Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23396 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23396 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SUCCIVO il 23/01/1968
avverso la sentenza del 26/09/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di L’Aquila , con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale di Sulmona, in data 24 novembre 2022, aveva dichiarato NOME NOME responsabile del delitto p. e p. dall’art. 73, comma 1, T.U. Stup. per avere illecitamente detenuto a fini di cessione a terzi gr.185 netti di cocaina suddivisi in diversi involucri dai quali erano ricavabili circa 370 dosi. Con la recidiva specifica e infraquinquennale. In Pratola Peligna il 18 maggio 2022.
NOME COGNOME propone ricorso censurando la sentenza impugnata, con il primo motivo, per violazione dell’a rt. 601, comma 1, cod. proc. pen. in relazione all’art. 157, comma 1, cod. proc. pen. nonché per violazione dell’art. 598 ter , comma 4, cod. proc. pen. e nullità assoluta per omessa verifica del fatto che l’imputato fosse informato della esistenza del processo in quanto la notifica del decreto di citazione a giudizio in
appello non è avvenuta in Pratola Peligna alla INDIRIZZOresidenza) ove l’imputato aveva dichiarato domicilio il 19 maggio 2022, da ritenere, secondo la difesa, in ogni caso prevalente rispetto anche ad ogni successiva elezione, trattandosi della prima ‘chiamata’ in giudizio. Così verificandosi la nullità assoluta ex art. 179 cod. proc. pen. perchè l’imputato non ha potuto esercitare il diritto di difesa.
Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen. per inosservanza dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., nullità della citazione a giudizio per omesso avviso ex art. 429 lett. f) cod. proc. pen. introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. r) d. lgs. 19 marzo 2024, n. 31, entrato in vigore il 4 aprile 2024. Secondo la difesa, si tratta di nullità assoluta relativa alla partecipazione e al diritto di difesa nel processo dell’imputato, e come tale rilevabile in ogni stato e grado del giudizio.
Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 61 e 62 cod. proc. pen. per avere la Corte territoriale confermato la sentenza di condanna sulla base delle dichiarazioni inutilizzabili rese dall’indagato alla polizia giudiziaria in violazione degli obblighi di verbalizzazione previsti dall’art. 357 cod. proc. pen.
Con il quarto motivo deduce violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 111 Cost., 6 § 3 lett. d) CEDU per avere la Corte di appello introdotto nel processo una prova vietata, costituita dalle dichiarazioni degli agenti di polizia giudiziaria su fatti non verbalizzati, con ingresso nel processo di prove che, ove conosciute, avrebbero diversamente orientato la scelta del rito da parte dell’imputato.
Con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 606, lett. c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 198, comma 2, cod. proc. pen., violazione del divieto di testimoniare.
Il teste COGNOME (agente di P.G. e P.U.), si assume, è stato costretto a testimoniare su fatti dai quali è emersa una sua responsabilità, tenuto conto che ha confessato in udienza l’omissione dell’obbligo di verbalizzazione. La sua testimonianza non avrebbe potuto essere ammessa né utilizzata.
Con il sesto motivo deduce violazione dell’art. 606, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., violazione dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. per omessa motivazione dell’ordinanza di rinnovazione istruttoria.
La rinnovazione istruttoria, la cui assoluta necessità non è stata motivata, ha confermato la fondatezza del motivo d’appello con il quale si era allegata la mancanza di indizi sulla riconducibilità della sostanza stupefacente e del ‘garage’ all’imputato. La Corte territoriale avrebbe dovuto riformare in senso favorevole all’imputato la sentenza del Tribunale, per insufficienza della prova, considerato che trattavasi di un giudizio abbreviato ‘secco’ senza richiesta di integrazione probatoria. Si è invece determinata, con testimonianze acquisite d’ufficio, a svolgere una istruttoria dibattimentale, demolendo la struttura del rito abbreviato e celebrando in secondo grado un giudizio dibattimentale. La difesa ritiene che il principio affermato dalle Sezioni Unite con sentenza 3 aprile 2018,
n.14800 concerna il caso di ribaltamento in senso peggiorativo della sentenza assolutoria. Anche le modifiche normative introdotte con la c.d. riforma Orlando e con la c.d. riforma Cartabia prevedono la rinnovazione solo su richiesta delle parti, relegando quella d’ufficio ai casi eccezionali del ribaltamento in senso peggiorativo della decisione di primo grado.
La Corte d’Appello, si assume, avrebbe dovuto riformare in senso più favorevole all’imputato la sentenza del Tribunale di Sulmona, considerato che dagli atti emergeva la mancanza della prova del possesso del garage da parte dell’ imputato.
In subordine, la difesa chiede che sia sollevata questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 24 e 111 Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU), dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede che il potere di rinnovazione d’ufficio possa essere esercitato soltanto nell’ipotesi di riforma in condanna della sentenza di assoluzione resa in primo grado
Con il settimo motivo deduce violazione dell’a rt. 606, lett. e), cod. proc. pen. e vizio di motivazione per omessa valutazione di documenti prodotti in primo e secondo grado. A seguito della rinnovazione istruttoria è stata posta nel nulla la prova documentale costituita dal contratto di locazione, dalle foto del garage e dalla mancanza nei verbali di perquisizione di ogni riferimento a chiavi, chiusura porta o presenza dell’imputato e dei suoi familiari nel garage.
Inoltre, nella parte motiva della decisione impugnata, la Corte di appello si è discostata dai fatti e dal ragionamento del giudice di primo grado, ad esempio descrivendo l’imputato come collaborativo mentre in primo grado era stato definito nervoso e riluttante. Nel verbale di sequestro del 19 maggio 2022, facente parte del patrimonio processuale, si legge “…si procedeva a perquisizione domiciliare presso l’ abitazione di residenza e veniva rinvenuta sostanza stupefacente…” senza alcun riferimento al controllo del garage.
Con l’ottavo motivo deduce violazione dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. e vizio di motivazione per omesso riconoscimento del fatto di lieve entità.
In ordine alla corretta qualificazione del fatto di reato, secondo la difesa, la valutazione andava condotta sulla scorta di tutto il compendio probatorio. L’COGNOME ha agito da solo, non era dotato di alcuna articolazione di uomini e di mezzi, né si inseriva all’interno di una estesa e strutturata organizzazione di approvvigionamento e smercio. Nel corso delle operazioni del 18 maggio 2022 solo una cessione era stata accertata da parte dell’imputato, il quale inoltre non recava con sé altra sostanza. I beni asseritamente di valore rinvenuti nell’abitazione non erano stati esaminati per verificarne l’autenticità. Le somme liquide rinvenute erano esigue.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Dall’esame degli atti è emerso che il decreto di citazione in appello è stato ritualmente notificato all’imputato in data 3 aprile 2024 per l’udienza del 16 maggio 2024 mediante invio all’Avv. NOME COGNOME presso il cui studio NOME COGNOME a veva eletto domicilio in calce alla nomina dei difensori di fiducia con procura speciale e mandato a proporre appello datata 27 febbraio 2023.
Dai verbali di udienza nel grado di appello non risulta formulata dai difensori di fiducia, uno dei quali è proprio l’Avv. COGNOME alcuna eccezione in proposito.
Tanto è sufficiente per evidenziare l’infondatezza del motivo, in base al quale la predetta elezione di domicilio sarebbe recessiva rispetto alla precedente dichiarazione di domicilio; non può, infatti, trovare applicazione il principio enunciato da Sez. U n. 41280 del 17/10/2006, C., Rv. 234905 -01, secondo il quale «la dichiarazione di domicilio prevale su una precedente elezione di domicilio, pur non espressamente revocata», in quanto nel caso concreto la dichiarazione di domicilio è antecedente l’elezi one di domicilio.
Il Collegio ritiene, in ogni caso, che valga il principio per cui, ove il decreto di citazione per il giudizio di appello sia notificato all’imputato in luogo diverso rispetto al domicilio validamente eletto o dichiarato, si determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, che va dedotta entro i termini decadenziali previsti dall’art. 182 cod. proc. pen., salvo che l’irrituale notifica risulti, in concreto, inidonea a consentire l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario, configurandosi, in tal caso, una nullità assoluta per omessa notificazione di cui all’art. 179 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 27546 del 03/04/2023, COGNOME, Rv. 284810 -01; Sez. 6, n. 42755 del 24/09/2014, COGNOME, Rv. 260434 -01; Sez. 6, n. 1742 del 22/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258131 01).
A tal proposito, ne l ricorso non viene allegata l’assoluta inidoneità della notifica, della quale neppure si indica il luogo di esecuzione, rimanendo la dedotta nullità sanata ai sensi dell’art. 182 cod. proc. pen.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Secondo quanto indicato dallo stesso ricorrente, la disciplina di cui si invoca qui l’applicazione, ossia l’art. 601, comma 6, cod. proc. pen. come modificato dall’art. 2, comma 1 lett. bb) n.3, d. lgs. 19 marzo 2024, n.31, è entrata in vigore in data 4 aprile 2024, ossia successivamente alla pronuncia del decreto di citazione in appello. In assenza di una norma transitoria, occorre seguire il principio tempus regit actum , dunque il regime vigente alla data di emissione
del provvedimento impugnato, che non contemplava l’obbligo di inserire, a pena di nullità, nel decreto di citazione in appello «l’avvertimento all’imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza».
Il terzo, quarto, quinto, sesto e settimo motivo, che si esaminano congiuntamente in quanto strettamente correlati, sono infondati.
Il giudice di appello, confermando la decisione di primo grado, ha sottolineato che dal verbale di arresto è stata desunta la prova che lo stupefacente indicato nell’imputazione fosse stato rinvenuto all’interno del garage del piano terra, con accesso interno all’atrio.
Per valutare la dedotta indisponibilità del locale da parte dell’imputato, la Corte ha però ritenuto assolutamente necessario disporre l’audizione di coloro che avevano operato la perquisizione locale e personale dell’imputato e, sentito il teste COGNOME che aveva partecipato a tutte le operazioni ed espletato la perquisizione presso l’immobile dell’COGNOME, è stata acquisita la prova dichiarativa del fatto che quest ‘ ultimo avesse la disponibilità delle chiavi della porta e avesse lui stesso aperto tale porta per farvi accedere gli inquirenti.
I giudici di appello hanno, pertanto, ritenuto provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la titolarità in capo all’imputato anche del garage pertinenziale all’abitazione e, quindi, la detenzione della sostanza stupefacente ivi rinvenuta unitamente al bilancino di precisione e al coltello per il taglio.
L’attività istruttoria espletata d’ufficio rientra a pieno titolo nei poteri del giudice di appello sulla base di quanto dispone l’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., sulla cui applicabilità al giudizio abbreviato non vi sono dubbi in quanto anche in tale genere di rito è riconosciuta la discrezionalità del giudice che ritenga di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266820 -01; Sez. 5, n. 2910 del 04/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287482 -02; Sez. 1, n. 12928 del 07/11/2018, dep. 2019, P., Rv. 276318 – 02). Deve, in via generale, rilevarsi come nel giudizio abbreviato l’integrazione probatoria in sede di appello sia ammissibile ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., mentre le parti non possono invocare a tal fine un vero e proprio diritto alla prova, dovendosi al più ritenere che possa sollecitarsi l’esercizio da parte del giudice del potere di integrazione (Sez. U. n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203427 – 01; Sez. 6, n. 51901 del 19/09/2019, COGNOME Rv. 278061 -01; Sez. 6, n. 4694 del 24/10/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272197 – 01).
L’eccezione d’illegittimità costituzionale della norma, in quanto genericamente formulata, risulta inammissibile.
La testimonianza ha, poi, avuto a oggetto, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa del ricorrente, la disponibilità da parte dell’COGNOME delle chiavi del locale in cui è
stata rinvenuta la cocaina , ossia un particolare comportamento tenuto dall’indagato nel corso della perquisizione, in relazione al quale non sussiste alcun divieto di testimoniare.
Giova, in generale, chiarire che l’obbligo di redazione degli atti indicati dall’art. 357 cod. proc. pen. non implica alcun divieto di testimonianza della polizia giudiziaria sulle attività d’indagine soggette a verbalizzazione, salvi gli espressi divieti stabiliti in materia di testimonianza indiretta dall’art. 195 cod. proc. pen.
In tema di giudizio abbreviato, peraltro, rileva la sola inutilizzabilità c.d. patologica, che certamente non ricorre con riguardo al la testimonianza resa dall’ufficiale di polizia giudiziaria sui comportamenti tenuti dall’indagato in sede di attività ispettiva (Sez. 3, n. 11167 del 14/12/2023, dep. 2024, Parenti, Rv. 286043 – 01).
4. L’ottavo motivo di ricorso è inammissibile.
I giudici di merito hanno conformemente attribuito rilievo al considerevole quantitativo di sostanza stupefacente del quale l’imputato era in possesso, sussumendo la condotta nella previsione dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990 e non nell’ambito della meno grave ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. cit.
A tale esito sono pervenuti illustrando analiticamente le caratteristiche del fatto e la giurisprudenza di legittimità, in conformità alla quale hanno considerato se il fatto fosse indicativo di un’attività a carattere continuativo e professionale ovvero occasionale o riconducibile al piccolo spaccio, pervenendo con argomentazione logica e non contraddittoria a ritenere che sia la qualità sia la quantità della sostanza sequestrata deponessero, unitamente alle modalità della detenzione, per una condotta non definibile come lievemente offensiva.
A tal fine si sono valorizzate la apprezzabile rilevanza del peso complessivo della cocaina (pari a 185 grammi), il numero di dosi ricavabili, pari a 370, nonché il confezionamento e la suddivisione in diversi involucri, la disponibilità di un bilancino di precisione e di un coltello per il taglio, oltre che l’apprezzabile quantità di denaro contante rinvenuta nella disponibilità dell’imputato, disoccupato, dai quali si è desunto il compimento di un’abituale attività di spaccio atta a soddisfare un apprezzabile numero di consumatori.
La censura in esame tende, in sostanza, a sollecitare da parte della Corte di legittimità una inammissibile rivalutazione della prova.
5. In base alle su esposte considerazioni il ricorso deve essere rigettato; ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 13/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME