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Rinuncia al ricorso: quando diventa inammissibile?

Un indagato, sottoposto a custodia cautelare in carcere per reati legati agli stupefacenti, ha presentato ricorso in Cassazione. Successivamente, la misura è stata sostituita con una meno afflittiva. A seguito di ciò, l’indagato ha formalizzato la rinuncia al ricorso. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10103/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, condannando il ricorrente al solo pagamento delle spese processuali, senza ammende aggiuntive.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al Ricorso: Effetti e Conseguenze secondo la Cassazione

La rinuncia al ricorso è un atto processuale con cui una parte dichiara di non voler più proseguire un’impugnazione già presentata. Questa decisione, come chiarito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 10103 del 2024, ha conseguenze dirette e immediate sulla sorte del processo, portando alla sua conclusione per inammissibilità. Analizziamo il caso specifico per comprendere le dinamiche e le implicazioni di questa scelta.

I Fatti del Caso: Dalla Custodia in Carcere alla Rinuncia Strategica

La vicenda trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Trento che aveva disposto la custodia cautelare in carcere per un individuo, indagato per gravi reati in materia di stupefacenti, previsti dagli articoli 73 e 74 del d.P.R. 309/1990. Contro questa misura restrittiva, la difesa aveva proposto un ricorso per Cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazioni di legge.

Tuttavia, durante la pendenza del ricorso, si è verificato un evento cruciale: il Giudice per le Indagini Preliminari ha sostituito la misura della custodia in carcere con una meno gravosa, ovvero l’obbligo di presentazione alla stazione dei Carabinieri. Questo cambiamento ha modificato radicalmente la situazione dell’indagato e, di conseguenza, il suo interesse a proseguire il giudizio di legittimità. In data 5 febbraio 2024, l’indagato ha quindi formalmente dichiarato di voler effettuare la rinuncia al ricorso.

La Decisione della Corte e la dichiarazione di inammissibilità per rinuncia al ricorso

La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, ricevuta la dichiarazione di rinuncia, non ha potuto fare altro che prenderne atto. La Corte ha stabilito che la rinuncia, motivata dalla sostituzione della misura cautelare, ha causato una “sopravvenuta carenza di interesse”.

L’interesse ad agire e a impugnare è un presupposto processuale che deve esistere non solo al momento della presentazione del ricorso, ma per tutta la durata del giudizio. Nel momento in cui l’esigenza di tutela che aveva spinto l’indagato a impugnare (cioè ottenere la revoca della custodia in carcere) è venuta meno, è cessato anche l’interesse a una pronuncia della Corte. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte è lineare e si fonda su un principio cardine del diritto processuale: non c’è giudizio senza interesse. La dichiarazione di rinuncia al ricorso è l’espressione formale della volontà della parte di non voler più ottenere una decisione sul merito della questione. La Corte, in questi casi, non entra nel merito dei motivi del ricorso originario (le presunte violazioni di legge o i vizi di motivazione), ma si ferma a una valutazione preliminare: la persistenza delle condizioni per poter decidere. La rinuncia fa venir meno questa condizione, imponendo una declaratoria di inammissibilità.

Un aspetto significativo della decisione riguarda la condanna alle spese. Pur dichiarando inammissibile il ricorso, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle sole spese processuali. Citando una fondamentale sentenza della Corte Costituzionale (n. 185/2000), i giudici hanno sottolineato che non vi era “colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”. La rinuncia, infatti, non è un errore o una negligenza, ma una scelta processuale legittima, spesso dettata da un cambiamento favorevole delle circostanze. Pertanto, non si applica la sanzione pecuniaria ulteriore, prevista per i ricorsi inammissibili per manifesta infondatezza o altre cause colpose.

Le Conclusioni

La sentenza in esame offre importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma che la rinuncia al ricorso è uno strumento efficace per chiudere un procedimento di impugnazione quando l’interesse a proseguirlo viene meno. In secondo luogo, chiarisce il regime delle spese processuali in caso di rinuncia: la parte rinunciante è tenuta a sostenere i costi del procedimento, ma, in assenza di colpa, non è soggetta a sanzioni pecuniarie aggiuntive. Questa pronuncia ribadisce come il sistema giudiziario valorizzi le scelte consapevoli delle parti che, di fronte a un mutato quadro fattuale, optano per non sovraccaricare ulteriormente la macchina della giustizia con impugnazioni divenute prive di scopo pratico.

Cosa succede se un indagato rinuncia al suo ricorso in Cassazione?
La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, senza esaminare il merito della questione. Il procedimento di impugnazione si conclude.

La rinuncia al ricorso comporta sempre il pagamento di una multa oltre alle spese processuali?
No. Come specificato nella sentenza, se la causa di inammissibilità è la rinuncia e non una colpa del ricorrente (come un ricorso palesemente infondato), la condanna è limitata al pagamento delle sole spese processuali, escludendo sanzioni pecuniarie aggiuntive.

Per quale motivo l’indagato in questo caso ha deciso di rinunciare al ricorso?
L’indagato ha rinunciato perché la misura cautelare della custodia in carcere, contro cui aveva fatto ricorso, è stata sostituita con una misura molto più lieve (l’obbligo di presentazione ai Carabinieri), facendo venir meno il suo interesse a ottenere una decisione dalla Corte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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