Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 10691 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 10691 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.V
nato a NOME
omissis NOME o m issis il
avverso la sentenza del 26/01/2023 della Corte di appello di Brescia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26/01/2023, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza emessa in data 09/11/2021 dal Gup del Tribunale di Bergamo, confermata l’affermazione di responsabilità di NOME S.VRAGIONE_SOCIALE per il reato di maltrattamenti di cui al capo 1) dell’imputazione, dichiarava il predetto responsabile anche dei reati di violenza sessuale e lesioni personali contestati ai capi 2) e 3) dell’imputazione e rideterminava la pena complessiva in anni quattro e mesi sei di reclusione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 603 comma 3-bis cod.proc.pen. e vizio di motivazione.
Argomenta che erroneamente la Corte di appello aveva riformato la sentenza assolutoria di primo grado in relazione ai reati di cui ai capi 2) e 3) dell’imputazione senza procedere alla rinnovazione istruttoria richiamando il disposto dell’art. 603, comma 3 bis cod.proc.pen, come modificato a seguito dell’entrata in vigore della riforma Cartabia; tale norma non trovava applicazione essendo la sentenza impugnata emessa prima del 30/12/2022, secondo il principio di diritto già affermato da SU Lista, secondo cui è la disciplina vigente al momento della pronuncia impugnata che regola il regime delle impugnazioni; inoltre, era erronea anche l’affermazione dell’inutilità della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, in quanto l’impugnazione della pubblica accusa, contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici di appello, era stata proposta per motivi attinenti alla valutazione del portato dichiarativo della persona offesa.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 572, 609-bis, 582 cod.pen. e 530 cod.proc.pen., nonchè vizio di motivazione.
Argomenta che la Corte di appello aveva confermato l’affermazione di responsabilità per il reato di maltrattamenti, nonostante le discrepanze che avevano caratterizzato le dichiarazioni della persona offesa e, comunque, il difetto di prova dell’abitualità delle condotte attribuite all’imputato e dell’assenza di un dolo unitario e programmatico; con riferimento, poi, al reato di violenza sessuale non era stato tenuto nel debito conto che la persona offesa aveva reso versioni contrastanti e che difettavano i cd indicatori dell’abuso sessuale.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale, nel ribaltare la sentenza assolutoria di primo gra relazione ai reati di cui ai capi 2) e 3) dell’imputazione, correttamente n proceduto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, rimarcando c giudizio di primo grado era stato celebrato nelle forme del cd abbreviato sec per il quale tale obbligo risulta escluso dall’art. 603, comma 3 bis, cod.pro come modificato dal d.lgs 150/2022; ha anche aggiunto che, comunque, l’impugnazione del pubblico ministero non era stata proposta per motivi attine alla valutazione del portato dichiarativo della persona offesa, che il giudice di grado aveva ritenuto pienamente attendibile.
Quanto al primo profilo, va richiamato il principio di diritto già affermato Sezioni Unite in fattispecie analoga a quella in esame (Sez.0 n.11586 30/09/2021, dep.30/03/2022, Rv.282808 – 01, in motivazione).
In particolare, il Supremo Consesso, esaminando la nuova disciplina dell’ar 603, comma 3-bis cod.proc., a seguito delle modifiche apportate dalla legge 103/2017, ha osservato che il legislatore ha introdotto una “nuova reg processuale sulla istruttoria in appello, peraltro ponendosi in linea dì con con la giurisprudenza delle Sez.U, Dasgupta”; tale regola procedimentale de giudizio di appello, che viene ad operare nel caso di ribaltamento della precede decisione assolutoria, è posta in relazione alla presunzione costituzionale d colpevolezza e al paradigma dell’oltre ogni ragionevole dubbio e “deve trova immediata applicazione ai sensi dell’art. 11, primo comma, preleggi”.
Si è osservato, in particolare, che non trova applicazione il principio affer dalle Sez. U, Lista, che, in tema di successione di leggi processuali nel tempo riferimento alla materia delle impugnazioni, hanno stabilito che, ai dell’individuazione del regime applicabile, in assenza di disposizioni transi deve farsi riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell’impugnazione; si era evidenziato, in qu pronuncia, che il parametro temporale, con specifico riferimento al c processuale, è costituito dall’art. 11, primo comma, preleggi e che il re dell’atto di impugnazione viene determinato con riferimento alla normativa vigore al momento della pronuncia della sentenza impugnata, in quanto “è i rapporto a quest’ultimo actus e al tempus del suo perfezionamento che vanno valutati la facoltà di impugnazione, la sua estensione e i termini per eser (così, Sez U, Lista).
Tale principio si riferisce, dunque, all’atto di impugnazione In senso str che consente il passaggio al successivo grado di giudizio, atto che va ricompr nella tipologia degli atti con effetti istantanei, che si esaurisce nel suo compimento. E’, pertanto, la diversa tipologia di atti finisce necessariament condizionare la regola del tempus regit actum.
Le Sezioni Unite hanno, quindi, evidenziato che “la nuova disciplina dell’art. 603, comma 3-bis, cod.proc.pen. non è intervenuta a regolamentare in modo innovativo l’atto di impugnazione in quanto tale ovvero il regime stesso dell’impugnazione, ma ha introdotto una nuova regola processuale sulla istruttoria in appello, un procedimento ricompreso nel giudizio di impugnazione, ancora non esaurito; non vi è alcun atto processuale che si sia già perfezionato e abbia prodotto i propri effetti prima dell’entrata in vigore della nuova legge, quale quello di impugnazione, bensì un procedimento ricompreso nel giudizio di impugnazione, ancora non esaurito, rispetto al quale il principio tempus regit actum deve essere riferito al momento in cui l’atto del procedimento stesso viene ad essere compiuto.
In questo senso si erano già pronunciate: Sez.5 ,n.32011 del 11/06/2019, Rv.277250 – 01, secondo cui l’art. 603, comma-3 bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in assenza di disposizioni transitorie che prevedano diversamente, trova applicazione, ricorrendone i presupposti, anche nel giudizio dì rinvio, seppure la norma sia entrata in vigore successivamente alla sentenza di annullamento; Sez.6,n.16860 del 19/03/2019, Rv.275934 – 02, secondo cui l’obbligo della rinnovazione dell’istruttoria previsto dal novellato art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., si applica anche nell’ipotesi in cui la sentenza di primo grado sia anteriore alla data di entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, che ha introdotto tale disposizione; Sez.6,n.10260 del 14/02/2019, Rv.275201 – 01, secondo cui, in tema di successione nel tempo di norme processuali, il principio del “tempus regit actum” comporta che i singoli atti del procedimento sono disciplinati dalla norma in vigore al momento del loro compimento e non da quella vigente all’epoca di instaurazione del giudizio.
Tale principio trova applicazione anche nella presente fattispecie in relazione alla nuova formulazione dell’art. 603, comma 3-bis cod.proc.pen, introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. i) n. 1) del d.lgs 10 ottobre 2022 n. 150 (a decorrere dal 30.12.2022), trattandosi, con tutta evidenza, anche in questo caso di una nuova regola processuale sulla istruttoria in appello introdotta in relazione alla fattispecie in cui il giudizio di primo grado si sia svolto nelle forme giudizio del r abbreviato; la nuova formulazione della norma così recita: “Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa , il giudice, ferme le disposizioni dei commi da 1 a 3, dispone la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nei soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all’esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articoli 438, comma 5 e 441, comma 5”.
Anche in questo caso non si verte in ipotesi di un singolo atto che abbia già esaurito i suoi effetti, quale quello di impugnazione, bensì di un procedimento
ricompreso nel giudizio di impugnazione, ancora non esaurito, rispetto al qual principio tempus regit actum deve essere riferito al momento in cui l’atto viene ad essere compiuto; in assenza di disposizioni transitorie, quindi, la n disposizione normativa si applica con riferimento al momento in cui l’atto procedimento stesso viene compiuto.
Nella specie, pertanto, come correttamente rilevato dalla Corte territorial svolgimento del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato sec esclude la necessità di procedere alla rinnovazione dell’istruzione: in assen disposizioni transitorie, in base al principio del tempus regit actum trova applicazione immediata nel giudizio di appello la nuova disciplina dell’art. comma 3-bis, cod.proc.pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. ) n. 1) de 10 ottobre 2022 n. 150, a decorrere dal 30.12.2022 ex art 6 di. 31 ottobre 2 n. 162.
Quanto al secondo profilo, va ricordato che, comunque, in caso d impugnazione della sentenza assolutoria da parte del pubblico ministero, l’obbli di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, previsto dall’art. 603, comma cod. proc. pen., riguarda solo le prove dichiarative assunte in primo grado, secondo le ragioni specificatamente prospettate nell’atto di impugnazione, si state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado-motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa; tali motivi vanno non solo come quelli concernenti la questione dell’attendibilità dei dichiarant come tutti quelli che implicano una “diversa interpretazione” delle risultanze d prove dichiarative- e siano ritenute decisive ai fini della valutazi responsabilità (Sez.3, n. 16444 del 04/02/2020, Rv.279425 – 01; Sez.5, n. 2775 del 24/05/2019,Rv.276987 – 01; cfr Sez.2, n. 5231 del 13/12/2018 dep.01/02/2019, Rv.276050 – 01; Sez.1 n. 12928 del 07/11/2018, dep.25/03/2019, Rv. 276318 – 01).
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Va osservato che, come da orientamento costante di questa Corte, il Giudic di merito può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale a dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottopos vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare l probatorie di cui all’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., che richied presenza di riscontri esterni (Cfr., Sez U, n.41461 del 19/07/2012, Rv.25321 Sez.2,n.43278 del 24/09/2015, Rv.265104 – 01 Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Rv. 24801).
Si è anche precisato come tale controllo, considerato l’interesse di c persona offesa è naturalmente portatrice ed al fine di escludere che ciò po comportare una qualsiasi interferenza sulla genuinità della deposizio
testimoniale, debba essere condotto con la necessaria cautela, attraverso un esame particolarmente rigoroso e penetrante, che tenga conto anche degli altri elementi eventualmente emergenti dagli atti (Sez. 3, 26 settembre 2006, Gentile). Anche più di recente si è ribadito che le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante dell’attendibilità intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l’acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l’intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione, posto che la loro funzione è sostanzialmente quella di asseverare esclusivamente ed in via generale la sua credibilità soggettiva (Cfr. Sez.5, n. 21135 del 26/03/2019, Rv. 275312 – 01).
Ed è acquisizione pacifica che la valutazione circa l’attendibilità della persona offesa involge un’indagine positiva sulla credibilità soggettiva del dichiarante e sulla attendibilità intrinseca del racconto, che si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (Cfr. Sez.2, n.7667 del 29/01/2015, Rv.262575; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Rv. 239342; Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006, Rv. 235578).
Nella specie, la Corte territoriale ha fondato l’affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni della persona offesa, valutandone in senso positivo la credibilità ed attendibilità; in particolare sono stati evidenziati i seguenti elementi reiterazione e coerenza del narrato accusatorio, privo di evidenti e insanabili contraddizioni; assenza di intenti ritorsívi, calunniatori o speculativi; presenza di riscontri esterni al narrato accusatorio. I Giudici di appello hanno, inoltre, esaminato e disatteso le censure difensive, qui riproposte, volte a rimarcare discrasie nel narrato accusatorio (cfr pag. 5,6,7,8,9,10 della sentenza impugnata).
Le argomentazioni sono congrue e non manifestamente illogiche e si sottraggono al sindacato di legittimità.
Con riferimento al contestato reato di cui all’art. 572 cod.pen., la Corte territoriale ha spiegato che le dichiarazioni della persona offesa comprovavano le continue vessazioni subite da parte dell’imputato: la persona offesa aveva riferito di reiterati e frequenti atti lesivi della sua integrità fisica e morale consumati suo danno, anche a seguito dei suoi rifiuti a rapporti sessuali in taluni momenti
della vita coniugale, nonchè di pesanti umiliazioni e vessazioni subite nel c della gravidanza (l’imputato aveva cercato di indurre un’interruzione di gravida aggredendo la persona offesa e privandola di cibo) e della situazione di soffere fisica e morale patita nel corso della convivenza (pag 8 della sentenza impugnat
I Giudici di appello, dunque, confermando la valutazione del Tribunale, hanno ritenuto integrato il reato di maltrattamenti sul rilievo che dalle ev probatorie era emerso come l’imputato avesse posto in essere, con continuità n periodo indicato nell’imputazione, plurimi fatti lesivi dell’integrità fisi patrimonio morale della persona offesa, determinando in capo alla stessa uno sta continuo di sofferenza e di intollerabile mortificazione.
La motivazione è congrua e logica, nonchè conforme alla linea interpretativ costantemente tracciata da questa Suprema Corte, secondo cui la fattispec incriminatrice descritta dall’art. 572 cod. pen. consiste nella sottoposizione vittima ad una serie di atti di vessazione continui e tali da cagionare soffe privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonte di un disagio continu incompatibile con le normali condizioni di vita; i singoli episodi, che costitui un comportamento abituale, rendono manifesta l’esistenza di un programma criminoso relativo al complesso dei fatti, animato da una volontà unitari vessare il soggetto passivo (Sez. 6, n.7192 del 04/12/2003, dep. 19/02/2004, R 228461).
Con riferimento, poi, al contestato reato di cui all’art. 609-bis cod.pe Corte di appello, ribadita la valutazione di attendibilità della persona off ritenuto integrato tale reato, evidenziando, con argomentazioni congrue e logic come la predetta avesse chiaramente riferito di aver manifestato all’imputato esplicito dissenso in occasione di alcuni approcci sessuali e che il predetto l’ invece, costretta a subire i rapporti sessuali; quanto, infine, al reato d aggravate contestate, i Giudici di appello hanno rimarcato che lo stat denutrizione e disidratazione determinato nella persona offesa dalla condot vessatoria dell’imputato (che aveva impedito alla persona offesa, in stat gravidanza, di avere accesso ad alimenti e bevande), integrava una “malattia rilevante per la configurabilità del predetto reato, in quanto aveva causato a c della donna una significativa compromissione delle funzioni dell’organismo.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A fronte di un siffatto adeguato percorso argonnentativo, il ricorrente, nepp confrontandosi criticamente con la motivazione della Corte di appello (confron doveroso per l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 581 cod.proc.pen., per la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedime oggetto di ricorso, cfr Sez.6, n.20377 del 11/03/2009, Rv.243838; Sez.6, n.224 del 08/05/2009, Rv.244181), propone censure in fatto, preduse in sede d legittimità.
Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. p non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella a pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso il 10/01/2024