Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24587 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24587 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Cerchiara di Calabria il 28/12/1955, avverso la sentenza del 17/09/2024 della Corte di appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le richieste del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catania ha integralmente riformato la sentenza del 21 ottobre 2020 del Tribunale di Ragusa che aveva prosciolto NOME COGNOME dall’imputazione di cui all’art. 76 d. P.R. n. 445 del 2000, in relazione all’art. 483 cod. pen. per avere attestato in una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà presentata al Comune di Modica, onde partecipare al concorso per il rilascio di ventuno autorizzazioni per il servizio di noleggio con conducente, di non avere riportato condanne passate in giudicato o sentenze di applicazione di pena per reati che incidono sull’affidabilità
morale o professionale.
In particolare, il Tribunale aveva osservato che la autocertificazione era stata resa sottoscrivendo un modulo prestampato nel quale si affermava di non avere riportato condanne o sentenze di applicazione di pena passate in giudicato per reati che influivano sulla affidabilità morale e professionale e che con tale formula si veniva a chiedere al dichiarante una valutazione, mentre potevano costituire oggetto di autocertificazioni esclusivamente i fatti e non le valutazioni; peraltro, l’imputato, nel corso del suo esame, aveva dichiarato che i reati ai quali si faceva riferimento nel modulo fossero solo reati molto gravi e che i suoi precedenti penali, per reati lievi, risalivano a molti anni prima, cosicché egli aveva in buona fede ritenuto veritiera la sua attestazione; poiché effettivamente i reati per i quali l’imputato aveva riportato condanna non erano particolarmente gravi e comunque risalivano agli inizi degli anni ’90, il Tribunale aveva ritenuto insussistente il dolo ed aveva prosciolto Giuseppe Siciliano dalla imputazione ascrittagli perché il fatto non costituisce reato.
La Corte di appello, accogliendo l’impugnazione del Procuratore generale, ha invece affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato a lui ascritto, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
In particolare, ha ritenuto che le condanne riportate dall’imputato, anche per furto e ricettazione, incidessero palesemente sulla affidabilità morale e professionale, cosicché doveva ritenersi che l’imputato fosse consapevole della falsità della sua dichiarazione.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. e dell’art. 6 CEDU per non avere la Corte di merito provveduto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale procedendo ad un nuovo esame dell’imputato, nonostante esplicita istanza in tal senso avanzata dal difensore con la memoria difensiva depositata nel corso del giudizio di appello.
Poiché il Tribunale aveva ritenuto credibili le dichiarazioni rese dall’imputato, mentre quest’ultimo non era stato ritenuto attendibile dalla Corte di appello, la condanna avrebbe potuto essere pronunciata solo dopo la rinnovazione dell’esame dell’imputato e la sua omissione determinava la nullità della sentenza di secondo grado.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole di essere stato condannato per la prima volta in appello senza che la sentenza di secondo grado fosse dotata di una motivazione «rafforzata» che prendesse in esame le ragioni poste a base
dell’assoluzione pronunciata dal Giudice di primo grado per poi specificare i motivi per cui era necessario dissentire dalle stesse.
La Corte di appello, sostiene il ricorrente, non si è affatto confrontata con tali ragioni e neppure ha analizzato le giustificazioni addotte dall’imputato.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 483 cod. pen., sostenendo, anche richiamando diversi precedenti di questa Corte di cassazione (Sez. 5, n. 11596 del 18/01/2008, COGNOME, Rv. 239473; Sez. 5, n. 25468 del 14/01/2015, COGNOME, Rv. 265135; Sez. 5, n. 2496 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278134), che la pubblica amministrazione non può rimettere al richiedente la valutazione del carattere ostativo di taluni reati in ordine all’instaurazione di alcuni rapporti, atteso che oggetto dell’autocertificazione possono essere fatti e non valutazioni e che il ricorso ad un modulo prestampato in cui non vengano indicati i reati ritenuti ostativi non consente di ritenere provato il dolo in modo certo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte di cassazione in tema di rinnovazione della prova dichiarativa, la necessità di assumere l’esame dell’imputato, in caso di riforma della sentenza assolutoria, rientra in quella, più generale, di rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, sicché la stessa sussiste ove, nel corso del giudizio di primo grado, l’imputato abbia reso dichiarazioni «in causa propria» e la valutazione probatoria da parte dei giudici dei due gradi di merito si basi sul significato di tali dichiarazioni o sul diverso apprezzamento della loro attendibilità (Sez. 3, n. 16131 del 20/12/2022, dep. 2023, B., Rv. 284493 -02, che ha precisato che la riferibilità dell’obbligo di rinnovazione dibattimentale anche a tali dichiarazioni si desume dal testo dell’art. 603, comma 3bis , cod. proc. pen., essendo il sintagma “prove dichiarative” riferibile a tutte le prove provenienti da dichiaranti, senza distinzioni o limitazioni di sorta; Sez. 5, n. 47794 del 11/11/2022, Salih, Rv. 283981 -01; vedi anche Sez. 6, n. 27163 del 05/05/2022, COGNOME, Rv. 283631 – 01, secondo la quale non sussiste un obbligo di procedere all’esame dell’imputato in appello esclusivamente in ragione della riforma di sentenza assolutoria in decisione di condanna, quando nel corso del giudizio di primo grado non siano state assunte o comunque valutate le dichiarazioni rese dal medesimo).
Il Tribunale, all’esito del giudizio celebrato nelle forme ordinarie, ha prosciolto l’odierno ricorrente ritenendo credibili le dichiarazioni dallo stesso rese nel corso del suo esame dibattimentale, avendo il Siciliano affermato che egli
aveva in buona fede attestato di non avere riportato condanne o sentenze di applicazione di pena passate in giudicato per reati che influissero sulla sua affidabilità morale e professionale, poiché i reati per i quali era stato condannato non erano particolarmente gravi e risalivano all’inizio degli anni ’90, cosicché dovevano ritenersi irrilevanti.
Il Tribunale, sulla base di tali dichiarazioni, ha ritenuto insussistente il dolo.
La Corte di appello ha invece riformato la sentenza di primo grado affermando la penale responsabilità dell’imputato, sostenendo che le condanne per furto e ricettazione da lui patite e la sua sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza erano elementi che contrastavano nettamente con la sua buona fede. Ritenendo, quindi, non credibili le sue affermazioni, è pervenuta ad un ribaltamento della decisione di primo grado.
In applicazione del principio sopra esposto, ai sensi dell’art. 603, comma 3bis , cod. proc. pen., la Corte di appello, per pronunciare condanna, era tenuta alla previa rinnovazione delle prove dichiarative che essa aveva ritenuto di dover diversamente valutare e quindi alla rinnovazione dell’esame dell’imputato, che è stata invece omessa.
Ne deriva che, in accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania. Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania.
Così deciso il 13/05/2025.