diritto al giudizio e alla prova, a fronte del mero decorso del tempo, dovuto a circostanze eterogenee e, comunque, non dominabili dall ‘ imputato.
L’art. 6, comma 1, della legge 5 dicembre 2005, n. 251, ha riformulato l’art. 157 cod. pen. e al settimo comma di questa disposizione ha affermato espressamente il principio della rinunciabilità della prescrizione.
La giurisprudenza di legittimità, nell’interpretare questa disposizione, ha affermato che la rinuncia alla prescrizione è un diritto personalissimo, che spetta in via esclusiva all’imputato e non rientra nel novero degli atti processuali che possono essere compiuti dal difensore a norma dell’art. 99 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 21666 del 14/12/2012, dep. 2013, Gattuso, Rv. 256076 -01).
La rinuncia alla prescrizione richiede una dichiarazione di volontà espressa e specifica da parte dell’imputato, che non ammette equipollenti (Sez. U, n. 18953 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. 266333 -01, secondo cui la richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato, ovvero il consenso prestato alla proposta del pubblico ministero, non possono valere come rinuncia alla prescrizione; Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010, COGNOME, Rv. 248379 -01, secondo cui la rinuncia alla prescrizione non può essere desunta implicitamente dalla mera proposizione del ricorso per cassazione).
Il diritto di rinunciare alla prescrizione del reato può, dunque, essere esercitato esclusivamente dopo che la prescrizione è maturata, in quanto solo da quel momento l’interessato può valutarne gli effetti (Sez. 4, n. 47272 del 26/09/2017, Comat, Rv. 271292 -01; Sez. 6, n. 42028 del 04/11/2010, Regine, Rv. 248739 -01), e la rinuncia è irrevocabile, una volta inequivocabilmente portata a conoscenza dell ‘ organo procedente (Sez. 6, n. 17598 del 18/12/2020, COGNOME, Rv. 280969 -01; Sez. 5, n. 33344 del 24/04/2008, Randazzo, Rv. 241389).
La rinunzia dell’imputato alla prescrizione è, invece, inefficace se il termine di prescrizione non è ancora maturato al momento della rinunzia medesima ( ex plurimis : Sez. 4, n. 48272 del 26/09/2017, Comat s.r.l., Rv. 271292 -01) e produce i suoi effetti al verificarsi della causa estintiva, sicché è revocabile sino a tale momento (Sez. 3, n. 3758 del 20/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282828 -01).
3.2. Muovendo da tali principi, deve rilevarsi che il ricorrente ha tempestivamente rinunciato alla prescrizione con la dichiarazione allegata ai motivi di appello.
La Corte di appello ha, tuttavia, ritenuto tardiva e, dunque, inefficace la rinuncia alla prescrizione formulata dall’imputato, in quanto l’imputazione d i cui al capo A), pur formalmente riferita all’art. 319 cod. pen., già conteneva in fatto la contestazione di condotte configurabili ai sensi dell’art. 318 cod. pen. , quale forme di asservimento della funzione.
I giudici di appello hanno, inoltre, rilevato che lo stesso imputato si era difeso anche per l’eventualità della riqualificazione delle condotte contestate al capo A) ai sensi dell’art. 318 cod. pen. nella memoria depositata in data 12 gennaio 2022 e nelle conclusioni rese del giudizio di primo grado.
La possibilità della diversa qualificazione operata dal Tribunale era, dunque, ben nota all’imputato , che era stato in grado di esercitare tempestivamente il proprio diritto alla rinuncia della prescrizione, prima della pronuncia della sentenza di primo grado.
La dichiarazione di rinuncia alla prescrizione, essendo stata formalizzata dopo che era stata pronunciata la sentenza nel grado del giudizio in cui la causa estintiva era maturata, era, dunque, tardiva e inefficace e doveva essere interpretata come una richiesta di assoluzione nel merito.
3.3. Il Collegio non condivide le argomentazioni della Corte di appello, che ha introdotto rilievi relativi all’assenza di una ‘riqualificazione a sorpresa’ nel sindacato, distinto e autonomo, sulla tempestività della rinuncia alla prescrizione.
La formulazione del l’imputazione di cui al capo A) ricomprende sia «l’asservimento della qualità funzionale» ( penalmente sanzionato dall’art. 318 cod. pen.), che «il compimento di atti contrari ai doveri dell’ufficio in violazione dei doveri di imparzialità della pubblica amministrazione» (contemplato dall’art. 319 cod. pen.).
Tuttavia, soltanto a seguito della riqualificazione del delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, originariamente contestato al capo A) dell’imputazione, in quello meno grave di corruzione per la funzione , il giudice di primo grado ha dichiarato estinto il reato per intervenuta prescrizione.
Prima di questo momento l’imputato non avrebbe potuto efficacemente esercitare il proprio diritto alle rinuncia alla prescrizione poiché non era ancora maturata la causa estintiva del reato in ordine al più grave delitto di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio di cui all’ art. 319 cod. pen.
La Corte di appello, dunque, ha rimproverato all’imputato di non aver rinunciato alla prescrizione in un momento processuale, anteriore alla pronuncia della sentenza di primo grado, nel quale la rinuncia sarebbe stata, comunque, inefficace.
I giudici di appello hanno, dunque, illegittimamente dichiarato la tardività della rinuncia alla prescrizione formalizzata dall’imputato.
3.4. E’ vero, come rileva la Corte di appello, che l a giurisprudenza di
legittimità ha ritenuto tardiva e inefficace la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione del reato formulata dopo che sia stata pronunciata sentenza nel grado di giudizio in cui è maturata (Sez. 5, n. 11928 del 17/01/2020, Capacchione, Rv. 278983 -02, fattispecie in cui il ricorrente ha rinunciato alla prescrizione, già dichiarata in appello, il giorno dell’udienza in cassazione; Sez. 1, n. 32623 del 23/06/2009, Grotta, Rv. 244742; conf. Sez. 5, n. 40499 del 06/07/2017, NOME, Rv. 271423 -01, secondo questa pronuncia la prescrizione dichiarata con sentenza non può essere, nei gradi successivi, oggetto di rinuncia, sicché una dichiarazione in tal senso in sede di impugnazione deve essere intesa come richiesta di assoluzione nel merito).
Questo principio di diritto è, tuttavia, stato affermato in casi nei quali l’imputazione è rimasta ferma nel corso del giudizio ed era nota all’imputato.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha ritenuto ammissibile la rinuncia alla prescrizione del reato già dichiarata con sentenza, qualora l’imputato non sia stato in grado, senza sua colpa, di avere notizia della pendenza del processo a suo carico, cosicché il primo momento utile per la manifestazione della volontà coincide con quello dell’impugnazione (Sez. 3, n. 4946 del 17/01/2012, Misale, Rv. 251985 -01).
La Quarta sezione della Corte di cassazione ha, inoltre, recentemente statuito che la rinuncia dell’imputato alla prescrizione del reato effettuata nel corso del giudizio non è efficace se la maturazione del relativo termine, pur collocabile anteriormente alla rinuncia stessa, dipenda da valutazioni giuridiche solo successivamente operate in sentenza, in quanto solo a decorrere da tale momento è conoscibile l’effetto estintivo pur anteriormente prodottosi e l’interessato è posto in grado di valutare gli eff etti di tale rinuncia (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, COGNOME Rv. 281997 -06, fattispecie di prescrizione già maturata al momento della rinuncia per avere la Corte successivamente escluso la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’art. 589 cod. pen.).
Questa pronuncia ha anche affermato che, ove la prescrizione dipenda da valutazioni operate dalla C orte di cassazione, al fine di garantire l’effettività del diritto di rinunzia, deve disporsi l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata affinché il giudice del rinvio verifichi la volontà dell ‘ imputato di rinunciare alla prescrizione.
Nel caso deciso da questa sentenza, infatti, analogamente a quanto avvenuto nel presente giudizio, per effetto della riqualificazione dell ‘ originaria contestazione operata dal giudice nella sentenza, il momento nel quale il reato si è estinto è anteriore a quello nel quale la causa estintiva è divenuta nota all’imputato .
In tali casi il diritto alla rinuncia alla prescrizione può, dunque, essere consapevolmente esercitato dall ‘ imputato solo nel primo atto successivo alla pronuncia della sentenza, costituito dall’atto di impugnazione.
3.5. Ritiene, dunque, il Collegio che sia tempestiva ed efficace la rinuncia alla prescrizione operata dall ‘ imputato nell’atto di appello, quan do solo la derubricazione del reato operata dalla sentenza di primo grado abbia determinato l’estinzione del reato contestato .
L’errata dichiarazione di prescrizione del reato comporta, dunque, la necessità di applicare la corretta regola di giudizio nell’interesse dell’imputato .
Si impone, dunque, in via di principio, l’ annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per la celebrazione di un nuovo giudizio di impugnazione, al fine di esaminare nel merito le censure proposte dal ricorrente nell’atto di appello e illegittimamente non esaminate, in quanto ritenute superate da ll’applicazione della regola di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
4.1. La celebrazione del giudizio di rinvio, tuttavia, nel caso di specie si rivela superflua.
Le risultanze probatorie del giudizio di merito hanno, infatti, dimostrato l’ obiettiva infondatezza dell’ipotesi di accusa.
Il Tribunale di Roma ha, infatti, escluso la sussistenza del delitto di cui all’art. 319 cod. pen., in quanto non è stato accertato quale attività illecita abbia commesso COGNOME nell’interesse di COGNOME e, ancor prima, se il ricorrente abbia effettivamente consegnato i verbali delle verifiche fiscali al commercialista.
L’esito di tali verifiche fiscali non risulta, peraltro, essere stato turbato o alterato e COGNOME non ha assistito le società verificate nel contenzioso tributario insorto in seguito alle predette verifiche.
Ad avviso del Tribunale, il ricorrente ha commesso il delitto di cui all’art. 318 cod. pen. per effetto della ricezione dell’assegno del COGNOME, operata in violazione del dovere di imparzialità connesso all ‘ esercizio della funzione pubblica, ma «senza che tale violazione abbia avuto ripercussioni su un atto particolare o, quindi, sullo svolgimento dell’attività del pubblico ufficiale».
La Corte di appello di Roma ha, tuttavia, concluso che «costituisce.. una circostanza alquanto sospetta l ‘ elargizione di un prestito in favore di un militare della Guardia di Finanza, da parte di un commercialista interessato alle sorti di un gruppo societario sottoposto ad una verifica fiscale».
I giudici di merito hanno, dunque, accertato la ricezione, invero incontestata, da parte del ricorrente della somma di cinquemila euro versatagli dal commercialista NOME COGNOME ma hanno affermato la sussistenza del delitto di cui all’art. 318 cod. pen. sulla base di elementi meramente congetturali o, comunque, di meri sospetti.
Nessun elemento probatorio acquisito nel giudizio di primo grado consente, infatti, di ritenere che la consegna, nel luglio del 2012, dell ‘ assegno dell ‘ importo di 5.000 euro operata da COGNOME ad Argenio costituisce la remunerazione di un
accordo corruttivo.
4.2. La prova del l’ accordo illecito tra privato e pubblico agente è, tuttavia, costantemente considerata dalla giurisprudenza di legittimità quale presupposto di fattispecie necessario e indefettibile per integrare il reato di corruzione.
La dazione indebita di una utilità in favore del pubblico ufficiale può, infatti, ben può costituire un indizio, sul piano logico, del reato di corruzione, ma non può costituire di per sé la prova della finalizzazione della stessa al comportamento antidoveroso del pubblico ufficiale, in quanto questo elemento di prova deve essere valutato unitamente ad altre circostanze di fatto acquisite nel processo, in conformità al dettato dall ‘ art. 192, comma 2, cod. proc. pen. ( ex plurimis : Sez. 6, n. 39020 del 18/07/2017, Alfano, non massimata).
Ai fini dell ‘ accertamento del reato di corruzione propria, nelle ipotesi nelle quali la dazione di denaro o di altra utilità in favore del pubblico ufficiale risulti contabilizzata e documentata, è, dunque, necessaria la prova del pactum sceleris intervenuto tra soggetto corruttore e pubblico ufficiale corrotto, nel senso che deve essere dimostrato che il compimento dell’atto, contrario ai doveri di ufficio, è stato la causa della prestazione dell’utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale, non essendo quindi sufficiente a tali fini la mera circostanza della intervenuta dazione di utilità (Sez. 6, n. 39008 del 06/05/2016, COGNOME, Rv. 268088 -01; Sez. 6, n. 5017 del 07/11/2011 (dep. 2012), Bisignani, Rv. 251867 -01; Sez. 6, n. 24439 del 25/03/2010, COGNOME, Rv. 247382 -01; Sez. 6, n. 34415 del 15/05/2008, COGNOME, Rv. 240745 -01).
4.3. La necessità di provare rigorosamente l’accordo corruttivo, peraltro, non viene meno ove si qualifichi la condotta del pubblico agente ai sensi dell’art. 318 cod. pen.; tale delitto è, infatti, pur sempre un reato-contratto e la sua integrazione postula l’ accordo, espresso o implicito, avente ad oggetto la compravendita dell ‘ esercizio delle funzioni o dei poteri di un funzionario pubblico.
4.4. I giudici di merito non hanno fatto corretta applicazione di questi consolidati principi, in quanto si sono limitati a rilevare che la ricezione dell’assegno da parte del ricorrente ha determinato una violazione del dovere di imparzialità del pubblico agente, senza riuscire ad accertare la sussistenza di un accordo corruttivo tra le parti.
L’ampia e completa istruttoria dibattimentale svolta in primo grado ha, tuttavia, ormai esaurito le possibilità di accertamento del giudizio penale sul reato di corruzione contestato nel presente processo.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, peraltro, affermato che nel giudizio di cassazione, l’annullamento va disposto senza rinvio allorché un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata (Sez.
U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226100-01; Sez. U, n. 22327 del 30/10/2002 (dep. 2003), Carnevale, Rv. 224182 – 01; Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019 (dep. 2020), Bolla, Rv. 279555-19).
In questa situazione di obiettiva impossibilità di arricchire il quadro degli elementi probatori disponibili, una rinnovata valutazione degli stessi da parte del giudice di rinvio si rivela strutturalmente inidonea a colmare le lacune nel ragionamento probatorio operato dalla sentenza impugnata e a pervenire ad una affermazione di responsabilità penale dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio.
4.5. Alla stregua di tali rilievi, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste, con assorbimento delle ulteriori censure proposte dal ricorrente .
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2025.