Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 42942 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 42942 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
SENTENZA
FRAGIONE_SOCIALEA.
Sul ricorso proposto da
, nato il
om issis
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 05/12/2023; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso sia accolto limitatamente al settimo motivo dedotto, con declaratoria di inammissibilità nel resto; sentito il difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
N.D. GLYPH I: condotte in danno di , irrogandogli le conseguenti pene 1. La Corte di appello di Bologna con sentenza del 5 dicembre 2023 (motivazione depositata il 14 marzo 2024), in parziale riforma di quella di assoluzione pronunciata in primo grado dal Tribunale di Reggio Emilia, ha condannato NOME.A. alla pena di anni due e mesi otto di reclusione in relazione all’imputazione di concussione di cui al capo B (limitatamente alle accessorie dell’interdizione perpetua dai PP.UU. e dell’incapacità di contrattare con la P.A. e le statuizioni civili a favore della P.C. Ministero dell’Interno (liquidazione in via equitativa del danno nella misura di 15.000 euro).
In particolare, all’imputato viene contestato di avere – con abuso della qualità e del potere correlato alla funzione di pubblico ufficiale, ispettore capo della Polizia di Stato – costretto GLYPH N.D. GLYPH I, che svolgeva attività di prostituzione e nei cui confronti era in corso attività di identificazione, a promettergli prestazioni sessuali non retribuite. Ciò in occasione dell’accompagnamento della donna in Questura ove l’imputato la afferrava per la mano e la portava davanti a una cella di sicurezza, ripetendole più volte in modo perentorio “perché non vuoi stare con me?”, strattonandola, spingendola contro il muro, dicendole che se non avesse consentito ad avere rapporti sessuali l’avrebbe rinchiusa per due mesi in cella. A seguito di tali condotte la persona offesa era costretta a lasciare all’imputato il proprio numero di telefono e a fissargli un appuntamento poche ore dopo per consumare il rapporto sessuale; rapporto che poi non aveva luogo perché costei, impaurita, rientrava a casa prima dell’orario fissato per l’appuntamento, spegneva il telefono cellulare, non usciva di casa e non si prostituiva in strada, decidendo poi di rientrare in Romania (fatti contestati come accaduti “nel 2010 o nel 2011”).
Avverso tale sentenza l’imputato ha, a mezzo del proprio difensore, proposto ricorso nel quale deduce sette motivi.
3.1. Il primo motivo eccepisce, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte e dalla CEDU, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’operata riforma della statuizione assolutoria intervenuta in primo grado e ciò in quanto la Corte di appello – pur avendo disposto la rinnovazione dell’istruttoria con l’esame delle pp.00. – non procedeva all’assunzione della deposizione della N.D. che non era presente in Italia, dando atto che “in primo grado si è proceduto in sede di incidente probatorio per cui non è necessaria la rinnovata audizione”, con ciò violandosi i principi affermati dalla giurisprudenza di
legittimità, a partire dalla sentenza a Sezioni Unite “Dasgupta” e ora contenuti nell’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen. In ogni caso, a fronte dell’ampia motivazione contenuta nella pronuncia di primo grado a fondamento dell’assoluzione per detta imputazione, la Corte di appello ha in modo illogico e apodittico ribaltato la decisione senza motivare in modo convincente le ragioni dell’overturning (anche sotto tale profilo essendosi violati i principi declinati in materia dalla giurisprudenza di legittimità).
3.2. Con il secondo motivo, si eccepisce l’inammissibilità dell’atto d’appello del PM avverso la sentenza di primo grado, mancando nello stesso una “specifica censura” ma prospettandosi doglianze del tutto generiche.
3.3. Il terzo motivo deduce la mancata acquisizione di prova decisiva (consistente nelle relazioni di servizio, nei verbali di accompagnamento e nella copia del registro della Questura di Reggio Emilia in relazione alla posizione delle pp.00., tra cui la N.D. ), richiesta alla Corte di appello e rigettata con motivazione apparente e illogica.
3.4. Con il quarto motivo si censura la sentenza di appello in relazione alla operata valutazione di attendibilità della p.o. N.D. , nonostante, da un lato, la intrinseca inattendibilità del suo narrato e, dall’altro lato, i numerosi profili crit delle relative dichiarazioni, risultate contrastanti con numerose emergenze probatorie (indicate nel ricorso).
3.5. Il quinto motivo deduce la “reformatio in peius” derivante dall’affermazione della Corte di appello secondo cui l’intervenuta prescrizione degli ulteriori reati, per i quali in primo grado era intervenuta pronuncia assolutoria, ha ritenuto “improcedibile” l’appello del PM, in questo modo venendo affermato – a fronte della pronuncia liberatoria nel merito del Tribunale – l’intervento di causa estintiva del reato, formula all’evidenza meno favorevole.
3.6. Il sesto motivo eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla condanna civile dell’imputato al risarcimento dei danni a favore del Ministero dell’Interno e alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di merito; ciò in assenza di appello formulato sul punto dalla predetta Parte civile (richiamandosi sul punto un orientamento di questa Corte), rilevandosi altresì che la relativa statuizione è priva di qualsivoglia motivazione in ordine alla quantificazione del danno.
3.7. Con il settimo motivo, infine, si eccepisce violazione di legge in ordine alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici disposta in perpetuo, nonostante, ratione temporis commissi delicti, doveva essere applicata la disciplina normativa ‘dell’art. 317 bis cod. pen. previgente alle modifiche della legge n. 190 del 2012 che nel caso in cui l’intervento di attenuanti generiche
determinava una pena inferiore a tre anni di reclusione stabiliva l’interdizione temporanea.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato.
Manifestamente infondato è il motivo – avente valenza pregiudiziale – con il quale si eccepisce l’inammissibilità dell’appello del Pubblico ministero. Invero, dall’esame dell’impugnazione proposta dal PM avverso l’assoluzione in primo grado (che, essendo stata dedotta una nullità di natura processuale, questa Corte è legittimata ad esaminare: Sez. 2, n. 24979 del 22/12/2017 – dep. 05/06/2018, F. Rv. 273525 – 01) risulta che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia ha formulato specifiche censure in merito alla sentenza di primo grado, censure che, in relazione alla condotta contestata a danno della I N.D. hanno riguardato sia la credibilità delle dichiarazioni della persona offesa – che era stata esclusa dal Giudice di prime cure sia la rilevanza penale della medesima condotta posta in essere dall’imputato sub specie dell’art. 317 cod. pen. Pertanto, la Corte territoriale ha fatto buon governo del principio (ex multis, v. Sez. 4, n. 36533 del 15/09/2021, Oddo, Rv. 281978 – 01) secondo cui «il giudice d’appello, a seguito della riforma dell’art. 581 cod. proc. pen. da parte della legge 23 giugno 2017, n. 103, può dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione solo quando i motivi difettino di specificità, ovvero quando non siano affatto argomentati o non affrontino la motivazione spesa nella sentenza impugnata, ma non quando siano ritenuti infondati, cioè inidonei, anche manifestamente, a confutarne l’apparato motivazionale, dovendo in tal caso confermare la sentenza di primo grado» (il che è avvenuto nel caso in esame atteso che la sentenza impugnata ha accolto l’impugnazione del PM solo per il reato sub capo B, limitatamente alle condotte in danno della I N.D. I, confermando nel reato l’assoluzione disposta in primo grado).
Ugualmente infondato – in modo manifesto – è il quinto motivo, con cui viene dedotta violazione del divieto di reformatio in peius da parte della sentenza impugnata. Invero, la Corte di appello – per evidenti ragioni di economia processuale – non ha esaminato nel merito l’appello del Pubblico ministero relativamente ai reati valutati come già prescritti e ha confermato sul punto la sentenza di primo grado, non procedendo ad alcuna riforma delle pronunce assolutorie, né intervenendo sulle statuizioni civili correlate a dette imputazioni, in ordine alle quali si è formato quindi un giudicato assolutorio nel merito. Peraltro,
«in tema di impugnazioni, il giudice, a fronte dell’appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, può dichiarare la sopravvenuta estinzione del reato solo nel caso in cui ritenga fondata l’impugnazione e fornisca, al riguardo, adeguata motivazione (Fattispecie in cui la Corte ha annullato, con rinvio al giudice civile, la decisione che, riformando la sentenza assolutoria di primo grado senza motivare sulla fondatezza dell’appello del pubblico ministero, aveva dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione e condannato l’imputato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili)» (da ultimo, Sez. 4, n. 14705 del 09/02/2024, COGNOME, Rv. 286144 – 01). Il che nella specie non è avvenuto.
Infondato è, altresì, il motivo con il quale si è censurata la decisione adottata della Corte territoriale all’udienza del 7 novembre 2023 di non acquisire le relazioni di servizio, i verbali di accompagnamento e la copia del registro della Questura di Reggio Emilia in relazione alla posizione delle pp.00., tra cui la I N.D. I, in quanto “l’acquisizione richiesta non integra gli estremi dell’assoluta necessità”. Invero, si tratta pacificamente di prove preesistenti alla sentenza di primo grado (tanto è vero che la loro acquisizione era stata richiesta già al Tribunale che l’aveva rigettata perché ritenuta non necessaria); pertanto, la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello non può costituire violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., ma può solo essere censurata sotto il profilo del vizio di motivazione (da ultimo, Sez. 1, n. 40715 del 10/01/2018, Capitanio, Rv. 274337 – 01). Nella specie, il ricorrente non ha dimostrato l’assoluta necessità della – tardiva – acquisizione di dette prove, la cui decisività appare da escludere anche alla luce della circostanza che il Tribunale, pur in assenza di esse, ha proceduto all’assoluzione dell’imputato.
5. Infondato è, infine, il sesto motivo del ricorso con il quale si eccepisce che – in assenza di appello della Parte civile – non potevano essere adottate le statuizioni civili. Il Collegio condivide sul punto il principio già affermato da questa Sezione secondo cui GLYPH «il GLYPH giudice di appello, GLYPH che su gravame del solo pubblico ministero condanni l’imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile non impugnante» (da ultimo, Sez. 6, n. 9364 del 12/11/2020 – dep. 09/03/2021, Comune di Bagheria c/ Comparetto NOME Rv. 280714 – 01). Pertanto, correttamente la sentenza impugnata ha fatto seguire alla condanna penale nei confronti dell’imputato le statuizioni civili, pur in assenza di impugnazione proposta dal Ministero dell’Interno avverso l’assoluzione in primo grado appellata dal solo Pubblico ministero.
Fondato è, invece, il primo motivo con il quale si eccepisce sia la mancata rinnovazione dell’istruzione sia l’assenza di “motivazione rafforzata”.
6.1. Preliminarmente, va ribadito che in tema di giudizio di appello l’obbligo di motivazione rafforzata, previsto in caso di riforma della sentenza assolutoria, è concorrente, e non alternativo, con quello di rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, sicché la sentenza di appello che ribalti la decisione assolutoria di primo grado, con condanna dell’imputato, postula l’adozione di una motivazione rafforzata e la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 16131 del 20/12/2022 – dep. 17/04/2023, B., Rv. 284493 – 03).
6.2. Nel caso in esame, il Tribunale ha assolto l’imputato dalla contestazione di concussione a danno della N.D. per la ritenuta inattendibilità di quanto dalla stessa dichiarato in incidente probatorio, che “conduce inevitabilmente ad un dubbio ragionevole e insuperabile sulla sussistenza del reato”. La Corte di appello, tenuto conto che la prova a carico era costituita proprio da quanto riferito dalla indicata persona offesa, disponeva, ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., la rinnovazione dell’esame della predetta (e delle altre persone offese degli ulteriori fatti di reato per i quali in primo grado era intervenuta l’assoluzione appellata dal PM). Con ordinanza adottata all’udienza del 7 novembre 2023 revocava però detto provvedimento sulla base della considerazione che la N.D. era già stata “sentita in incidente probatorio”, di tal che non era necessario procedere a nuova escussione della stessa (così come delle altre persone offese). E ciò sul presupposto, condiviso dal PG di legittimità all’odierna udienza, che la nuova disciplina del comma 3-bis, introdotta dal d.lgs. n. 150 del 2022, non si possa applicare all’esame testimoniale effettuato in incidente probatorio.
6.3. Ritiene il Collegio che detta interpretazione non possa essere accolta. In passato si è ritenuto che «in tema di appello del pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione, l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria previsto dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. grava sul giudice di appello anche quando la diversa valutazione di una prova dichiarativa ritenuta decisiva riguardi una prova acquisita nel corso delle indagini preliminari e non più ripetuta in dibattimento. (Fattispecie relativa alla rinnovazione in appello dell’esame della parte offesa già effettuato in sede di incidente probatorio corredato da videoriprese, ritenute irrilevanti ai fini di escludere la necessità di percezione diretta della prova da parte del giudice che aveva riformato “in peius” la sentenza di assoluzione di primo grado)» (così, Sez. 3, 24597 del 03/07/2020, P., Rv. 279863 – 01).
E’ vero che detto principio è stato affermato in riferimento a un quadro in cui l’obbligo di rinnovazione, già derivante dalla “regola Dasgupta” (Sez. U., n. 27620 del 28/04/2016, Rv. 267487 – 01), era stato formalizzato dalla I.n. 103 del 2017
con la introduzione nell’art. 603 cod. proc. pen. del comma 3-bis, che allora disponeva che “nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale”. Ma la validità dell’affermazione giurisprudenziale sopra indicata non risulta vulnerata dalla modifica introdotta al cit. comma 3-bis dal d.lgs. n. 150 del 2022, con la quale si è precisato che l’obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sussiste nei soli casi di “prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all’esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articoli 438, comma 5, e 441, comma 5”. Dall’omessa indicazione normativa della prova dichiarativa acquisita in incidente probatorio non può infatti dedursi la volontà del legislatore di escludere dall’ambito della rinnovazione detta prova. La relazione illustrativa del d.lgs. n. 150 (in G.U. supplemento straordinario n. 5 alla serie generale n. 245 del 19 ottobre 2022, pag. 326) nel commentare la disposizione citata precisa che con la stessa «Viene … esclusa la rinnovazione dell’istruzione finalizzata alla rivalutazione della prova dichiarativa nei casi di giudizio abbreviato in cui non vi sia stata integrazione probatoria». Il che rende evidente che l’intento del legislatore era quello di superare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che aveva ritenuto sulla base dell’originaria disposizione del comma 3-bis che l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa dinanzi al giudice di appello che intendeva procedere alla riforma dell’assoluzione sussistesse anche nel caso in cui la sentenza di primo grado fosse stata emessa in sede di giudizio abbreviato non condizionato (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785 – 01). La riforma “Cartabia” ha, dunque, inteso espungere l’obbligo di rinnovazione istruttoria per il caso di impugnazione della sentenza assolutoria emessa all’esito di rito abbreviato “secco”, sul fondamento che, a fronte della rinuncia dell’imputato al contraddittorio nell’assunzione della prova – connaturata al rito abbreviato e bilanciata dalla riduzione di pena in caso di condanna – non si pone alcuna necessità processuale di rinnovazione delle prove dichiarative. Scelta, questa, coerente con la giurisprudenza della Corte EDU che ha affermato il principio per cui, ove l’imputato abbia accettato di difendersi sulla base degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini, inequivocabilmente deve intendersi che abbia rinunciato all’audizione dei testimoni, non configurandosi, di conseguenza, alcuna violazione dell’art. 6, § 1, CEDU (Sez. I, 25 marzo 2021, COGNOME e COGNOME c. Italia). Connotazioni, invece, ben diverse presenta l’incidente probatorio, fase anticipata del dibattimento nella quale le prove sono acquisite e documentate con le forme stabilite per il processo ordinario (art. 401, comma 5, cod. proc. pen.; sul punto, v. Sez. 3, n. 8647 del 11/01/2024, M., Rv. 285959 – 01). E, non a caso, laddove Corte di Cassazione – copia non ufficiale
si proceda per un reato diverso da quelli espressamente previsti dall’art. 190-bis cod. proc. pen., la lettura delle dichiarazioni rese dal testimone nel corso dell’incidente probatorio è consentita solo successivamente alla rinnovazione in dibattimento del suo esame, ove richiesto dalle parti e possibile (Sez. 1, n. 21731 del 20/02/2019, COGNOME Rv. 275895 – 01).
Per tali ragioni, il silenzio serbato dalla “riforma Cartabia” sull’incidente probatorio non appare indicativo della volontà del legislatore di escludere la rinnovazione per i casi di prova dichiarativa assunta in detta sede.
Sotto altro profilo, sarebbe irragionevole (con ricadute in ordine al rispetto dell’art. 3 Cost.) ritenere che l’obbligo di rinnovazione sussista in caso di testimone sentito nel dibattimento di primo grado e non di colui che ha reso dichiarazioni nell’incidente probatorio, atteso che in entrambi i casi si è di fronte ad un’assunzione della prova effettuata con le regole stabilite per il dibattimento e mancando nell’incidente probatorio la scelta dell’imputato – collegata a un rito alternativo a connotazione premiale – di rinunciare al contraddittorio accettando di essere giudicato sulla base degli atti unilateralmente formati dal Pubblico ministero nelle indagini preliminare (presupposto, questo, della non obbligatorietà della rinnovazione in caso di overturning in appello di assoluzione conseguente a giudizio abbreviato “secco”).
6.4. Pertanto, la Corte di appello prima di procedere alla riforma della sentenza di assoluzione e di affermare la penale responsabilità dell’imputato per il reato di concussione sub capo B) a danno della I N.D. I, sulla base delle dichiarazioni rese in incidente probatorio dalla predetta ed, eventualmente, dalle altre testimoni sentite in quella sede, avrebbe dovuto disporre la rinnovazione dell’esame.
Ove tale rinnovazione – anche a mezzo di rogatoria internazionale – si dimostri oggettivamente impossibile, la riforma, in grado di appello, della sentenza di assoluzione non è preclusa ma la relativa decisione deve presentare una motivazione rafforzata sulla base di elementi ulteriori, idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio, acquisibili dal giudice anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. (sul punto, v. Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021 – dep. 30/03/2022, D., Rv. 282808 – 01).
Fondato è pure il rilievo – anch’esso dedotto nel primo motivo del ricorso con il quale si è denunciata la mancanza di idonea “motivazione rafforzata” per la ,{.. condanna in appello ( rofilo, questo, che assorbe anche il quarto motivo, relativo alla dedotta carenza motivazione in ordine alla attendibilità della p.o.). Invero, questa Corte ha evidenziato che «in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna
di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore» (ex multis, Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P, Rv. 278056).
7.1. A tale principio non si è attenuta la sentenza impugnata.
Il Tribunale ha ritenuto insussistente la prova convincente della penale responsabilità dell’imputato in relazione alla concussione a danno della N.D. evidenziando che costei colloca i fatti in un periodo di tempo (notte di Natale del 2010) nel quale NOME non si trovava in servizio in quanto assente per malattia rilevando, altresì, ulteriori elementi di inverosimiglianza (il primo tra tutti il fa che non fosse presente alcuno, neppure il piantone, nei locali della Questura ove la ragazza sarebbe stata oggetto delle minacce concussive da parte dell’imputato). Pertanto, “in assenza di altri precisi elementi di corredo probatorio della deposizione della teste … la inattendibilità della stessa conduce inevitabilmente alla assoluzione quantomeno con un dubbio ragionevole e insuperabile sulla sussistenza del reato” (sentenza di primo grado, pag. 14 e 18).
7.2. La sentenza di appello (pag. 14) ha sostenuto che “è assolutamente verosimile che l’episodio di cui all’imputazione sia collocabile nel dicembre del 2011 dato che la donna ha anche dichiarato che nel primo periodo di meretricio (indicato come agosto, e quindi 2010) si sarebbe trattenuta solo una settimana per poi tornare in Romania per circa sei mesi e rientrare in Italia per brevi periodi di circa due settimane seguiti da regolari ritorni a casa”. Peraltro, alla precedente pag. 13 viene dato atto che la persona offesa, in sede di incidente probatorio, ha precisato trattarsi “del Natale del 2010” e che, sempre nel corso dell’incidente probatorio, il difensore dell’imputato aveva contestato alla N.D. che nel verbale di s.i.t. rese il 6 luglio 2013 la predetta aveva dichiarato che il fatto era accaduto “il 25 dicembre … mi sembra che era il 2010 ma posso sbagliare”. La Corte territoriale però ha ritenuto che tale incertezza non fosse significativa atteso che, come riferito da un funzionario della Questura, il 24 dicembre del 2011 F.A. era in servizio e dunque l’episodio doveva essere avvenuto proprio nel 2011. Circostanza, questa, che il Tribunale aveva ritenuto invece non dimostrata, dal momento che (sentenza impugnata, pag. 3) “nella sera di Natale del 2010 F.A. era assente per malattia e nel 2011 era di turno esterno con le Volanti ma solo fino alle 19,15 e non nell’orario successivo indicato dalla donna (verso le 9 di sera)”.
7.3. Ciò premesso, rileva il Collegio che – a fronte della contestazione a carico dell’imputato, nella quale non era stata risolta l’incertezza temporale, indicandosi
il reato come consumato “nel Natale del 2010 o 2011” – l’affermazione della persona offesa circa l’anno in cui il fatto era avvenuto è certamente assai rilevante, tenuto anche conto che le sommarie informazioni nel corso delle quali la ragazza aveva già manifestato incertezze sul punto si collocano solo un anno e sette mesi dopo il dicembre del 2011 (ossia la data nella quale, secondo la Corte di appello, era avvenuto l’episodio), di tal che appare ancora più significativo un mancato ricordo certo dell’epoca dei fatti.
La Corte territoriale non ha poi esaminato, con riguardo alla contestazione a danno della I N.D. l’altro aspetto evidenziato dal Tribunale: ossia la circostanza, che ai primi Giudici appare singolare, secondo cui nei locali della Questura, ove l’imputato avrebbe minacciato la ragazza per ottenere un rapporto sessuale senza pagare, non fosse presente nessuno.
Dubbi, questi, che per giustificare l’overturning avrebbero dovuto essere superati attraverso una motivazione convincente che la sentenza impugnata però non presenta.
Pertanto, si impone l’annullamento con rinvio – relativamente all’omessa rinnovazione ex art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen. e all’assenza della necessaria “motivazione rafforzata” – ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.
7.4. E’ opportuno precisare – al fine di dare compiutamente conto delle ragioni della statuizione di rinvio – che il reato ancora sub iudice non risulta prescritto.
Invero, la sentenza di primo grado (pag. 9) indica che la condotta per la quale
F.A. ha poi riportato condanna in appello è stata qualificata dal Pubblico ministero in sede di udienza preliminare quale “tentata concussione” (con relativa modifica del capo di imputazione). Se così fosse, il fatto contestato che risale, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata al dicembre del 2011, sarebbe prescritto e, in tal caso, questa Corte avrebbe dovuto dichiarare l’intervenuta estinzione del reato, che prevale rispetto alle conseguenze dell’accertamento di una nullità processuale (tra le tante, Sez. 2, n. 47776 del 26/09/2018, Pg. c. COGNOME, Rv. 274465 – 01). La motivazione della sentenza di appello fa invece riferimento a delitto di concussione consumata (pag. 15 s.) e ha dichiarato l’imputato “responsabile del reato a lui ascritto al capo B) limitatamente alla condanna a danno della N.D.
Va rilevato che – contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale – non risulta che in udienza preliminare il Pubblico ministero abbia – in riferimento al fatto per il quale in appello è intervenuta condanna – modificato la contestazione; infatti la richiesta di rinvio a giudizio riporta nel capo B) gli articoli 81 e 317 cod pen. e dal verbale dell’udienza preliminare del 7 luglio 2015 emerge chiaramente che la correzione avente a oggetto l’inserimento dell’articolo 56 cod. pen. è riferita
al solo capo C) (che concerneva episodi di violenza sessuale rubricati sub
art. 609- bis
cod. pen.).
Da ciò consegue che la resiudicanda
riguarda un reato qualificato come concussione consumata che non è perciò prescritto.
8. Il settimo motivo – relativo alla durata della pena accessoria – risulta allo stato assorbito. Appare comunque opportuno evidenziare che il fatto contestato,
collocato “nel dicembre 2010 o 2011”, è antecedente alla legge n. 190 del 2012 e che all’imputato sono state riconosciute dalla sentenza impugnata le circostanze
attenuanti generiche e inflitta la pena di anni due e mesi otto di reclusione.
Pertanto, in ragione della disciplina contenuta nell’art. 317
bis cod. pen. applicabile
in caso di conferma della condanna l’interdizione ratione temporis commissi delicti,
non potrà avere natura perpetua.
Infine, per tutelare la riservatezza delle persone e in ragione del titolo del reato si deve disporre nel caso di diffusione della presente sentenza l’oscuramento
delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti private a norma dell’art 52 d.lgs. n. 196 del 2003.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.
Così deciso, il 17 settembre 2024
Consigliere NOME