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Rinnovazione istruttoria: obbligo in appello

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una sentenza di condanna per reati legati agli stupefacenti, emessa in appello in riforma di una precedente assoluzione. La decisione si fonda sul principio della necessaria rinnovazione istruttoria dibattimentale: il giudice d’appello non può condannare un imputato, precedentemente assolto, basandosi su una diversa valutazione di prove dichiarative senza prima aver riesaminato direttamente i testimoni. In questo caso, la responsabilità per una parte significativa della droga era stata attribuita agli imputati solo sulla base delle dichiarazioni di un terzo, non sentite nuovamente in appello, violando così il diritto a un giusto processo.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinnovazione dell’istruttoria: la Cassazione annulla condanna senza nuovo esame dei testi

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cardine del giusto processo: se un giudice d’appello intende ribaltare una sentenza di assoluzione basandosi su una diversa valutazione delle prove dichiarative, è obbligatoria la rinnovazione istruttoria dibattimentale. In altre parole, i testimoni le cui dichiarazioni sono cruciali per la decisione devono essere nuovamente sentiti in aula. La violazione di questa regola ha portato all’annullamento parziale di una condanna per detenzione e spaccio di stupefacenti.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda due giovani imputati, inizialmente assolti in primo grado dall’accusa di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto non sufficientemente provata la loro responsabilità. Il Pubblico Ministero, tuttavia, ha impugnato la sentenza, e la Corte d’Appello ha ribaltato il verdetto, condannando entrambi a una pena di tre anni e otto mesi di reclusione e 17.000 euro di multa.

La condanna in appello si basava su una serie di episodi: il ritrovamento di cocaina lanciata da un’auto, osservazioni di attività sospette in un’area boschiva dove era nascosta altra sostanza, e il sequestro di droga, materiale da taglio e contanti. Un elemento chiave, tuttavia, era legato alle dichiarazioni di un terzo soggetto, identificato come il fornitore, il quale aveva confermato di aver ceduto agli imputati un ingente quantitativo di cocaina, parte del quale è stato poi ritrovato presso la sua stessa abitazione.

I Motivi del Ricorso e la necessità di rinnovazione istruttoria dibattimentale

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione lamentando diversi vizi della sentenza d’appello. Il motivo principale, e quello che si è rivelato decisivo, era la manifesta illogicità della motivazione e la violazione di legge per non aver proceduto alla rinnovazione istruttoria dibattimentale.

Secondo i difensori, la Corte d’Appello aveva fondato la condanna per uno dei capi d’imputazione più gravi (la codetenzione di quasi 180 grammi di cocaina) esclusivamente sulle dichiarazioni accusatorie del fornitore. Poiché il giudice di primo grado aveva assolto gli imputati, la Corte d’Appello, per poterli condannare, avrebbe dovuto riconvocare in aula il dichiarante per un esame incrociato, in modo da valutare direttamente la sua attendibilità. Non facendolo, ha violato un principio consolidato dalla giurisprudenza, sia nazionale (sentenza ‘Dasgupta’ delle Sezioni Unite) sia europea.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso su questo punto cruciale, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno ribadito che la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell’imputato assolto in primo grado, è viziata se opera una diversa valutazione di prove dichiarative decisive senza disporne la rinnovazione, come previsto dall’art. 603, comma 3-bis, del codice di procedura penale.

Nel caso specifico, la condanna per il capo relativo alla cocaina trovata a casa del fornitore si basava unicamente sulle dichiarazioni di quest’ultimo. Questa ipotesi ricostruttiva non era supportata da altri elementi di riscontro oggettivi. Pertanto, per ribaltare il verdetto assolutorio, era indispensabile rinnovare l’esame testimoniale per consentire alle parti di valutare l’attendibilità e la congruenza delle sue affermazioni nel contraddittorio.

Di conseguenza, la Corte ha anche ritenuto fondata la censura relativa al mancato riconoscimento dell’attenuante della collaborazione (art. 73, comma 7, D.P.R. 309/1990). La motivazione del diniego era infatti legata proprio alla vicenda del fornitore, e venendo meno la condanna per quel reato, anche il ragionamento sull’attenuante è crollato.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente all’affermazione di responsabilità per il capo di imputazione basato sulle sole dichiarazioni del terzo e al diniego della circostanza attenuante della collaborazione. La causa è stata rinviata a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio su questi punti. La decisione riafferma con forza che le garanzie procedurali, come il diritto al contraddittorio sulla prova, sono ineludibili. Non è possibile fondare una condanna ‘a tavolino’, rivalutando semplicemente le carte processuali, quando l’assoluzione in primo grado si era basata sulla non attendibilità di un testimone. La giustizia, per essere tale, richiede un contatto diretto e immediato con la fonte di prova, specialmente quando è in gioco la libertà di una persona.

Un giudice d’appello può condannare un imputato assolto in primo grado basandosi solo sui documenti del processo?
No. Se la condanna si basa su una diversa valutazione dell’attendibilità di un testimone le cui dichiarazioni sono state ritenute inaffidabili dal primo giudice, la Corte d’Appello ha l’obbligo di disporre la rinnovazione dell’istruttoria, cioè di sentire nuovamente quel testimone in aula.

Perché la condanna è stata annullata solo in parte e non totalmente?
La sentenza è stata annullata solo per il capo d’imputazione che si fondava esclusivamente sulla prova dichiarativa non rinnovata (la detenzione della droga trovata a casa del fornitore). Le altre accuse, basate su prove diverse come i sequestri effettuati direttamente a carico degli imputati, non erano affette dallo stesso vizio procedurale e quindi la relativa decisione non è stata toccata.

Cosa si intende per reato continuato in materia di stupefacenti?
La sentenza chiarisce che diverse condotte previste dalla legge sugli stupefacenti (come la detenzione e l’offerta in vendita), se realizzate in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e senza una significativa interruzione temporale, possono essere considerate un unico reato continuato. Questo comporta l’applicazione di un’unica pena, calcolata partendo da quella per il reato più grave e poi aumentata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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