Rinuncia al Testimone del PM: La Difesa Può Subentrare? Analisi di un’Ordinanza di Cassazione
Nel processo penale, la gestione della prova è un momento cruciale che determina le sorti del giudizio. Ma cosa accade quando una parte, ad esempio il Pubblico Ministero, decide per una rinuncia al testimone che aveva precedentemente indicato? Le altre parti, in particolare la difesa, hanno il diritto di procedere comunque all’esame? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione fa luce su questo delicato aspetto procedurale, ribadendo un orientamento consolidato e offrendo importanti spunti di riflessione per gli operatori del diritto.
Il Caso: Un Ricorso Dichiarato Inammissibile
Il caso analizzato dalla Suprema Corte nasce da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello. La difesa dell’imputato lamentava, tra le altre cose, la revoca di un’ordinanza che aveva ammesso un testimone, a seguito della rinuncia all’esame da parte del Pubblico Ministero. L’imputato era stato condannato per il reato di calunnia e la testimonianza era ritenuta rilevante. Oltre al motivo procedurale, il ricorso reiterava censure sulla valutazione della responsabilità penale, sulla sussistenza della recidiva e sulla mancata concessione delle attenuanti generiche.
La Questione del Diritto alla Prova e la Rinuncia al Testimone
Il cuore della pronuncia della Cassazione risiede nella corretta interpretazione del diritto alla prova in relazione alla rinuncia al testimone. La Corte, richiamando la propria giurisprudenza consolidata (tra cui le sentenze n. 39764/2017 e n. 1956/2024), ha chiarito un principio fondamentale: quando una parte rinuncia all’esame di un proprio teste, le altre parti hanno il diritto di procedervi solo e soltanto se quel testimone era stato inserito anche nella loro lista testimoniale.
In assenza di questa condizione, la richiesta della difesa di sentire comunque il teste si configura non come l’esercizio di un diritto, ma come una mera sollecitazione all’esercizio dei poteri officiosi del giudice, disciplinati dall’art. 507 del codice di procedura penale. Tali poteri, tuttavia, sono eccezionali e discrezionali, e il giudice può attivarli solo se lo ritiene assolutamente necessario ai fini della decisione, senza che la parte possa pretenderlo.
L’Onere della Prova sulla Difesa
Nel caso di specie, la difesa non solo non aveva dimostrato di aver incluso il testimone nella propria lista, ma non aveva neppure sollevato specificamente questo aspetto nell’atto di appello. La Cassazione sottolinea come fosse onere della parte documentare l’inserimento del teste nella propria lista, come previsto dall’art. 165 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. La mancanza di tale allegazione ha reso il motivo di ricorso infondato e, di conseguenza, inammissibile.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile nella sua interezza. Per quanto riguarda la questione procedurale della rinuncia al testimone, la motivazione è netta: la difesa non ha provato di avere un diritto autonomo all’esame del teste, non avendolo inserito nella propria lista. La richiesta, pertanto, non poteva che essere respinta.
Per quanto concerne gli altri motivi di ricorso, relativi alla valutazione della responsabilità per calunnia, alla recidiva e alle circostanze attenuanti, la Corte li ha liquidati come una semplice riproposizione di censure già esaminate e respinte dai giudici di merito. I giudici delle precedenti istanze avevano fornito argomentazioni giuridicamente corrette, puntuali e logicamente coerenti per motivare la loro decisione. Riproporre in sede di legittimità le medesime doglianze, senza evidenziare vizi di legge o manifeste incongruenze logiche, rende il ricorso inammissibile.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa
L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni pratiche. La prima è l’importanza cruciale della preparazione delle liste testimoniali. Una strategia difensiva efficace deve prevedere l’inclusione di tutti i soggetti la cui testimonianza potrebbe essere utile, anche se già indicati dall’accusa. Affidarsi alla lista altrui espone al rischio di perdere una prova potenzialmente decisiva in caso di rinuncia. La seconda lezione è che il ricorso per cassazione non è una terza istanza di merito. Non è sufficiente essere in disaccordo con la valutazione dei fatti operata dai giudici; è necessario individuare specifici vizi di legittimità o palesi illogicità nella motivazione per sperare in un accoglimento. In assenza di ciò, il ricorso si traduce solo in una condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Se il Pubblico Ministero rinuncia a un proprio testimone, la difesa può chiederne l’esame?
Sì, ma solo a condizione che la difesa abbia a sua volta inserito quel testimone nella propria lista testimoniale depositata nei termini di legge.
Cosa succede se la difesa chiede di esaminare un teste non incluso nella propria lista testimoniale a cui il PM ha rinunciato?
In questo caso, la richiesta non costituisce l’esercizio di un diritto. Viene considerata una mera sollecitazione affinché il giudice eserciti i suoi poteri officiosi (ex art. 507 c.p.p.), ovvero la facoltà discrezionale di ammettere nuove prove se ritenute assolutamente necessarie.
Perché il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile anche per gli altri motivi?
Perché le censure relative alla responsabilità per calunnia e agli altri aspetti della condanna erano una semplice riproposizione di argomenti già adeguatamente valutati e respinti dai giudici di merito con motivazioni considerate corrette, puntuali e prive di manifeste incongruenze logiche.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35567 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35567 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/11/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza epigrafe;
esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e la memoria difensiva trasmessa nell’interesse del ricorrente;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché i motivi prospettati non sono consentiti d legge in sede di legittimità in quanto in relazioneel tema della revoca dell’ordinanza di ammissione del teste COGNOME in conseguenza della rinunzia operata dal PM vale ribadire il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di diritto alla prova, quando una parte rinuncia all’esame di un proprio testim le altre hanno diritto a procedervi solo se questo era inserito nella loro lista testimoniale, v altrimenti la loro richiesta come mera sollecitazione all’esercizio dei poteri officiosi del giu art. 507 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 39764 del 29/05/2017, Rv. 271848; Sez. 4, Sentenza n. 1956 del 06/12/2023, dep. 2024 Rv. 285666), nel caso non ulteriormente supportata da apposita richiesta di rinnovazione istruttoria con l’atto di appe va peraltro rimarcato che la difesa non ha allegato o non ha debitamente richiamato ai sensi dell’art. 165 bis disp. att. cod. proc. pen. la documentazione dimostrativa dell’inserimento del COGNOME anche nella propria lista testimoniale, aspetto del resto neppure rimarcato con l’atto appello);
in ordine alle valutazioni rese a sostegno della responsabilità per la calunnia contestata, suoi tratti costitutivi, compreso quello soggettivo, nonché con riguardo alla valutazione materiale probatorio, alla ritenuta e confermata sussistenza degli estremi inerenti alla recid contestata e alla mancata applicazione delle generiche, l’impugnazione replica profili di censur già adeguatamente vagliati e disattesi dai giudici del merito con argomenti giuridicament corretti, puntuali rispetto al portato delle doglianze difensive, coerenti con riguardo emergenze acquisite oltre che immuni da manifeste incongruenze logiche;
rilevato che all’inammissibilità del ricorso conseguono le pronunce di cui all’art. 616 proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 4 luglio 2024.