Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33809 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33809 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME (CODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA 44 416.ax avverso la sentenza del 31/10/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
dato atto che il ricorso è stato trattato, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n 137 del 2020, convertito dalla legge n. 176 del 2020, senza l’intervento delle parti che hanno concluso per iscritto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
lette le memorie del difensore del ricorrente, che ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 31 ottobre 2023, la Corte di assise di appello di Napoli ha confermato la sentenza della Corte di assise di Napoli che aveva riconosciuto NOME COGNOME colpevole del reato di omicidio commesso in danno di
NOME COGNOME il 20/04/2021 a Massa di Somma e lo ha condannato alla pena di anni ventiquattro di reclusione.
1.1 Secondo la ricostruzione condivisa nei due giudizi di merito, NOME COGNOME si era recato nella mattinata del 20 aprile 2021 sul Monte Somma a raccogliere asparagi e non faceva rientro. Nel pomeriggio verso le 17,00 sul c.d. “sentiero dele capre”, alle pendici del Monte Somma, veniva rinvenuto il suo corpo senza vita, che presentava importanti lesioni al volto e al capo con una borsa a tracolla contenente asparagi. Dall’autopsia era emerso che la morte era stata causata da colpi infertigli in posizione eretta e poi a terra con un corpo contundente a larga base di impatto; il cadavere presentava anche lesioni da difesa.
Nello stesso giorno del delitto i carabinieri avevano individuato un’ulteriore traccia ematica tra le sterpaglie a circa 50 metri dal luogo di ritrovamento del corpo ed una mascherina chirurgica a circa 4-5 metri dallo stesso luogo. Sulla base delle dichiarazioni di un teste che aveva sentito nei paraggi dei lamenti il giorno del delitto l’omicidio veniva collocato intorno alle 9,30/9,45.
L’imputato era stato individuato sulla base di testimonianze di persone residenti in zona, che lo avevano visto scendere dalla strada che conduce al monte lo stesso pomeriggio del fatto, con segni di colluttazione e di sangue e alla ricerca di indumenti per cambiarsi. Era stato poi fermato dai carabinieri, che avevano appreso da una residente che uno straniero aveva tentato di impossessarsi di un paio di jeans stesi ad asciugare; dai sistemi di videosorveglianza si ricavavano immagini dell’imputato mentre si dirigeva verso il monte alle ore 5,55 del 20 aprile 2021; veniva poi ripreso alle ore 17,02 vestito con un jeans scuro strappato alle ginocchia e poi ancora ricompariva alle ore 18,00 senza i jeans ma con indosso un paio di pantaloni da tuta di colore nero con bande rosse laterali, lo stesso indumento indossato quando un’ora dopo, alle 19,00, sarebbe stato fermato dai carabinieri. I jeans strappati e macchiati erano stati ritrovati il 24 aprile nella limitrofa INDIRIZZO al civico frattanto si era accertato che il teste NOME COGNOME, residente al INDIRIZZO, non aveva più rinvenuto un paio di pantaloni, stesi ad asciugare il 20 aprile e del tutto identici a quelli indossati da NOME COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le indagini sui reperti biologici portavano al rinvenimento sul jeans di profili misti compatibili sia con l’imputato sia con la vittima, con presenza maggioritaria del profilo di COGNOME sulla porzione interna del cavallo; sulla mascherina chirurgica vi erano due tracce di sangue, riferibili all’imputato, e cinque miste di imputato e vittima e sulla pietra trovata a lato del cadavere tre tracce della vittima, una mista con profilo maggioritario della vittima e una mista non riconducibile all’imputato.
L’imputato era stato fermato il 16/08/2021; era emerso altresì che egli aveva tentato di attraversare la frontiera dando false generalità per tre volte.
Si era riconosciuto nelle immagini della videosorveglianza ma aveva negato di avere incontrato la vittima e di avere indossato mascherina e jeans.
Alla luce di questi elementi il giudice di primo grado aveva ritenuto la responsabilità dell’imputato.
1.2 Il difensore di NOME COGNOME aveva proposto appello deducendo che le intemperie avevano potuto alterare le tracce ematiche del jeans, che la traccia sulla pietra non riferibile all’imputato commista a quella della vittima o comunque riconducibile ad un terzo non era compatibile con la ricostruzione accolta dal primo giudice, che la posizione delle tracce di sangue erano incompatibili con la tesi della colluttazione. Aveva dedotto altresì che l’imputato aveva dato una spiegazione plausibile dei suoi spostamenti e che la vittima aveva in passato manifestato timori di ritorsioni da parte dei proprietari dei terreni dove si recava a raccogliere gli asparagi.
Il difensore aveva anche chiesto con motivi aggiunti la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per sentire il perito del RIS che aveva eseguito gli esami sulle tracce biologiche al fine di chiarire la compatibilità delle macchie ematiche trovate sugli indumenti dell’imputato con la presunta dinamica del delitto, gli effetti delle piogge sui reperti e i motivi della mancata identificazio del terzo genotipo rilevato; per sentire il medico legale che aveva eseguito l’autopsia al fine di chiarire le caratteristiche dell’arma del delitto e compatibilità delle ferite con le pietre sequestrate, nonché la presenza di lesioni sulla nuca riconducibili ad arma da fuoco; e infine per sentire il teste NOME COGNOME affinchè riferisse su un precedente incontro, mentre era con COGNOME a raccogliere asparagi, con un uomo che li aveva intimiditi per dissuaderli dal proseguire in quell’attività.
La Corte di assise di appello aveva respinto tali richieste rilevando che nel giudizio di primo grado con il consenso delle parti erano state acquisite sia le relazioni del medico legale e del RIS sia il verbale di dichiarazioni rese da COGNOME e che la loro piena utilizzabilità ai fini della decisione, in assenza di specifiche esigenze di specificazioni e chiarimenti, rendeva del tutto insussistenti i presupposti per la rinnovazione istruttoria ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen.
Esaminate le altre censure la Corte distrettuale aveva confermato la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME e ha articolato un unico motivo ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc pen., denunciando vizio motivazionale relativo al rigetto della richiesta di rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale nel grado di appello nell’ordinanza emessa il 17/10/2023 dalla Corte di assise di appello di Napoli, che veniva pertanto impugnata congiuntamente alla sentenza.
La Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere sufficiente il consenso delle parti espresso nel corso del giudizio di primo per respingere l’istanza di approfondimento avanzata dall’imputato; sarebbe altresì contrario al principio del contraddittorio e all’art. 111 comma 3 Cost. poggiare una decisione di accertamento della responsabilità penale sulle sole relazioni tecniche del medico legale e dei RIS che presentavano numerose contraddizioni senza procedere all’esame degli esperti che le avevano redatte.
La motivazione stringata e inadeguata dell’ordinanza costituiva un vizio che, ad avviso della difesa, aveva inficiato anche la sentenza che l’aveva riportata senza null’altro aggiungere: pertanto se ne chiedeva l’annullamento con rinvio.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso per manifesta infondatezza. La difesa con proprie memorie ha contestato le conclusioni del Procuratore Generale e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.
Occorre sottolineare in premessa che l’unico motivo al quale si affida il ricorso in esame richiama l’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. perché con esso si lamenta il vizio della motivazione della decisione impugnata nella parte in cui recepisce e ripropone i vizi di motivazione dell’ordinanza con la quale è stata respinta la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in grado d appello.
La precisazione è necessaria per evidenziare che la censura non involge la lett. d) dello stesso art. 606 cod. proc. pen. in ordine alla mancata assunzione di una prova decisiva, di cui il ricorrente avrebbe potuto dolersi limitatamente ai casi previsti dall’art. 495, comma 2, cod. proc. pen. (cioè alla mancata ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti oggetto delle prove a carico).
Se pertanto così formulata la censura è astrattamente ammissibile, d’altro canto il controllo sulla motivazione limitarsi verificare il buon governo che il giudice di merito abbia o meno fatto dei principi discendenti dal dettato dell’art. 603 cod. proc. pen.
2.1 Deve ricordarsi che «la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti» (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820-01).
Orbene è sull’esercizio di tale discrezionalità che può svolgersi il sindacato di legittimità, da operare tuttavia entro limiti assai ristretti.
E difatti, secondo il costante insegnamento della Corte di Cassazione, «il sindacato che il giudice di legittimità può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato dal giudice di appello sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato» (Sez. 3, n. 34626 del 15/07/2022, Rv. 283522-01; sez. 3, n. 7680 del 13/01/2017, Rv. 269373-01; sez. 4, n. 37624 del 19/09/2007, Rv. 237689-01).
In COGNOME particolare COGNOME «il COGNOME rigetto COGNOME dell’istanza COGNOME di COGNOME rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità» (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 280589-01).
2.2 Orbene, secondo la difesa, la motivazione del rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria è errata perché non ha tenuto conto dei principi che governano il contraddittorio, desunti dall’art. 111, comma 3, Cost., e non ha ritenuto di procedere all’esame incrociato dei consulenti tecnici e del teste COGNOME, sulla base della mera circostanza dell’acquisizione agli atti delle relazioni e delle dichiarazioni rese dal teste durante le indagini preliminari e senza dare adeguata considerazione alle contraddizioni e alle carenze del quadro probatorio.
Tali censure non sono condivisibili.
Nessuna violazione del principio del contraddittorio può addebitarsi al giudice di secondo grado che valuti la completezza dell’istruttoria alla luce degli atti legittimamente acquisiti nel giudizio di primo grado, sia che essi siano stati formati oralmente con l’esame incrociato sia che essi siano stati acquisiti ai sensi dell’art. 493, comma 3, cod. proc. pen. in forza del quale «le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico RAGIONE_SOCIALE».
La necessità dell’assunzione orale di dichiarazioni così acquisite deve pertanto derivare dall’introduzione di una specifica ed ulteriore esigenza
probatoria e non da una generica prospettazione di rilevanza o di approfondimento; tanto più per l’eccezionalità che connota la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello.
Quanto agli accertamenti tecnici, va ricordato che la loro acquisizione è governata dall’art. 501 cod. proc. pen., che richiama l’osservanza delle disposizioni sull’esame dei testimoni, in quanto applicabili. Sicchè anche per le relazioni tecniche del medico legale e dei RIS, legittimamente acquisite ai sensi dell’art. 493, comma 3, cod. proc. pen., il principio del contraddittorio risult rispettato e la valutazione della necessità di approfondimenti deve muovere dalla verifica della loro completezza.
2.3 Così inquadrata la questione, appare del tutto inconferente il richiamo della difesa alla necessità di rinnovare l’istruttoria quando vi sia da valutare una prova dichiarativa; la rinnovazione è obbligatoria quando il giudice di appello perviene ad una decisione di condanna diversamente apprezzando le risultanze tecniche valutate dal giudice di primo grado (Sez. 4, n. 13379 del 14/02/2024, Rv. 286306-01).
Nel caso in esame, in cui già vi era condanna in primo grado, il giudice di appello avrebbe dovuto apprezzare la sussistenza di lacune o incertezze nel quadro probatorio tali da rendere indispensabile un ulteriore approfondimento.
Nel ricorso per cassazione si fa riferimento in maniera del tutto generica per l’elaborato dei RIS a «incongruenze sulle tracce biologiche estratte», per la relazione del medico legale a «evidenti lacune» non meglio precisate.
Invece il ricorso non si è confrontato con l’ampia motivazione con la quale la Corte napoletana ha apprezzato la completezza dell’elaborato dei RIS e l’univocità dei risultati, aggiungendo che «la presenza di un terzo profilo, fortemente minoritario e parziale (tale da non essere utile a comparazioni con eventuali altri genotipi di sicura provenienza) non può essere ritenuta tale da inficiare il convincimento di colpevolezza dell’imputato, ben potendo essere spiegata – nella sua esiguità e marginalità – con un occasionale e superficiale contatto di una terza persona con quel sasso in circostanze diverse e precedenti l’omicidio» (pag. 8).
Il ricorso non si confronta nemmeno con l’articolata e convincente risposta del giudice di merito che t con un percorso argomentativo immune da vizi / ha contrastato il dubbio che sul cadavere possano esservi lesioni compatibili con l’esplosione di colpi di arma da fuoco (circostanza questa che, se asseverata, effettivamente avrebbe messo in dubbio la dinamica che conduceva alla responsabilità dell’imputato). Dopo avere esaminato tutti i contenuti della relazione, la Corte napoletana ha ritenuto accertate le lesioni da corpo contundente e chiaramente stagliata la causa della morte nel ripetuto impatto di
esso con il capo della vittima, mentre le altre piccole lesioni sono segnalate dal medico legale per mero scrupolo fornendo tra le possibili spiegazioni della loro origine un colpo di pallettoni ricevuto di striscio, come tale comunque inidoneo a provocare la morte.
Quanto alla ricostruzione alternativa della causale dell’omicidio nella reazione all’abusiva ricerca degli asparagi, che secondo la difesa doveva trovare conferma nelle dichiarazioni del teste che aveva riferito delle preoccupazioni mostrategli dal Fontanarossa, il giudice di merito ha evidenziato che essa appariva del tutto slegata da qualsivoglia altro elemento anche solo logico e di plausibilità tanto da confinarlo nell’alveo delle mere congetture.
A fronte di una motivazione completa e coerente, lo scrutinio di legittimità non ha rinvenuto le carenze logiche e il deficit istruttorio prospettati da ricorrente.
Il ricorso deve essere quindi rigettato e il ricorrente deve essere condannato alle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 29 maggio 2024
Il Consigliere estensore
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONF.