Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20203 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20203 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato ad Avellino il 05/03/1974
avverso la sentenza del 29/05/2024 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore delle parti civili RAGIONE_SOCIALE e Federazione Provinciale Coldiretti di Avellino, il quale ha chiesto che il ricorso sia rigettato e che l’imputato sia condannato alla rifusione delle spese sostenute dalle suddette parti civili, come da nota che allega;
letta la memoria dell’Avv. NOME COGNOME difensore delle parti civili RAGIONE_SOCIALE e Federazione Provinciale RAGIONE_SOCIALE di Avellino, il quale, dopo avere argomentato in ordine all’inammissibilità del ricorso e all’infondatezza di ciascuno dei suoi motivi, ha chiesto il rigetto del gravame;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha chiesto che la sentenza impugnata venga annullata con rinvio;
udito l’Avv. NOME COGNOME difensore delle parti civili RAGIONE_SOCIALE e Federazione Provinciale RAGIONE_SOCIALE di Avellino, il quale si è
riportato agli atti da lui depositati e ha chiesto che il ricorso sia dichiara inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29/05/2024, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza del 21/02/2019 del Tribunale di Avellino, emessa in esito a giudizio ordinario, con la quale NOME COGNOME era stato assolto dai reati di truffa pluriaggravata (dall’avere cagionato alle persone offese un danno patrimoniale di rilevante gravità e dall’avere commesso il fatto con abuso di relazioni d’ufficio e di prestazione d’opera) ai danni di RAGIONE_SOCIALE e di Federazione Provinciale Coldiretti di Avellino e di uso di atto falso, pronunciando sull’appello che era stato proposto contro tale sentenza di primo grado dalle suddette parti civili, dopo avere rilevato l’estinzione «del reato» per intervenuta prescrizione, dichiarava la responsabilità del Penna ai soli effetti civili e, di conseguenza, l condannava al risarcimento del danno in favore di RAGIONE_SOCIALE e di Federazione Provinciale Coldiretti di Avellino, rimettendo tali parti davanti al giudice civile per la relativa quantificazione.
Secondo il capo d’imputazione, i reati di truffa pluriaggravata e di uso di atto falso erano stati contestati al Penna «perché, in qualità di dipendente addetto alla contabilità di “RAGIONE_SOCIALE” (attualmente in liquidazione), impresa il cui capitale era detenuto al 99% dalla “RAGIONE_SOCIALE Avellino” e 11% dalla “Federazione Regionale RAGIONE_SOCIALE Campania”, esibendo ai cd “ottimizzatori” documentazione falsa consistente in DURC, estratti conti bancari, Mod F24, in modo da far apparire sia che l’RAGIONE_SOCIALE fosse in regola con il pagamento dei versamenti all’INPS ed all’Agenzia delle Entrate sia che la contabilità fosse tenuta correttamente, inducendo in errore i cd ottimizzatori, si appropriava delle quote versate dai soci e dai clienti di “RAGIONE_SOCIALE“, procurandosi un ingiusto profitto con altrui danno. Con l’aggravante di aver cagionato un danno di rilevante gravità e con l’ulteriore aggravante di aver commesso il fatto con abuso di relazioni di ufficio, prestazioni di opera. Avellino negli anni dal 2009 al 2012».
Avverso tale sentenza del 29/05/2024 della Corte d’appello di Napoli, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 76, 100, comma 3, 122 e 591, comma 1, lett. a), dello stesso codice, con riguardo al rigetto, da parte della Corte d’appello di Napoli, della propria eccezione di inammissibilità dell’appello che era stato proposto dalle parti civili per l
mancanza, nella procura speciale in calce all’atto di costituzione di parte civile, «del conferimento al difensore del mandato/potere per proporre impugnazione».
Secondo il Penna, dalla corretta interpretazione di detta procura speciale, risulterebbe che il riferimento, nel suo testo, «ai gradi superiori di giudizio» non era stato operato con riguardo «al potere conferito al difensore di difendere ed assistere, in generale, la persona offesa», bensì era «limitato alla costituzione di parte civile».
La Corte d’appello di Napoli avrebbe erroneamente applicato gli artt. 76, 100 e 122 cod. proc. pen. perché «non si è accorta che l’espressione utilizzata nella procura speciale (in quanto intimamente connessa all’attività defensionale di costituzione di parte civile), è risultata limitata al conferimento dì procura speciale prevista dagli artt. 76 e 122 c.p.p. (con cui si devolve al procuratore la capacità di disporre delle posizioni giuridico-soggettive in nome e per conto del rappresentato) e, che, a mente del comma 2 dell’art. 76 c.p.p., produce effetti, appunto, in ogni stato e grado del processo».
Dal tenore complessivo della suddetta procura speciale risulterebbe insomma che le persone offese avevano conferito al proprio difensore la procura speciale prevista dall’art. 122 cod. proc. pen., che attribuisce allo stesso difensore la legitimatio ad processum, la quale conserva i suoi effetti fino all’espletamento dell’incarico, ma, «in ragione dell’espressione utilizzata, intimamente connessa all’attività di costituzione di parte civile la procura speciale rilasciata a no dell’art. 100 c.p.p. – che, invece, conferisce al difensore lo jus postulandi, ossia la rappresentanza tecnica in giudizio – non è risultata accompagnata da alcuna univoca indicazione dimostrativa della esplicita manifestazione della volontà delle persone offese di conferire la rappresentanza anche per l’impugnazione della sentenza in grado di appello».
Di conseguenza, il procuratore della parte civile «è risultato legittimato a resistere all’impugnazione dell’imputato ed a contraddirla, ma non anche ad agire e proporre domande né ad impugnare la sentenza e le statuizioni sfavorevoli, attività che avrebbero richiesto un mandato specifico ed ulteriore, poiché quello contenuto nella procura allegata all’atto di costituzione di parte civile, come visto, ha fatto riferimento ai gradi successivi di giudizio esclusivamente in relazione alla (immanenza) della costituzione di parte civile», sicché «non è stato possibile superare la presunzione di cui all’art. 100, comma 3, c.p.p.».
Pertanto, la più volte menzionata procura speciale non poteva essere «interpretat univocamente nel senso dell’attribuzione al difensore anche del potere di proporre appello», con la conseguenza che l’appello delle parti civili si sarebbe dovuto ritenere inammissibile perché proposto da un soggetto non legittimato.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 124, 129, 529 e 576 dello stesso codice, e la mancanza della motivazione per essersi la Corte d’appello pronunciata sulle statuizioni civili con riguardo a un reato improcedibile per tardività della querela.
Il Penna deduce che, anche a volere aderire alla tesi della Corte d’appello di Napoli secondo cui le persone offese avevano avuto notizia del fatto che costituiva il reato «a novembre 2012»: a) la querela di Federazione Provinciale Coldiretti di Avellino, in quanto sporta il 18/06/2013, era evidentemente successiva alla scadenza del termine di tre mesi decorrente da «novembre 2012»; b) con riguardo alla querela che era stata sporta da RAGIONE_SOCIALE il 14/02/2013, la motivazione sarebbe mancante in quanto la Corte d’appello di Napoli ha indicato solo genericamente il mese in cui la suddetta società avrebbe avuto notizia del fatto che costituiva reato, genericità che, ad avviso del Penna, dovrebbe essere valutata «in favore dell’imputato, stante l’applicabilità del principio del cd. favor rei».
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 603, comma 3-bis, dello stesso codice, e la mancanza della motivazione con riguardo alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
Il Penna lamenta che la Corte d’appello di Napoli non abbia rinnovato l’esame del perito NOME COGNOME e dei testimoni NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME nonostante le dichiarazioni che costoro avevano reso nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado fossero risultate rilevanti e, di più, decisive ai fini della sentenza di assoluzione da part del Tribunale di Avellino, anche «”prendendo le distanze” rispetto a quanto riferito dal perito Dott. COGNOME e rivalutando le dichiarazioni dei suddetti testimoni.
Il ricorrente contesta che la stessa Corte d’appello si sia limitata a rinnovare l’esame del testimone della polizia giudiziaria maresciallo COGNOME la cui attività investigativa, tuttavia, non aveva determinato la suddetta pronuncia assolutoria.
Da ciò la violazione del comma 3-bis dell’art. 603 cod. proc. pen., il quale richiede che la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale investa tutte le fonti dichiarative «coinvolte nel contrasto» e non sia limitata ad alcune di esse.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione per avere la Corte d’appello di Napoli violato l’obbligo della motivazione rafforzata.
Il Penna lamenta che la Corte d’appello di Napoli, nel “ribaltare” la sentenza assolutoria di primo grado, non avrebbe specificamente confutato gli argomenti che erano stati valorizzati nella motivazione di tale sentenza ai fini della
ricostruzione del fatto e della decisione di proscioglimento, e, pertanto, non avrebbe dato conto delle ragioni dell’incompletezza o dell’incoerenza degli stessi argomenti, così da giustificare il suddetto “ribaltamento”, avendo limitato la propria attenzione alla testimonianza del maresciallo COGNOME, peraltro anche indiretta, così violando l’obbligo della motivazione rafforzata.
2.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine all’affermazione della sua responsabilità.
Il Penna lamenta anzitutto che la Corte d’appello di Napoli avrebbe preso le mosse del proprio ragionamento dal fatto che egli sarebbe stato «il solo ad occuparsi della contabilità operando in via esclusiva sui conti correnti della società RAGIONE_SOCIALE» (nona pagina della sentenza impugnata), senza confrontarsi con il materiale probatorio – costituito, in particolare, dall dichiarazioni del perito dott. COGNOME e dei testimoni COGNOME COGNOME e COGNOME -, dal quale sarebbe risultata l’incertezza di tale assunto, che sarebbe stato pertanto meramente supposto, ciò che avrebbe «minato la base del ragionamento inferenziale».
Il Penna contesta poi che dal suddetto assunto non conseguirebbe logicamente che egli aveva posto in essere l’appropriazione di cui al capo d’imputazione, in assenza di «alcun elemento individualizzante» che deponesse in tale senso, sicché, col ritenere una tale conseguenzialità, la Corte d’appello di Napoli avrebbe compiuto «un salto logico».
Ulteriori vizi motivazionali sarebbero ravvisabili là dove la Corte d’appello di Napoli: a) afferma che il Penna «era l’unico a gestire e ritirare la corrispondenza indirizzata alla società» (settima pagina della sentenza impugnata), senza considerare quanto era stato dichiarato al riguardo dai testimoni NOME COGNOME e NOME COGNOME che non le avrebbe consentito di formulare, in termini di certezza, la suddetta conclusione; b) afferma che le persone offese scoprirono gli ammanchi di cassa solo a seguito della notificazione del pignoramento da parte di Equitalia e che non vi era «alcuna prova agli atti che dimostr che gli organi di controllo o i dirigenti sapessero della situazione debitoria in cui versavano RAGIONE_SOCIALE e Coldiretti Avellino», senza considerare né quanto appena detto circa il fatto che egli non era l’unico a ricevere la corrispondenza, né quanto era stato dichiarato al riguardo dal perito dott. COGNOME e dal testimone COGNOME, né la regola di esperienza che portava a escludere che i vertici di due enti potessero venire a conoscenza di un’importante esposizione debitoria degli stessi enti solo al momento della notificazione del pignoramento, ciò che avrebbe dovuto indurre e ritenere che i medesimi vertici e i controllori fossero a conoscenza dei fatti.
Il mancato adeguato confronto con le prove si sarebbe tradotto anche in una motivazione apparente là dove la Corte d’appello di Napoli ha valutato come irragionevole la ricostruzione alternativa – che, invece, sulla base delle stesse prove, sarebbe stata ugualmente se non maggiormente plausibile – secondo cui, come era stato affermato dal perito dott. COGNOME, lo scopo di quanto accaduto avrebbe potuto essere non la sottrazione di fondi ma l’occultamento di una gestione antieconomica.
La motivazione sarebbe viziata anche là dove la Corte d’appello di Napoli ha valorizzato il fatto che «sul conto del Penna siano stati rinvenuti 74.600 euro» (settima pagina della sentenza impugnata), attesi l’«impossibilità logica» di ritenere che tale somma potesse essere dimostrativa dell’appropriazione di circa € 2.900.000,00 che era stata lamentata dalle parti civili e il fatto che il Penna era «stato trovato in possesso solo di euro 30.000 extra stipendio, somma dovuta alle elargizioni di parenti ed amici in occasione del matrimonio». L’argomentazione della Corte d’appello di Napoli secondo cui ciò non sarebbe stato documentato né sarebbe altrimenti riscontrabile sarebbe «priva di supporto probatorio e, pertanto, meramente apparente».
Il Penna contesta ancora che la Corte d’appello di Napoli, nel valutare la valenza della denuncia che egli aveva sporto il 12/12/2012 nei confronti degli ultimi due direttori: a) non avrebbe considerato che egli sporse tale denuncia prima ancora di essere denunciato, così esponendosi al rischio di essere egli stesso destinatario di indagini; b) l’avrebbe contraddittoriamente considerata, da un lato, inattendibile, in quanto il conseguente procedimento penale era stato archiviato, dall’altro lato, attendibile là dove valorizza il fatto che, nella stessa, il Penna avev «amme di avere esibito documentazione falsa in sede di controllo da parte degli ottimizzatori». Ciò avrebbe impedito una valutazione adeguata di tale denuncia, nel senso della sua decisività quale elemento confermativo della ricostruzione alternativa, che era stata operata nella sentenza di primo grado, secondo cui l’utilizzo di documentazione falsa era finalizzato a coprire non l’appropriazione di somme ma l’esistenza di una situazione debitoria degli enti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Con la sentenza delle Sezioni unite COGNOME (Sez. U, n. 44712 del 27/10/2004, COGNOME, Rv. 229179-01), è stato affermato il principio secondo cui l’utilizzo, nella procura alle liti, di una formula anche generica e potenzialmente, onnicomprensiva può configurare quella «espressa volontà diversa» che il comma 3 dell’art. 100 cod. proc. pen. richiede affinché il mandato defensionale non si debba presumere conferito «soltanto per un determinato grado
del processo». Ciò sul presupposto che, per il rilascio della suddetta procura, non è prevista l’adozione di formule sacramentali, con la conseguente negazione della fondatezza dell’opposta tesi che, al fine di superare la menzionata presunzione semplice, esigeva la volontà espressa, cioè palese, evidente, volta a estendere la procura oltre il primo grado del processo.
Sulla base di tale principio, le Sezioni unite hanno affermato che formule quali «per tutti i gradi di giudizio», «in ogni stato e grado del procedimento» consentono di ritenere vinta la presunzione di cui al comma 3 dell’art. 100 cod. proc. pen., atteso che «’impiego della stessa terminologia fatta propria dal tenore del terzo comma dell’art. 100 (“grado” di processo), ancorché non vi sia menzionata la parola “appello”, conferisce alla procura il potere di spiegare efficacia anche per l’ulteriore fase del procedimento» (pag. 11 della sentenza COGNOME).
Nel caso in esame, la procura che era stata rilasciata al difensore in calce all’atto di costituzione di parte civile aveva il seguente tenore: «nomina proprio difensore e costituisce proprio procuratore speciale l’Avvocato affinché in suo nome e per suo conto lo assista e lo difenda nel procedimento penale R.G.N.R. n. 9559/12 – Udienza dibattimentale 2 ottobre 2015 dinanzi al Tribunale penale di Avellino – e le eventuali successive, oltre i gradi superiori di giudizio – con costituzione di parte civile da effettuarsi nei confronti di NOMECOGNOME]».
Il mandato conteneva, perciò, in tutta evidenza, sia la procura alle liti («nomina proprio difensore»; «affinché lo assista e lo difenda»), sia la rappresentanza processuale ai sensi degli artt. 76 e 122 cod. proc. pen. («con la costituzione di parte civile da effettuarsi nei confronti di»).
Ciò posto, alla luce del trascritto contenuto complessivo dell’atto, l’interpretazione della Corte d’appello di Napoli secondo cui la formula «oltre ai gradi superiori di giudizio» si riferiva al potere defensionale – e non, come è sostenuto dal ricorrente, esclusivamente all’immanenza” (o, meglio, permanenza) degli effetti della costituzione di parte civile – e conferiva al difensore anche la legittimazione a proporre appello, appare pienamente conforme al ricordato principio di diritto e del tutto priva di contraddizioni e di illogicità, meno manifeste, sicché essa non è censurabile in sede di legittimità.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
L’art. 8 del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, col sostituire, nel terzo comma dell’art. 640 cod. pen., le parole «un’altra circostanza aggravante» con le parole «la circostanza aggravante prevista dall’art. 61, primo comma, numero 7», ha reso il reato di truffa aggravato dalla circostanza di cui al n. 11) del primo comma dell’art. 61 cod. pen., in precedenza procedibile d’ufficio, punibile, invece, a querela di parte.
Successivamente, l’art. 2, comma 1, lett. o), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, col sopprimere, nel terzo comma dell’art. 640 cod. pen., le parole «o la circostanza aggravante prevista dall’art. 61, primo comma, numero 7», ha reso il reato di truffa aggravato da tale circostanza, in precedenza procedibile d’ufficio, punibile, invece, anch’esso, a querela della persona offesa.
Ai sensi del quarto comma dell’art. 2 cod. pen., tali disposizioni, in quanto incidono, in senso favorevole all’imputato, sull’an e sul quomodo dell’applicazione del precetto penale, si applicano retroattivamente.
Ciò posto, si deve rilevare che l’accertato reato di truffa, che è stato commesso «negli anni dal 2009 al 2012», essendo aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 7) e n. 11), cod. pen., era all’epoca procedibile d’ufficio ed è divenuto perseguibile a querela di parte solo per effetto del d.lgs. n. 150 del 2022.
Orbene, per le truffe commesse prima dell’entrata in vigore di tale decreto (30/12/2022), questo ha previsto, all’art. 85, una disciplina transitoria secondo la quale, per le stesse truffe, il termine per la presentazione della querela decorre dalla menzionata data di entrata in vigore del decreto legislativo, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato.
Ne discende che, sulla base di detta disposizione transitoria, in tale ipotesi che ricorre anche nel caso in esame – è con riferimento al momento dell’entrata in vigore della nuova legislazione che vanno svolte le valutazioni in ordine alla sussistenza e alla ritualità della condizione di procedibilità della querela, senza che possano rilevare eventuali “deficit” legati a momenti processuali in cui la stessa condizione non era richiesta.
Pertanto, avendo riguardo al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, è sufficiente rilevare come le persone offese RAGIONE_SOCIALE e Federazione Provinciale Coldiretti di Avellino avessero già espresso la propria volontà punitiva, sia presentando delle querele – non rileva se tempestive o, come è sostenuto dal ricorrente, tardive (Sez. 2, n. 50672 del 10/11/2023, Ongaro, Rv. 285691-01) – sia, comunque, costituendosi parte civile (costituzione mai revocata), tenuto conto, quanto a quest’ultima considerazione, che la volontà punitiva della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengano la sua esplicita manifestazione (in quest’ultimo senso: Sez. 1, n. 26575 del 14/05/2024, COGNOME, Rv. 286741-01, e Sez. 3, n. 27147 del 09/05/2023, S., Rv. 284844-01, le quali, sulla base della ratio sopra indicata, hanno affermato il pienamente condivisibile principio secondo cui la costituzione di parte civile non revocata equivale a querela ai fini della procedibilità di reati originariamente perseguibili d’ufficio e divenu perseguibili a querela a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022).
3. Il terzo motivo è fondato.
3.1. Il comma 3-bis dell’art. 603 cod. proc. pen., nel testo, applicabile ratione temporis, sostituito dall’art. 34, comma 1, lett. i), n. 1), del d.lgs. n. 150 del 2022 stabilisce che, «el caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice, ferme le disposizioni di cui ai commi da 1 a 3, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all’esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articoli 438, comma 5, e 441, comma 5».
Ciò posto, il motivo in esame impone anzitutto di stabilire in astratto se: a) l’obbligo di rinnovazione previsto da tale disposizione operi anche nel caso in cui la sentenza di proscioglimento venga riformata ai soli effetti della responsabilità civile; b) la prova da rinnovare possa consistere anche nell’esame di un perito.
La risposta a entrambi tali quesiti è positiva, alla luce degli interventi dell Sezioni unite della Corte di cassazione, i quali, come è stato precisato da Sez. 5, n. 16423 del 20/03/2024, A., non massimata sul punto, concernendo degli aspetti che non sono stati interessati dall’intervento riformatore che è stato attuato con il d.lgs. n. 150 del 2022, conservano piena validità.
Così, quando al primo quesito, si deve richiamare il principio, che è stato affermato con la sentenza COGNOME, secondo cui il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è tenuto, anche d’ufficio, a rinnovare l’istruzione dibattimentale anche successivamente all’introduzione del comma 3-bis dell’art. 603 cod. proc. pen. a opera dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281228-02).
Quanto al secondo quesito, si deve richiamare il principio, che è stato affermato con la sentenza COGNOME, secondo cui l’omessa rinnovazione della prova peritale acquisita in forma dichiarativa da parte del giudice di appello che proceda, sulla base di un diverso apprezzamento della stessa, nella vigenza dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., alla riforma della sentenza di assoluzione, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio della sentenza, denunciabile in sede di giudizio di legittimità a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112-03).
Quanto alla nozione di prove decisive, si devono ritenere tali quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato o anche solo contribuito a determinare un esito liberatorio e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito
del giudizio di impugnazione in termini di proscioglimento o di condanna (Sez. 3, n. 45810 del 14/11/2024, P., Rv. 287215-01).
3.2. Si deve ora stabilire se, nel caso concreto, ricorressero i presupposti dell’obbligo di rinnovazione dell’esame sia del perito NOME COGNOME sia dei testimoni COGNOME e COGNOME secondo quanto è sostenuto dal ricorrente.
A tale proposito, si deve rilevare che la pronuncia assolutoria di primo grado, «perché non è stata raggiunta la prova che il fatto sussista», poggiava su:
a) la deposizione del perito dott. COGNOME il quale, esaminato nel corso delle udienze del 12/05/2017 e del 28/06/2017, aveva riferito che: quanto al periodo dal 2004 al 2008, dall’incarico di consulenza che era stato conferito al Penna, «non si evince alcuna mansione legata alla riscossione per la incaricante di denaro contante»; quanto al periodo successivo, «le anomalie che, per il sol fatto di essersi perpetrate nel corso degli anni a far data dal 2008 al 2012, non potevano essere nascoste ad un soggetto incaricato di verificarne la regolarità»; «le attività individuate potrebbero avere avuto quale scopo non già la sottrazione di fondi, bensì, l’occultamento di gestione antieconomica – laddove i ricavi non sarebbero in grado di coprire i costi»; appariva poco verosimile che un solo soggetto (il Penna) potesse gestire migliaia di operazioni al mese e potesse essere riuscito a distrarre somme per un importo superiore a due milioni di euro;
b) le deposizioni dei testimoni: COGNOME dalla quale il Tribunale traeva tra l’altro la convinzione «di come certamente i vertici aziendali fossero a conoscenza, se non i diretti interessati, ad una gestione confusionaria delle attività che servisse a celare illeciti e/o privati interessi»; COGNOME e COGNOME dalle quali il Tribu traeva la convinzione «che non solo il Penna, ma anche altri soggetti, erano deputati alle questioni amministrativo-contabili e pertanto appare improbabile attribuire all’odierno imputato una responsabilità esclusiva per ipotetici ammanchi»; COGNOME, dalla quale il Tribunale traeva la convinzione che fosse «plausibile l’ipotesi che il massiccio utilizzo del contante potesse tornare utile, i generale, ad una gestione “allegra” dell’azienda, laddove i controlli venivano effettuati solo nominalmente».
Sulla base della valutazione di queste prove dichiarative, il Tribunale di Avellino perveniva al convincimento di «escludere la colpevolezza del prevenuto, sia pure con formula dubitativa», «poiché non è stata raggiunta la prova che il fatto sussista».
Tale pronuncia assolutoria di primo grado è stata riformata dalla Corte d’appello di Napoli, che ha ritenuto provata la responsabilità del Penna, limitatamente agli effetti civili.
Tale decisione poggia su:
a) la deposizione del testimone della polizia giudiziaria NOME COGNOME di cui era stata disposta la rinnovazione, in esito alla quale la Corte d’appello è pervenuta alle conclusioni che: «rispetto al dato incontestabile che si sia registrato un ammanco nelle casse degli enti in questione, appare irragionevole ascriverne la causa ad una gestione superficiale della contabilità, quando l’esito dell’istruttoria dibattimentale ha consentito di accertare che il Penna, anche in qualità di dipendente, si occupava, in prima persona, di gestire gli incassi di denaro e i pagamenti verso l’esterno, ivi inclusi il versamento dei tributi dovuti dalla società e gli oneri previdenziali verso gli enti preposti», avendo il Branca precisato che solo il Penna era delegato a operare sui conti correnti («a noi risulta solo lui»); il sistema di controllo interno «si basava esclusivamente su quanto esibito, in termini di documentazione, dal Penna», il quale avrebbe «fornito agli ottimizzatori documentazione che poi all’esito delle indagini è risultata falsa»; «i compiti del COGNOME non andavano oltre la mera emissione delle fatture e non potevano essere tali da neutralizzare l’attività gestoria che competeva, per contratto, al Penna».
b) la deposizione del perito dott. COGNOME rispetto alla quale la Corte d’appello di Napoli riteneva che l’ipotesi, dallo stesso alternativamente prospettata rispetto a quella della «sottrazione di ingenti somme di denaro», dell’esistenza di «una situazione di prevalenza dei costi sui ricavi, talché non vi erano denari sufficienti per pagare tributi e contributi», «non trova riscontro nelle emergenze istruttorie».
quanto era «emers in sede dibattimentale», «le emergenze processuali», «le emergenze istruttorie», le quali «convergono nell’assunto che il Penna sia stato il solo ad occuparsi della contabilità, come riferito da tutti i testi come risultante dagli accessi sul sistema informatico di contabilità, ove tutte le registrazioni risultavano essere state effettuate dall’imputato», il quale «mostrava agli Ottimizzatori degli estratti di conto corrente, dei DURC e dei mod. F24 falsi».
Ritiene il Collegio che, da quanto si è esposto, emerga con chiarezza che la Corte d’appello di Napoli, nel valorizzare in misura prevalente il contenuto della deposizione del maresciallo COGNOME – il quale, nella sentenza di primo grado, non era stato neppure menzionato – ha anche, esplicitamente o implicitamente, valutato le dichiarazioni sia del perito dott. COGNOME sia dei testimoni COGNOME e COGNOME in termini contrastanti rispetto alle conclusioni alle quali era giunto il Tribunale di Avellino, tenuto conto che su tali dichiarazioni riposava interamente il giudizio assolutorio di primo grado, a conferma della decisività delle stesse dichiarazioni.
Il giudice di appello ha insomma esplicitamente o implicitamente espresso una valutazione delle dichiarazioni sia del perito dott. COGNOME sia dei testimoni COGNOME e COGNOME di segno opposto rispetto a quella del Tribunale di
sfavorevole si deve ritenere
Avellino, con la conseguenza che l’overturning
poggiare anche sulla diversa valutazione di tali prove dichiarative.
3-bis,
Ciò imponeva, a norma dell’art. 603, comma cod. proc. pen., la
rinnovazione dell’esame dei soggetti menzionati, al fine di verificare, mediante il contatto diretto con la fonte di prova dichiarativa, le ragioni che avevano condotto
il primo giudice a una conclusione favorevole all’imputato.
Poiché la Corte d’appello di Napoli non lo ha fatto, il vizio denunciato si deve ritenere sussistente.
4. L’esame del quarto e del quinto motivo è assorbito dall’accoglimento del terzo motivo.
5. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente agli effetti civili, con rinvio, per un nuovo giudizio, al giudice civile competente in grado
di appello, al quale deve essere rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità. Così deciso il 24/04/2025.