Rinnovazione Dibattimento Appello: Non Obbligatoria per Diversa Qualificazione Giuridica
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in tema di processo penale, specificando i limiti entro cui è necessaria la rinnovazione dibattimento appello. La pronuncia chiarisce che, qualora la Corte d’Appello riformi una sentenza di assoluzione basandosi su una mera diversa qualificazione giuridica del fatto, non è tenuta a riaprire l’istruttoria. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.
Il Caso in Esame
La vicenda processuale ha origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Quest’ultima, riformando la decisione assolutoria di primo grado, lo aveva condannato. L’imputato, tramite il suo difensore, lamentava principalmente due violazioni:
1. La mancata rinnovazione del dibattimento, ritenuta necessaria ai sensi dell’art. 603 del codice di procedura penale.
2. Un vizio di motivazione della sentenza d’appello.
Il ricorrente sosteneva che la modifica dell’esito del giudizio da assoluzione a condanna imponesse ai giudici di secondo grado di procedere a una nuova assunzione delle prove. Inoltre, contestava la logicità delle argomentazioni che avevano portato alla sua condanna per il porto di un oggetto atto ad offendere.
La questione cruciale: la rinnovazione dibattimento appello
Il cuore del ricorso si concentrava sulla necessità della rinnovazione dibattimento appello. La difesa argomentava che il cambiamento di giudizio richiedesse una rivalutazione diretta delle fonti di prova. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ritenuto di poter decidere sulla base dello stesso materiale probatorio del primo grado, limitandosi a dare una diversa interpretazione giuridica ai fatti accertati. In particolare, il porto di un attrezzo agricolo durante un alterco era stato considerato privo di giustificato motivo, configurando così il reato contestato.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure manifestamente infondate. Gli Ermellini hanno chiarito la distinzione tra “diversa valutazione della prova dichiarativa” e “diversa qualificazione giuridica del fatto”.
Citando un proprio precedente orientamento (Sez. VI, n. 12397 del 27/02/2018), la Corte ha stabilito che l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria in appello non sussiste quando la decisione si fonda sul medesimo materiale probatorio utilizzato in primo grado e la condanna deriva unicamente da una nuova qualificazione giuridica. Nel caso specifico, i giudici di secondo grado non hanno rivalutato le testimonianze o le dichiarazioni in modo difforme, ma hanno semplicemente applicato una norma penale diversa allo stesso quadro fattuale.
Inoltre, la Corte ha giudicato infondata anche la giustificazione addotta dall’imputato per il porto dell’oggetto. Sebbene l’uomo sostenesse di usare l’attrezzo per tagliare arbusti in montagna, i giudici hanno osservato che tale circostanza non lo legittimava a portarlo con sé costantemente, soprattutto in un contesto di accesa discussione dove poteva essere utilizzato per offendere.
Le Conclusioni: Quando è Evitabile la Rinnovazione Processuale
La decisione consolida un importante principio procedurale: la rinnovazione dibattimento appello è una garanzia essenziale quando il giudice di secondo grado intende ribaltare un’assoluzione basandosi su una diversa lettura delle prove (ad esempio, giudicando un testimone inattendibile quando in primo grado era stato ritenuto credibile). Non è, invece, un passaggio obbligato se il ribaltamento della sentenza deriva da un’analisi giuridica differente dei fatti, che rimangono accertati nello stesso modo in entrambi i gradi di giudizio. Questa ordinanza offre quindi un chiaro criterio distintivo, orientando la prassi giudiziaria e definendo con precisione i confini del diritto alla prova nel giudizio d’appello.
Quando un giudice d’appello che riforma una sentenza di assoluzione è obbligato a rinnovare il dibattimento?
La rinnovazione del dibattimento è obbligatoria quando il giudice d’appello intende basare la sua decisione su una diversa valutazione delle prove dichiarative (es. testimonianze) rispetto al primo grado. Non è invece obbligatoria se la riforma si fonda su una diversa qualificazione giuridica del fatto, utilizzando lo stesso materiale probatorio.
È una giustificazione valida portare con sé un oggetto atto ad offendere sostenendo di usarlo per scopi leciti?
Non necessariamente. Secondo la Corte, anche se un oggetto ha uno scopo primario lecito (come un attrezzo per tagliare rovi), il suo porto non è sempre giustificato. Il contesto è determinante: portarlo durante un’accesa discussione, dove potrebbe essere usato per l’offesa, rende il porto ingiustificato.
Perché la Corte di Cassazione può dichiarare un ricorso inammissibile senza esaminare i fatti?
La Corte di Cassazione svolge un giudizio di legittimità, non di merito. Il suo compito non è riesaminare i fatti del processo, ma controllare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio. Se un ricorso chiede una nuova valutazione dei fatti, viene dichiarato inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2539 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2539 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ASCOLI PICENO il 06/08/1957
avverso la sentenza del 07/03/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole della violazione degli artt. 533 e 603 cod. proc. pen. per la mancata rinnovazione del dibattimento e dell’art. 606, co. 1, lett. e) cod. proc. pen. – no sono consentite in sede di legittimità, oltre ad essere manifestamente infondate.
Invero, con riferimento al primo motivo la Corte di appello di Ancona nella sentenza impugnata evidenzia che, trattandosi di mera diversa qualificazione z,h GLYPH 4’19 giuridica del r’e – à – fòé non di diversa valutazione della prova dichiarativa, non è necessario procedere alla rinnovazione ex art. 603 cod. proc. pen. A tal fine, è utile richiamare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di rinnovazione del dibattimento, il giudice d’appello che riformi la sentenza assolutoria di primo grado per effetto della diversa qualificazione giuridica del fatto, non è tenuto a procedere alla rinnovazione dell’istruttoria ove la sua decisione si sia fondata sul medesimo materiale probatorio utilizzato in primo grado e senza che vi sia stata una difforme valutazione della prova dichiarativa (Sez. VI, n. 12397 del 27/02/2018, Gagliano, Rv.272545).
La Corte giustifica la conclusione cui giunge osservando che nella vicenda di cui trattasi il porto dell’arma era privo di giustificato motivo poiché, essendo stat estratta dall’auto nel momento più acceso della discussione, ben poteva essere utilizzata per l’offesa della persona. Inoltre, pur volendo considerare credibile quanto dichiarato dal ricorrente (ovvero che si serviva di tale arnese per tagliare arbusti e rovi che ostruivano il passaggio in montagna), ciò non legittima il De Santis a girare sempre, in ogni momento con l’oggetto atto ad offendere.
La seconda doglianza non supera il vaglio preliminare di ammissibilità in quanto volta a sollecitare una rilettura alternativa delle fonti probatorie estranee a sindacato di legittimità.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.