Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5343 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5343 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a VIVARO ROMANO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ERACLEA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ESTE il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 14/12/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che le parti non hanno formulato richiesta di discussione orale ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, da ultimo, in forza dell’art. 17 del decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito, con modificazioni, nella legge 10 agosto 2023, n. 112.
Lette la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, cit., del AVV_NOTAIO Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso, nonché le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per la parte civile, nel senso della conferma della sentenza impugnata e della condanna degli imputati alla rifusione delle spese di cui alla nota allegata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza deliberata, all’esito del giudizio abbreviato, il 09/10/2018, il Tribunale di Milano aveva assolto NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME dal reato di bancarotta semplice, perché, quali consiglieri di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, RAGIONE_SOCIALE), dichiarata fallita il 24/10/2013, aggravavano il dissesto della società astenendosi dall’esigere il pagamento dei crediti vantati e dal richiedere il fallimento.
Investita dall’impugnazione – oltre che del P.M., poi oggetto di rinuncia e dichiarata inammissibile – della parte civile RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria, la Corte di appello di Venezia, con sentenza deliberata il 14/12/2022, ha condannato gli imputati al risarcimento dei danni a favore della parte civile.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Venezia hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, attraverso il difensore AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, attraverso il difensore AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, attraverso il difensore AVV_NOTAIO, con un unico atto, denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. – inosservanza dell’ad 603-bis cod. proc. pen. All’esito del giudizio abbreviato, svoltosi nelle forme del rito abbreviato non condizionato, gli imputati erano stati assolti “perché il fatto non sussiste”, mentre l’appello della parte civile era stato accolto previa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale limitatamente ai consulenti del P.M. COGNOME, rinnovazione erroneamente disposta in quanto le relative consulenze non potevano essere considerate prove dichiarative, come affermato anche dalle Sezioni unite, tanto più alla luce della modifica dell 603-bis cod. proc. pen. introdotta dal d. Igs. n. 150 del 2022. La Corte di appello avrebbe dovuto valutare la consulenza della difesa, con contestuale esame del consulente.
Con requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. mod., il AVV_NOTAIO Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione AVV_NOTAIO ha concluso per il rigetto del ricorso. Per la parte civile, l’AVV_NOTAIO ha concluso per la conferma della sentenza impugnata e la condanna degli imputati alla rifusione delle spese di cui alla nota allegata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi devono essere rigettati.
La sentenza impugnata ha rilevato che, pur in assenza di un obbligo di rinnovazione, esiste sempre la facoltà, in capo al giudice di appello, di disporre la comparizione a chiarimenti, rinnovando l’istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen., laddove l’esame dei due consulenti COGNOME e COGNOME ha permesso di chiarire il reale significato del passaggio valorizzato dalla sentenza assolutoria di primo grado. Ora, i ricorsi fanno leva sull’ordinanza dibattimentale del 15/09/2022, che rinviava alla disciplina dettata dal comma 3-bis dell’art. 603 cod. proc. pen., ma qualora sia sottoposta al vaglio del giudice di legittimità la correttezza di una decisione in rito, la Corte stessa è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla (Sez. 5, n. 17979 del 05/03/2013, Iamonte, Rv. 255515); infatti, se è censurata l’applicazione di una norma processuale, non ha alcuna rilevanza, in sede di legittimità, il fatto che tale scelta sia stata, o non, correttamente motivata dal giudice di merito, atteso che, quando viene sottoposta al giudizio della Corte suprema la correttezza di una decisione in rito, la Corte stessa è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla (Sez. 5, n. 15124 del 19/03/2002, COGNOME, Rv. 221322).
Ne consegue che, nei termini indicati, la Corte distrettuale, a fronte dell’appello della parte civile che denunciava un travisamento della prova criticando l’apprezzamento del contenuto dell’elaborato dei consulenti tecnici del P.M. operata dalla sentenza assolutoria di primo grado, ha evidenziato la finalizzazione dell’esame dei periti ad ottenere chiarimenti circa i loro elaborati, così dando conto dell’assoluta necessità della rinnovazione (Sez. 6, n. 51901 del 19/09/2019, Graziano, Rv. 278061 – 01).
Pertanto, risulta corretto (e non oggetto di censure da parte dei ricorsi, tutti concentrati sulla disciplina dettata dal comma 3-bis dell’art. 603 cod. proc. pen.) il rilievo processuale proposto dalla sentenza impugnata, sicché le doglianze dei ricorrenti restano prive di fondamento.
D’altra parte, il riferimento alla mancata valutazione della consulenza difensiva – anch’esso peraltro articolato nella prospettiva della disciplina di cui all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. – risulta del tutto generico e, come tale, non in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da
rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516).
I ricorsi, pertanto, devono essere rigettati e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese d rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, che liquida in complessivi euro 4000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 09/01/2024.