Rinnovazione Istruttoria: La Cassazione chiarisce i limiti
La rinnovazione istruttoria nel processo d’appello rappresenta un tema delicato, che bilancia il diritto alla difesa con l’esigenza di efficienza processuale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’importante occasione per approfondire quando una richiesta di nuove prove può essere considerata superflua e, di conseguenza, respinta. La decisione sottolinea che tale strumento non è un terzo grado di giudizio mascherato, ma un rimedio eccezionale e subordinato a condizioni precise.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un uomo per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Le forze dell’ordine, durante un’attività di osservazione, avevano notato l’imputato ricevere una banconota da un’altra persona. Successivamente, l’uomo si era avvicinato a un edificio abbandonato, aveva prelevato un contenitore arancione da una fessura nel muro, ne aveva estratto qualcosa e lo aveva consegnato all’acquirente.
All’intervento degli agenti, l’imputato tentava la fuga ma veniva prontamente fermato. La perquisizione personale portava al rinvenimento di 295 euro in banconote di piccolo taglio, accartocciate in un marsupio, e di una piccola quantità di marijuana. Nel contenitore arancione, recuperato dalla fessura, venivano invece trovate dieci dosi di cocaina termosigillate. Sulla base di questi elementi, l’uomo veniva condannato sia in primo grado che in appello.
Il Ricorso in Cassazione e la Richiesta di Rinnovazione Istruttoria
La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la propria argomentazione principale su una presunta violazione del diritto di difesa. In particolare, si contestava il diniego, da parte della Corte d’Appello, della richiesta di rinnovazione istruttoria. La difesa aveva chiesto l’espletamento di due nuove prove:
1. Una perizia dattiloscopica sul contenitore di plastica per verificare la presenza di impronte digitali.
2. L’acquisizione dei filmati di una telecamera di sorveglianza che si presumeva potesse aver ripreso l’area.
Secondo il ricorrente, il rifiuto di ammettere queste prove, ritenute decisive, avrebbe leso il principio del contraddittorio e del giusto processo, impedendo di accertare una verità alternativa, ovvero che l’imputato fosse l’acquirente e non lo spacciatore.
Le motivazioni della Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno chiarito che il ricorso, pur denunciando vizi procedurali, mirava in realtà a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità.
Il cuore della decisione risiede nella corretta applicazione dell’art. 603 del codice di procedura penale, che disciplina la rinnovazione istruttoria in appello. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la rinnovazione non è un diritto dell’imputato, ma un potere discrezionale del giudice, il cui esercizio è subordinato a una condizione precisa: il giudice non deve essere in grado di decidere allo stato degli atti. Rappresenta, quindi, un passaggio “meramente eventuale e straordinario”.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva ampiamente e logicamente motivato il proprio diniego. Le richieste della difesa sono state qualificate come “meramente esplorative”, in quanto:
* La perizia dattiloscopica è stata ritenuta irrilevante, data la piena prova della detenzione della cocaina da parte dell’imputato, osservato direttamente mentre occultava e prelevava il contenitore.
* Per i filmati, non vi era alcuna certezza che la telecamera inquadrasse effettivamente l’area dei fatti, rendendo la richiesta ipotetica e non necessaria.
La Corte ha sottolineato che i giudici di merito avevano già a disposizione un quadro probatorio completo, grave e coerente, basato sull’osservazione diretta degli agenti, i verbali di perquisizione e sequestro, e l’esame del verbalizzante. Pertanto, la piattaforma probatoria era già completa e non necessitava di integrazioni.
Le conclusioni
Questa ordinanza conferma che la richiesta di rinnovazione istruttoria deve superare un vaglio di non manifesta superfluità e di sicura necessità ai fini della decisione. Non può essere utilizzata come strumento per tentare di introdurre ricostruzioni alternative dei fatti quando le prove già acquisite sono state ritenute dai giudici di merito logiche, complete e sufficienti a fondare un giudizio di colpevolezza. La discrezionalità del giudice d’appello nel decidere se ammettere o meno nuove prove è ampia, e se la sua decisione è sorretta da una motivazione congrua e non illogica, essa non è sindacabile in sede di legittimità.
La rinnovazione dell’istruttoria in appello è un diritto dell’imputato?
No, secondo la costante giurisprudenza richiamata nell’ordinanza, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello non è un diritto, ma un potere discrezionale del giudice. È una procedura eccezionale e subordinata alla condizione che il giudice ritenga di non poter decidere sulla base degli atti già presenti nel fascicolo.
Perché la richiesta di nuove prove è stata considerata ‘meramente esplorativa’?
La richiesta è stata definita ‘meramente esplorativa’ perché non era fondata su elementi concreti che ne dimostrassero la necessità e la potenziale decisività. Ad esempio, per la telecamera di sorveglianza non vi era certezza che inquadrasse l’area di interesse, mentre la perizia sulle impronte è stata giudicata irrilevante a fronte della prova diretta dell’osservazione degli agenti.
Può la Corte di Cassazione riesaminare i fatti del processo?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione delle sentenze impugnate, ma non può effettuare una nuova valutazione delle prove o ricostruire diversamente i fatti come accertati nei gradi di merito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19276 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19276 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il 27/04/1996
avverso la sentenza del 10/10/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia del Tribunale di Roma con la quale NOME COGNOME è stato condannato per il reato di cui all’art. 73, co. 5, del D.P.R. n. 209/1990.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, affidandolo ad un unico motivo con il quale lamenta la violazione delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità e inammissibilità decadenza in relazione agli artt. 468, 495 comma secondo, 603 c.p.p., art. 6 comma terzo lett d) CEDU, art. 111; mancata assunzione di una prova decisiva; nullità delie ordinanze istruttorie della Corte, violazione del principio del contraddittorio e del giusto processo ex art. 111 Cost, art. 6 comma terzo lett d) CEDU, illegittimo diniego della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Il ricorso è manifestamente infondato perché, al netto delle violazioni di legge denunciate, propone una lettura del dato probatorio alternativa rispetto a quella operata dal giudici in maniera conforme nel doppio grado di giudizio, con motivazione, congrua, non manifestamente illogica, finendo con il sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio, secondo parametri diversi da quelli adottati dai giudici di merito, sia pure attraverso la rinnovazione della istruttoria dibattimentale.
Le sentenze conformi non hanno mancato di ricostruire i fatti per cui è processo che sono caduti sotto la diretta osservazione degli agenti operanti e che hanno dato luogo all’arresto del COGNOME, cui è seguito, in sede di convalida dell’arresto, l’esame in contraddittorio del verbalizzante sulla cui attendibilità, a ben vedere, neppure il ricorrente pone ragioni di critica. La Corte territoriale ha rilevato che COGNOME, dopo avere ricevuto da un altro individuo una banconota, ha riposto immediatamente il denaro all’interno del borsello tipo marsupio allacciato alla cintola, poi si è avvicinato alla finestra al piano terra di un edificio abbandonato da cui ha prelevato, da una fenditura un contenitore di colore arancio dal quale ha estratto qualcosa che ha ceduto al secondo individuo ponendogliela tra le mani per poi richiudere il contenitore e riporlo nuovamente nel punto da cui l’aveva prelevato. Intervenuti gli agenti di P.G. i due individui si davano alla fuga ma il Polito veniva fermato e nel marsupio legato alla cintola erano rinvenuti 295 euro in biglietti di vario taglio accartocciati e ripos alla rinfusa; in dosso il Polito deteneva un sacchetto plastificato con frammenti di marijuana del peso di gr. 3,67 mentre nella fenditura era rinvenuto un contenitore di plastica di colore arancione con all’interno dieci involucri ternnosaldati contenenti sostanza stupefacente del tipo cocaina.
La Corte territoriale escluso alcun motivo per dubitare dell’attendibilità delle evenienze di fatto riportate nel verbale di arresto e ripercorse dall’operante nella relazione svolta riscontrate dagli elementi obiettivi desumibili dai verbali di perquisizione e sequestro in atti ha respinto la richiesta di rinnovare l’istruttoria dibattimentale avente ad oggetto l’espletamento della perizia dattiloscopica sulla contenitore di plastica e l’acquisizione della telecamera di sorveglianza, spiegando che si trattava di richieste meramente esplorative e comunque non necessarie ai fini del decidere, anche alla luce degli argomenti spesi dal primo giudice che ha dato conto della esaustività e della gravità delle prove a carico del COGNOME.
Con tutti i dettagli ricostruttivi dell’intera vicenda la difesa non si confronta, sal a proporne la sostituzione con una versione alternativa, ossia che fosse COGNOME l’acquirente, mediante una ricostruzione meramente in fatto, argomento difensivo che le sentenze conformi superano logicamente e coerentemente con le emergenze acquisite sulle quali si sono diffusamente trattenute.
La Corte territoriale non ha, dunque, mancato di motivare in relazione alla mancata assunzione di quella che la difesa propone come prova decisiva·evidenziando che la perizia dattiloscopica è del tutto irrilevante stante la piena prova della detenzione da parte dell’imputato della cocaina sequestrata, occultat anella fenditura adibita a precario deposito della sostanza ed alla circostanza che quanto ai filmati della telecamera di sorveglianza, non vi è neppure certezza che la stessa inquadrasse l’area in cui si sono svolti i fatti. Ha poi concluso che la richiesta di rinnovazione non poteva essere accolta considerate le argomentate e coerenti motivazioni del giudice di primo grado che aveva dato conto dell’esaustività e della gravità delle prove a carico dell’imputato.
Sul punto, questa Corte da tempo ha sottolineato che la rinnovazione di cui all’art. 603 cod. proc. pen. (cui correttamente deve riferirsi la richiesta di integrazione in appello) è subordinata a specifiche condizioni, e rappresenta un passaggio meramente eventuale e straordinario nello svolgimento del giudizio di appello. Più in particolare, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603 comma 1, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale svolta in primo grado e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti, accertamento che è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 7, n. 36410 del 10/09/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 31188 del 4/07/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019, COGNOME, Rv. 274996 – 02, Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, COGNOME, Rv.
262620 -01- 01). Nel rispetto di tali coordinate interpretative, la Corte territoriale ha ritenuto di non esercitare tali poteri di integrazione probatoria, valutando la completezza della piattaforma probatoria.
Alla inammissibilità consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 13 maggio 2025
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