Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23613 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23613 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
D. G.
nato a Manfredonia il 30/7/1980
avverso la sentenza del 13/3/2023 emessa dalla Corte di appello di Brescia visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza; udito l’Avvocato NOME COGNOME difensore della parte civile, che chiede la conferma della sentenza; udito l’Avvocato NOME COGNOME difensore dell’imputato, che insiste per
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello riformava la sentenza assolutoria emessa a seguito di giudizio abbreviato, condannando l’imputato in ordine al reato di cui all’art. 572 cod. pen., escludendo la recidiva e l’aggravante dell’aver commesso il fatto ai danni di donna incinta, riconoscendo le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante dell’aver commesso il fatto in presenza di minori, con conseguente condanna al risarcimento dei danni patiti dalla persona offesa.
Avverso tale sentenza, il ricorrente ha formulato quattro motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. per omessa rinnovazione della prova dichiarativa, costituita dalla testimonianza della persona offesa, sulla cui base i fatti erano stati ricostruiti.
Evidenzia il ricorrente come l’assoluzione pronunciata in primo grado si fondava sul dubbio circa l’attendibilità della persona offesa, derivante dal fatto che la denuncia era intervenuta nella fase di crisi familiare che conduceva alla separazione dei coniugi.
La Corte di appello, avendo diversamente ritenuto la piena attendibilità della persona offesa, avrebbe dovuto procedere alla rinnovazione dell’istruttoria, non potendo applicare il disposto del novellato art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., così come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022, trattandosi di norma sopravvenuta dopo la proposizione dell’appello. In mancanza di una specifica disciplina transitoria, la suddetta norma non poteva ritenersi applicabile ai giudizi pendenti in grado di appello all’epoca della sua introduzione.
2.2. Con il secondo e terzo motivo deduce il vizio di motivazione, evidenziando sia la mancanza di una motivazione rafforzata e idonea a superare la decisione assolutoria adottata in primo grado, sia profili di illogicità e contraddittorietà nel ricostruzione del fatto.
Il primo giudice aveva evidenziato la sussistenza di plurimi profili di potenziale inattendibilità derivanti dalla fase di crisi familiare in cui si era inserita la denun penale, nonché nel presumibile interesse a condizionare l’esito della coeva azione civile. Tali aspetti non erano stati motivatamente confutati dalla Corte di appello, al punto che quest’ultima neppure prendeva espressa posizione in relazione al fatto che le figlie dell’imputato non avessero fornito alcuna conferma rispetto alle accuse mosse dalla madre che, conseguentemente, dovevano ritenersi prive di riscontri esterni.
Il ricorrente, inoltre, ha censurato specifici passaggi motivazionali, relativi alle
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presunte aggressioni subite nel marzo e luglio del 2020, che non avrebbero trovato conferma nelle dichiarazioni della figlia maggiore della coppia.
Ulteriori aspetti oggetto di contestazione concernono la sottrazione delle risorse economiche in favore della famiglia da parte dell’imputato, nonché i timori della madre per possibili condotte lesive del padre ai danni delle figlie e per il tentativo del predetto di svilire il ruolo materno.
Sarebbero state immotivatamente ritenute non rilevanti le dichiarazioni rese dalla teste COGNOME la quale aveva riferito di non aver mai appreso dell’esistenza di rapporti conflittuali tra l’imputato e la moglie.
Infine, erronea sarebbe stata la valutazione di irrilevanza concernente il messaggio inviato dalla persona offesa all’imputato in data 9 giugno 2020.
2.3. Con il quarto motivo si censura il vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla configurabilità del reato di maltrattamenti, evidenziandosi come i rapporti tra i coniugi erano connotati da una accesa conflittualità, che sfociava in condotte reciprocamente offensive. Sarebbe stato erroneamente valutato anche l’elemento soggettivo del reato, dovendosi ritenere che le condotte materiali non erano sorrette dalla finalità maltrattante, bensì erano frutto della crisi del rapporto che avrebbe condotto alla separazione dei coniugi.
Il difensore dell’imputato depositava memoria illustrativa dei motivi di ricorso proposti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, concernente la nullità della sentenza conseguente all’omessa rinnovazione dell’istruttoria, nonostante la diversa valutazione circa l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, è infondato.
Occorre premettere che la Corte di appello ha ritenuto di escludere l’obbligo della rinnovazione sul presupposto dell’immediata applicabilità del novellato art. 603, comma 3 -bis, cod. proc. pen., in base al quale la diversa valutazione circa l’attendibilità delle dichiarazioni utilizzate in sede di giudizio abbreviato non impone l’escussione del dichiarante in fase di appello, salva l’ipotesi in cui si tratti di dichiarazioni rese a seguito di richiesta di integrazione probatoria.
Sostiene il ricorrente che tale norma, in quanto introdotta dal d.lgs. n. 150 del 2022 in epoca successiva rispetto alla proposizione dell’appello, non avrebbe dovuto trovare applicazione nel presente giudizio.
2.1. La tesi recepita nella sentenza di appello, concernente l’immediata applicabilità del novellato art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., costituisce una corretta applicazione della regola secondo cui, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, si applica il principio tempus regit actum.
Né a diverse conclusioni conduce il richiamo al principio affermato dalle Sezioni unite nella sentenza “Lista” (Sez.U, n. 27614 del 29/3/2007, Rv. 236537), evocata dal ricorrente per sostenere la non applicabilità della novella.
Invero, sulla base di un’attenta esegesi di tale pronuncia, deve ritenersi che nel caso di successione nel tempo di diverse norme processuali, in mancanza di disciplina transitoria, il profilo dell’applicazione temporale non è uniforme, dovendosi distinguere a seconda dell’incidenza delle modifiche nel senso che:
per quelle che attengono al “regime delle impugnazioni” (riconducendo in tale locuzione le ipotesi di modifiche relative alla facoltà di impugnazione, alla sua estensione, ai modi ed ai termini per esercitarla) deve applicarsi la legge vigente al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già quello della proposizione dell’impugnazione;
per quelle che invece attengono al “procedimento di impugnazione”, nel cui ambito rientrano anche le regole in materia probatoria, deve farsi riferimento alla norma vigente al momento del singolo atto da compiere, secondo il principio tempus regit actum.
Applicando tali principi al caso di specie, è agevole rilevare come le regole in tema di rinnovazione dell’istruttoria in appello non concernono il “regime” dell’impugnazione, bensì disciplinano esclusivamente la fase probatoria del giudizio di appello, con specifico riferimento alle ipotesi di necessaria rinnovazione. La regola introdotta dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., pertanto, è una tipica norma che non incide sulla facoltà di proporre impugnazione, né sui modi per l’esercizio di tale potere, bensì disciplina singoli atti del giudizio di appello e in mancanza di disciplina transitoria, è sottoposta al principio tempus regit actum.
In tal senso, peraltro, si è già espressa questa Corte con un indirizzo cui deve darsi continuità, secondo cui la regola processuale sulla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale di cui all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 34, comma 1, lett. i), n. 1), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in vigore a far data dal 30 dicembre 2022, trova immediata applicazione nel giudizio di appello, in assenza di disposizioni transitorie e in base al principio tempus regit actum (Sez.3, n.10691 del 10/1/2024, Rv. 286089).
Passando all’esame dei restanti motivi di ricorso, deve rilevarsi la loro manifesta infondatezza, risolvendosi nella proposizione di un sindacato in ordine
alla valutazione probatoria, senza che dal testo della sentenza impugnata emergano vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà.
La Corte di appello, infatti, si è pienamente attenuta al principio secondo cui la riforma della sentenza assolutoria richiede una motivazione rafforzata, partendo dall’osservazione secondo cui il giudice di primo grado, pur senza esprimere un giudizio di assoluta inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, ne aveva sostanzialmente sminuito la portata, facendo leva su considerazioni generiche e basate su presunzioni derivate da massime di esperienza di dubbia validità.
In particolare, il giudice di primo grado aveva valorizzato la circostanza che la sostanziale coincidenza tra la presentazione della querela e della domanda di separazione personale potesse inficiare le dichiarazioni della persona offesa, la quale avrebbe avuto tutto l’interesse a prospettare la personalità violenta del marito.
La Corte di appello ha correttamente sottolineato come il giudice di primo grado ha enunciato una massima di esperienza in astratto condivisibile, per poi omettere in concreto un’attenta verifica dell’attendibilità della persona offesa.
In particolare, nella sentenza impugnata si dà atto dell’assenza di qualsivoglia elemento atto a far ritenere la strumentalità delle dichiarazioni accusatorie, tanto più che la persona offesa ha espressamente escluso la commissione di determinate condotte (violenza sessuale), mostrando attenzione a non alterare la realtà dell’accaduto.
È stata valorizzata anche la modalità con la quale le dichiarazioni sono state rese, sottolineandosi come nel verbale di sommarie informazioni si dava atto della necessità di interrompere l’esposizione a fronte delle crisi di pianto, ritenute dimostrative di una effettiva sofferenza nell’esposizione dei fatti e, quindi, della loro veridicità (p. 14 sentenza appello).
Più in generale, la Corte sottolinea come nell’esposizione dei fatti emerga anche l’intento della dichiarante di non sminuire gli aspetti positivi mostrati dall’imputato, con riguardo ai rapporti con le figlie, senza che ciò integri alcun aspetto di contraddittorietà con le descritte condotte maltrattanti, bensì confermi la mancanza di strumentalità delle dichiarazioni rese.
Infine, si indicano elementi di riscontro oggettivo, desunti non solo dalle dichiarazioni rese dal padre della persona offesa, ma anche dalle relazioni di servizio redatte dai Carabinieri in occasione di due interventi resisi necessari a fronte delle condotte commesse dall’imputato.
In definitiva, quindi, può affermarsi che la Corte di appello ha reso una motivazione rafforzata e che dà pienamente conto, sulla base di argomentazioni
immuni da censure, delle ragioni che hanno condotto al giudizio di attendibilità, fornendo, peraltro, risposta alle specifiche censure dedotte in sede di appello dall’imputato (in ordine al messaggio scambiato tra i coniugi in data 9 giugno 2020 e alla inidoneità a sovvertire il quadro probatorio delle dichiarazioni rese dalla teste COGNOME al difensore dell’imputato).
Parimenti immuni da censure di manifesta illogicità o contraddittorietà sono le considerazioni svolte dalla Corte di appello con riguardo alla insussistenza di un contrasto tra le dichiarazioni rese dalle figlie dell’imputato, come pure alla marginalità delle restanti prove dichiarative offerte in suo favore.
3.1. Manifestamente infondate sono anche le censure mosse in ordine alla ritenuta configurabilità del reato di maltrattamenti, anche sotto il profilo soggettivo. È pur vero che gli episodi di maggior offensività si sono verificati nel periodo immediatamente precedente la separazione, ma ciò non consente di ritenere che le condotte descritte dalla persona offesa possano considerarsi quale mera espressione della conflittualità tra i coniugi, tanto più che l’atteggiamento offensivo e denigratorio posto in essere dall’imputato si è iniziato a manifestare in epoca risalente nel tempo e, quanto meno, a far data dal 2017.
In ordine all’elemento soggettivo del reato, la Corte di appello ha adeguatamente motivato sulla condizione di sofferenza e patimento ingenerata nella persona offesa dalla condotta dell’imputato, commessa con reiterazione e modalità pienamente compatibili con il dolo generico richiesto dall’art. 572 cod. pen.
In conclusione, pertanto, si ritiene che il ricorso introduca non già delle censure a specifici vizi motivazionali, proponendo, piuttosto, una rilettura del materiale probatorio nel tentativo di sollecitarne una non consentita rivalutazione nel merito.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali, nonché delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile, ammessa al gratuito patrocinio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile C.N.
ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà
liquidata dalla Corte di appello di Brescia con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Il Presidente
Così deciso il 17 aprile 2024 Il Consigliere estensore