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Rinuncia al ricorso: inammissibilità e spese a carico

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso relativo a un sequestro preventivo di un impianto di recupero rifiuti. Gli appellanti, terzi interessati, hanno contestato il provvedimento, ma hanno poi presentato una rinuncia al ricorso prima dell’udienza. Di conseguenza, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle Ammende, poiché l’inammissibilità derivava da un loro atto volontario.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al Ricorso in Cassazione: Quando Ritirarsi Costa Caro

La decisione di impugnare un provvedimento giudiziario è un passo cruciale, ma cosa accade quando, in corso d’opera, si decide di fare marcia indietro? Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce le conseguenze dirette della rinuncia al ricorso, un atto che, sebbene ponga fine alla controversia, comporta precise responsabilità economiche per chi lo compie. Questo caso, nato da un sequestro preventivo in materia ambientale, si conclude non con una decisione sul merito della questione, ma con una dichiarazione di inammissibilità dovuta proprio alla volontà degli appellanti di ritirarsi dal giudizio.

I Fatti del Caso: Il Sequestro di un Impianto e l’Appello dei Terzi

La vicenda ha origine da un decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Napoli, finalizzato alla confisca di un impianto di recupero rifiuti di una società. Il provvedimento era stato confermato anche dal Tribunale del riesame.

Contro questa decisione, i nuovi rappresentanti della società, in qualità di terzi interessati ed estranei al presunto reato, avevano proposto ricorso per cassazione. Le loro doglianze si basavano su tre motivi principali:
1. Estraneità al reato: Sostenevano che la società, avendo cambiato assetto proprietario, appartenesse a terzi in buona fede e non potesse quindi essere soggetta a confisca.
2. Mancanza del periculum in mora: Ritenevano che la motivazione del provvedimento fosse carente riguardo alla concretezza e attualità del pericolo, dato il mutamento della proprietà e le dimissioni del precedente direttore commerciale coinvolto nelle indagini.
3. Violazione del principio di proporzionalità: Giudicavano la misura del sequestro sproporzionata, specialmente alla luce dell’affievolimento delle esigenze cautelari.

Tuttavia, prima che la Corte potesse entrare nel vivo di queste complesse questioni, è intervenuto un fatto nuovo e decisivo.

La Svolta Processuale: La Rinuncia al Ricorso

In data 25 giugno 2024, prima dell’udienza di discussione, i ricorrenti hanno depositato una dichiarazione congiunta di rinuncia al ricorso. Questo atto unilaterale ha cambiato completamente la direzione del procedimento. La Corte di Cassazione, infatti, non ha più avuto il compito di valutare se il sequestro fosse legittimo o meno, ma solo di prendere atto della volontà dei ricorrenti e trarne le dovute conseguenze procedurali.

Le conseguenze della rinuncia al ricorso

L’articolo 591 del codice di procedura penale stabilisce chiaramente che una delle cause di inammissibilità dell’impugnazione è proprio la rinuncia. Pertanto, la Corte non ha potuto fare altro che dichiarare i ricorsi inammissibili.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha fondato la sua decisione su un presupposto puramente processuale. La rinuncia, essendo pervenuta prima dell’udienza, ha precluso ogni esame nel merito. La sentenza chiarisce un punto fondamentale: la declaratoria di inammissibilità non è un esito neutro. Essa comporta, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Inoltre, la Corte ha applicato un principio consolidato, richiamando una storica sentenza della Corte Costituzionale (n. 186/2000). Poiché la causa di inammissibilità (la rinuncia) è riconducibile a una scelta volontaria, e quindi a una ‘colpa’ in senso processuale del ricorrente, scatta anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende. Questa somma, determinata in via equitativa in 500,00 euro, serve a sanzionare l’aver attivato la macchina della giustizia per poi ritirarsi volontariamente.

Conclusioni

La decisione in esame offre un importante insegnamento di carattere procedurale: la rinuncia al ricorso è un istituto che estingue il processo, ma non senza conseguenze. Chi decide di percorrere questa strada deve essere consapevole che sarà chiamato a sostenere non solo le spese del procedimento che ha avviato, ma anche un’ulteriore sanzione pecuniaria. La giustizia, una volta messa in moto, ha un costo, e chi decide volontariamente di fermarla a metà percorso è chiamato a farsene carico. Questa sentenza ribadisce che ogni atto processuale, inclusa la ritirata, ha un peso e una precisa responsabilità.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso per cassazione prima della discussione?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte, la quale non procede all’esame del merito della questione.

Chi effettua la rinuncia al ricorso deve pagare le spese processuali?
Sì, la parte che rinuncia al ricorso viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Perché chi rinuncia al ricorso viene condannato a pagare una somma alla Cassa delle ammende?
Perché, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, l’inammissibilità deriva da una causa riconducibile alla volontà (e quindi alla ‘colpa’ processuale) del ricorrente, che ha attivato il sistema giudiziario per poi interromperlo con un proprio atto volontario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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