Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 28170 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 28170 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Savignano sul Rubicone il 30/9/1936 avverso la sentenza resa il 28 novembre 2024 dalla Corte di appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che è stata richiesta dalle parti la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito l’avv. NOME COGNOME difensore delle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME che, riportandosi alla memoria depositata, ha chiesto dichiararsi l’inammiss ibilità o disporsi il rigetto del ricorso e ha depositato conclusioni scritte e nota spese; udito l’avv. NOME COGNOME difensore delle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME che, riportandosi alla memoria depositata, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o disporsi il rigetto del ricorso e ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
sentito il difensore dell’imputato avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglim ento dei motivi di ricorso e di quelli nuovi, di cui alla memoria trasmessa.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna, riformando la sentenza resa dal Tribunale di Forlì il 10 ottobre 2023, che aveva assolto l’imputato dai reati di truffa aggravata a lui ascritti ai capi A, B, C e H per insussistenza del fatto, in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore generale e dalle parti civili, ha dichiarato la responsabilità di NOME COGNOME in ordine ai reati di truffa a lui ascritti in continuazione, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, da liquidarsi in separato giudizio, oltre al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di 50.000 € in favore di ciascuna parte civile.
Si addebita all’imputato di avere, quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE con artifizi e raggiri, consistiti nell’avere fornito ai promittenti acquirenti informazioni non veritiere e avere omesso di indicare le caratteristiche dell’ immobile oggetto di compravendita, indotto in errore i promittenti acquirenti e così a sottoscrivere il contratto preliminare e poi la compravendita di unità immobiliari adibite a case-vacanze , ai sensi dell’art. 11 l.r.n.16/2004 , che pertanto non potevano essere destinate a casa di abitazione o seconda casa, ma solo a locazione turistica.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza NOME COGNOME deducendo:
2.1. Violazione dell’art. 603 comma 3 bis cod.proc.pen. per non avere la Corte territoriale proceduto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, pur versando in ipotesi di riforma in appello della sentenza assolutoria emessa dal giudice di prime cure.
Come è noto, l’articolo 603 comma 3 bis cod.proc.pen., introdotto dalla l. 23 giugno 2017 n. 103, al fine di dare piena attuazione ai principi che connota nel giusto processo, prevede l’obbligo della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa. Questa formula, secondo la giurisprudenza di legittimità, si riferisce non solo all ‘ attendibilità dei dichiaranti, ma a tutti quei motivi che implicano una diversa interpretazione delle risultanze delle prove dichiarative.
Nel caso di specie gravava sulla Corte territoriale l’obbligo di procedere a detta rinnovazione, in quanto risulta ictu oculi che con l’atto di appello la Procura
generale aveva dedotto l ‘ erronea valutazione degli esami dibattimentali delle persone offese e anche la parte civile appellante si doleva della valutazione di inattendibilità compiuta dal giudice circa gli apporti dichiarativi delle persone offese.
Le motivazioni offerte dalla Corte per non procedere a detta rinnovazione appaiono contraddittorie ed errate, poiché l’addebito contestato all’imputato non poteva che essere provato attraverso le dichiarazioni fornite dai compratori.
Si contesta, in particolare, al COGNOME di avere fornito informazioni non veritiere affermando che l ‘ indisponibilità dell’immobile a fungere come luogo di residenza fosse momentanea e superabile, e di avere taciuto ai contraenti che non avrebbero potuto utilizzare dette unità come propria abitazione, ma solo come strumento di attività imprenditoriale.
Nel caso in esame la Corte non ha attribuito una diversa qualificazione giuridica rispetto ad una ricostruzione del fatto incontroversa, ma ha ribaltato l’esito assolutorio, alla luce di una diversa valutazione delle prove dichiarative acquisite. Di contro, nella sentenza la Corte cerca di agganciare il ribaltamento della decisione su elementi di prova oggettivi e nel contempo non può non attribuire rilievo al presunto silenzio omissivo del COGNOME nel corso delle trattative, il quale non può che emergere dalle risultanze dichiarative delle persone offese. Nella motivazione della sentenza assolutoria emerge che le indicazioni contenute sia nei contratti preliminari di vendita, sia negli atti di stipula non possono essere considerate isolatamente, ma necessitano giocoforza dell’apporto dichiarativo fornito dalle persone offese in merito a quanto fu detto nel corso delle trattative e in sede di stipula. In conclusione la Corte territoriale ha compiuto una rivalutazione complessiva del compendio probatorio e soprattutto delle prove dichiarative in evidente contrasto con quanto disposto dall’art. 603 comma 3 bis cod.proc.pen. .
2.2 Violazione di legge e vizio di motivazione in ragione del mancato assolvimento dell’obbligo di motivazione rafforzata che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, grava sul giudice dell’appello ogni qualvolta ritenga di dover pronunciare sentenza di condanna nei confronti dell’imputato assolto in primo grado. In particolare il giudice di appello in questo caso deve dare una spiegazione diversa rispetto alla ragione giustificativa e deve indicare le ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal primo giudice, confutando specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione impugnata. L’obbligo di motivazione rafforzata è funzionale all’esigenza di assicurare il superamento di ogni ragionevole dubbio, attraverso un esame di tutto il materiale istruttorio acquisito e rilevante ai fini della decisione
Il ricorrente enuncia alcuni elementi valorizzati dalla sentenza di secondo grado quali sintomatici del raggiro posto in essere dall’imputato e li censura: in particolare evidenzia come negli atti di compravendita i contratti contenevano espressamente le clausole che spiegavano la natura del l’immobile acquistato escludendo in radice la ricorrenza di qualsivoglia inganno in capo ai compratori, che i predetti si erano dichiarati consapevoli delle caratteristiche e delle limitazioni d’uso degli immobili compravenduti, come risulta anche dalle liberatorie di responsabilità rilasciate in favore del notaio rogante e firmate da tutti i compratori in cui costoro dichiarano di essere stati ampiamente edotti dei vincoli e dei limiti relativi alla destinazione dell’immobile acquistati.
La sentenza incorre, peraltro, in evidente vizio di motivazione quando afferma che, anche se nelle formalità è stata raccolta una firma dei contraenti su una scrittura privata in cui si descrivevano le caratteristiche dell’immobile, queste caratteristiche non erano contenute nel corpo del rogito rimasto in possesso dei singoli compratori e non erano state adeguatamente loro illustrate. Non va poi trascurato che il notaio NOME COGNOME ha affermato di avere spiegato ai propri clienti che la casa aveva destinazione turistico-ricettiva e non si poteva prendere la residenza in quel luogo, tanto è vero che uno dei promittenti acquirenti tramite mail, chiedeva al COGNOME uno sconto proprio in ragione di questa peculiare caratteristica.
La Corte non ha preso in considerazione questi elementi, incorrendo quindi in una motivazione contraddittoria.
Ulteriori profili di contraddittorietà e di manifesta illogicità della motivazione si rinvengono laddove la Corte offre un ‘ errata interpretazione della nozione di casa e appartamenti per vacanze, ritenendo che siano immobili che possono essere acquistati soltanto da soggetti imprenditoriali, mentre la norma regionale pone dei vincoli solo sulla gestione dei beni, ma non sul potere di disposizione del proprietario e la caratteristica della Cav è la sua gestione in forma imprenditoriale per l’affitto ai turisti, gestione che può essere esercitata anche da chi abbia la proprietà o l’ usufrutto di almeno tre case o appartamenti o li conceda in locazione ad imprese, comprese le agenzie immobiliari. Sicché non può escludersi a priori che l’acquirente di una Cav possa essere un soggetto privato o una persona fisica.
Non va poi trascurato che dalla sentenza di primo grado si legge che non può escludersi ragionevolmente che gli acquirenti, nella consapevolezza delle caratteristiche dell’immobile, abbiano deciso di acquistarlo ugualmente e questa ipotesi, coltivata dalla sentenza di primo grado, non è stata oggetto di alcuna valutazione, sicchè deve ritenersi contraddittoria e insufficiente la prova di uno degli elementi costitutivi del reato.
2.3 Vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e ai benefici di legge poiché la sentenza non offre alcuna motivazione in ordine alla determinazione della pena finale sia detentiva che pecuniaria, in ordine all’eventuale riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed ancora in ordine al mancato riconoscimento di ulteriori benefici, quali la non menzione della condanna.
2.4 Con memoria trasmessa il 12 giugno 2025 il difensore dell’imputato ha proposto motivi nuovi.
Con il primo motivo nuovo ha dedotto che l’appello del Procuratore generale deduceva l’omessa valutazione degli esami dibattimentali delle parti civili richiesta sia dal Procuratore generale con l’atto di appello, sia dalla difesa dell’imputato.
Si tratta di risultanze dichiarative ampiamente valutate dal primo giudice che avrebbero imposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. L’obbligo di rinnovazione dibattimentale è limitato alle testimonianze relativamente alle quali l ‘ attendibilità intrinseca dei dichiaranti sia oggetto di una precisa richiesta di rivalutazione del pubblico ministero, su cui grava l’onere di proporre motivi specifici nel rispetto delle prescrizioni contenute nel novellato art. 581 cod.proc.pen. Anche alla luce di queste prescrizioni, non vi è dubbio che la Corte avesse l’obbligo di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale
Tutto l’apparato argomentativo della sentenza poggia sulle medesime risultanze dichiarative e il ritenuto silenzio del venditore è stato valutato come decisivo ai fini della consumazione della truffa contrattuale; detto accertamento è avvenuto sulla base di quanto riferito proprio dalle persone offese, in una fase in cui non vi sono ulteriori risultanze documentali che possano supportare tale conclusione. A ciò si aggiunga che nel separato giudizio, iniziato a seguito dell’impugnazione del pubblico ministero, la stessa Corte territoriale ha disposto procedersi alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante nuovo esame delle persone offese.
2.5 Con il secondo motivo nuovo nel ribadire il nesso tra l’obbligo di motivazione rafforzata gravante sul giudice dell’appello e la cosiddetta regola bard ,cioè dell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio, ha ribadito che per pronunciare una sentenza di condanna a fronte di una pronunzia assolutoria è necessario rimuovere il dubbio con un ragionamento che ne dimostri l’infondatezza o l’inesistenza. Nel caso in esame la Corte omette di confrontarsi col dubbio ragionevole espresso dalla sentenza di primo grado che COGNOME abbia agito con l’intento fraudolento di carpire la buona fede
dei contraenti, ma costoro abbiano agito nella consapevolezza delle caratteristiche dell’immobile e che abbiano comunque deciso di acquistarlo.
Osserva il ricorrente che su questo aspetto, la sentenza della Corte nulla ha argomentato.
3.2 Con memoria l’avv. NOME COGNOME quale procuratore speciale di NOME COGNOME e NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso proposto.
3.3 Con memoria l’avv. NOME COGNOME quale procuratore speciale di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso proposto, rilevando l’insussistenza della violazione dell’articolo 603 comma tre bis codice di procedura poiché l’obbligo di rinnovazione non discende dal tenore dei motivi di appello articolati dalla parte pubblica ma postula che la diversa interpretazione del prove dichiarative venga effettivamente posta a fondamento della condanna in appello, mentre non sussiste l’obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale quando l’attendibilità della deposizione sia valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello che si limita ad effettuare un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio ovvero ad offrire una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice. Il difensore rileva altresì l’infondatezza del secondo motivo di ricorso sulla adeguatezza della motivazione rafforzata poiché la Corte nella sentenza impugnata ha spiegato che Il venditore omettendo di spiegare la natura del bene offerto in vendita sin dalla fase della pubblicità ha palesato il suo intento fraudolento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è fondato nei limiti che verranno esposti.
1.1 Il primo motivo, incentrato sulla violazione dell’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603 cod.proc.pen., è manifestamente infondato.
Occorre premettere che anche a seguito dell ‘ entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 603 comma 3 bis cod.proc.pen., la giurisprudenza di legittimità ha limitato l’obbligo di rinnovazione alle sole prove dichiarative ritenute decisive e cioè effettivamente utilizzate ai fini della affermazione di responsabilità e che siano state oggetto di diversa valutazione di attendibilità da parte del primo giudice.
Ed infatti le Sezioni unite di questa Corte hanno offerto una interpretazione “restrittiva” del comma 3-bis dell’art. 603 cod. proc. pen. attraverso
l’individuazione di precisi limiti all’obbligo di rinnovazione. E’ stato infatti affermato che «l’espressione utilizzata dal legislatore nella nuova disposizione di cui al comma 3-bis, secondo cui il giudice deve procedere, nell’ipotesi considerata, alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, non equivale infatti alla introduzione di un obbligo di rinnovazione integrale dell’attività istruttoria – che risulterebbe palesemente in contrasto con l’esigenza di evitare un’automatica ed irragionevole dilatazione dei tempi processuali -, ma semplicemente alla previsione di una nuova, mirata, assunzione di prove dichiarative ritenute dal giudice d’appello “decisive” ai fini dell’accertamento della responsabilità, secondo i presupposti già indicati da questa Corte nella sentenza Dasgupta. Coordinando la locuzione impiegata dal legislatore nel comma 3-bis («il Giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale») con quelle – del tutto identiche sul piano lessicale – già utilizzate nei primi tre commi della medesima disposizione normativa, deve pertanto ritenersi che il Giudice d’appello sia obbligato ad assumere nuovamente non tutte le prove dichiarative, ma solo quelle che siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e vengano considerate decisive ai fini dello scioglimento dell’alternativa “proscioglimento-condanna”» (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272431, § 7.2).
A tale rilevante limitazione si associa quella individuata dalla condivisa giurisprudenza che limita l’obbligo di rinnovazione ai casi in cui si invochi la rivalutazione della attendibilità intrinseca delle testimonianze “decisive”, senza estenderlo alle prove dichiarative i cui contenuti siano incontestati, sebbene l’appellante invochi una diversa valutazione dei dati di contesto. Si è infatti affermato che non sussiste l’obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell’assoluzione, quando l’attendibilità della deposizione sia valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, che si limita ad effettuare un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio ovvero ad offrire una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice (Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, COGNOME, Rv. 270471; Sez. 5, n. 47833 del 21/06/2017, Terry, Rv. 273553; Sez. 6, n. 49067 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271503). In conclusione, può essere affermato che l’obbligo” di rinnovazione dibattimentale è limitato alle testimonianze la cui attendibilità intrinseca sia stata negata dal primo giudice e che siano “decisive” per la valutazione della responsabilità. L’obbligo non si estende, invece, alle testimonianze i cui contenuti siano incontestati, ma in relazione alle quali si invoca una diversa valutazione degli elementi di conferma; in relazione a tali testimonianze la rinnovazione è rimessa alla discrezionalità del giudice, che potrà esercitarla nel rispetto delle regole previste dai primi tre commi dell’art. 603 cod. proc. pen.
Ciò posto , deve rilevarsi che con la sentenza impugnata la Corte ha desunto che vi era stata evidente dissimulazione della reale natura e dei limiti all’utilizzo del bene offerto in vendita, valorizzando a tal fine i documenti acquisiti e le mail intercorse tra l’imputato e alcuni dei promittenti acquirenti , che palesano la decisiva omissione in ordine all’effettiva natura del bene offerto in vendita e poi venduto.
A ciò si aggiunga che dal tenore della motivazione di primo grado emerge che le parti civili escusse nel corso del l’istruttoria dibattimentale hanno reso dichiarazioni sostanzialmente sovrapponibili, sostenendo di non essere state debitamente informate in ordine alle caratteristiche del bene promesso in vendita, incompatibile con le loro intenzioni, e di non essere consapevoli del fatto che l’immobile non avrebbe potuto essere destinato ad abitazione, principale o anche solo estiva.
Il Tribunale ha tuttavia ritenuto che le dichiarazioni delle persone offese, pur essendo concordi e sovrapponibili, dovessero essere valutate ai sensi dell’art. 192 comma tre cod.proc.pen. e non vi fossero riscontri obiettivi esterni rispetto a dette dichiarazioni, poiché i contratti preliminari e i contratti definitivi riportavano l’indicazione dell’oggetto del contratto, facendo riferimento all’art. 11 della legge regionale 16/2004, e le parti private avevano sottoscritto in occasione del rogito una liberatoria in favore del notaio, con la quale si dichiaravano consapevoli di acquistare una particolare tipologia di appartamento destinato a casa-vacanze.
La Corte da pagina 12 della sentenza ha motivato il ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado, evidenziando che :
-la pubblicità di vendita degli appartamenti non indicava alcuna limitazione in ordine alla loro destinazione a case di villeggiatura;
-il prezzo di vendita era conforme a quello di appartamenti ad uso residenziale;
-il contenuto dei contratti preliminari era ingannatorio e costituiva un segmento della condotta decettiva posta in essere dal COGNOME, poiché non conteneva l’indicazione della natura giuridica degli appartamenti, nè precisava la condizione che non potevano essere adibiti ad abitazione anche solo estiva e dovevano essere necessariamente affittati a scopo commerciale; solo il contratto preliminare nei confronti di COGNOME utilizzava l’espressione ‘ casa vacanza ‘ senza tuttavia riportare la norma di legge che regola tale tipo di proprietà, né descrivere le caratteristiche, ma facendo riferimento ad una formula apparentemente priva di contenuto giuridico;
-nella mail datata 18 Aprile 2018 si cita una telefonata del giorno prima tra l’odierno imputato e la persona offesa COGNOME nel corso della quale quest’ultimo aveva appreso di non potere godere dell’agevolazione prima casa in relazione
all’appartamento promesso in vendita , e di non potere prendere la residenza nella nuova abitazione e ne ha desunto che la conoscenza di tale divieto è avvenuta solo dopo la stipula del preliminare, a conferma del contegno omissivo del COGNOME e della mancata indicazione di requisiti fondamentali per la vendita nel preliminare;
-solo nei contratti definitivi vi è un accenno alla normativa prevista dall’art. 11 della legge regionale n. 16 del 2024, ma il riferimento è ambiguo e in nessuna parte del contratto viene esplicitato il contenuto dei limiti di utilizzabilità e di destinazione degli immobili compravenduti;
-la condizione e la qualità degli acquirenti, che non sono imprenditori del settore, rende evidente che il loro fine era acquistare una casa al mare per passarvi le vacanze e non un immobile che avrebbe dovuto essere gestito esclusivamente a fini commerciali, tramite locazione a terzi;
-due acquirenti, dopo il rogito, avevano fissato la residenza nell’immobile acquistato, circostanza che trova spiegazione solo nell’ignoranza del l’espresso divieto per esplicito vincolo dell’immobile compravenduto, considerato il rischio di essere coinvolti nell’esecuzione del reato di lottizzazione abusiva;
-anche le liberatorie sottoscritte dalle persone offese e predisposte dal notaio, in cui si dà atto che la parte compratrice è stata ampiamente edotta e che gli immobili erano soggetti ai limiti di utilizzo di cui all’art.11 cit., non erano allegate alle copie in possesso dei singoli compratori, tanto è vero che erano state acquisite solo a seguito di ordine di esibizione diretto allo studio notarile, e riportavano anche la firma non dovuta del COGNOME, a riprova che erano state inserite e sottoscritte insieme ai fogli dei contratti, in un contesto in cui poteva essere sfuggito il loro effettivo contenuto.
La Corte ha poi sottolineato che nel giudizio di impugnazione avverso la sentenza che aveva condannato le persone offese del presente giudizio per il reato di lottizzazione abusiva in concorso con l’odierno ricorrente, il pubblico ministero aveva chiesto l’assoluzione dei compratori per assenza dell’elemento soggettivo.
In conclusione deve ritenersi che la sentenza della Corte territoriale abbia fondato il ribaltamento della decisione assolutoria sulla rivalutazione delle prove documentali che palesano in modo autonomo il comportamento gravemente omissivo dell’odierno ricorrente, che nei documenti esaminati non forniva chiara ed esaustiva informazione alle controparti in ordine ai limiti di utilizzazione dell’immobile che si accingevano ad acquistare e li induceva a sottoscrivere il contratto preliminare e successivamente a stipulare il rogito, ignorando i limiti di utilizzo degli appartamenti offerti in vendita, che imponevano nella sostanza di destinare l’immobile esclusivamente alla locazione turistica, destinazione incompatibile con gli scopi di godimento personale che i predetti coltivavano.
Alla stregua di questa impostazione, deve affermarsi la superfluità della rinnovazione istruttoria relativa alle prove dichiarative poiché, a prescindere dalle argomentazioni dell’appello, l’affermazione di colpevolezza si fonda sull’esame delle risultanze documentali valorizzate dalla Corte, che appaiono da sole idonee a fondare la colpevolezza dell’imputato e, comunque, offrono sicuro riscontro alle concordi accuse delle persone offese, anche qualora le si volessero impropriamente valutare ai sensi dell’ art. 192 comma 2 cod.proc.pen..
Sotto altro profilo deve rilevarsi la genericità della censura formulata dalla difesa, che si limita con il ricorso a lamentare la mancata rinnovazione della attività istruttoria, senza indicare in modo specifico quali prove dichiarative avrebbero dovuto ritenersi decisive ed essere riassunte, considerato che oltre alle persone offese nel corso del giudizio di primo grado erano stati escussi anche l’imputato e il notaio rogante.
1.2 Anche il secondo motivo di ricorso, con cui si deduce il mancato rispetto della motivazione rafforzata nella sentenza di secondo grado, è infondato, poiché la Corte ha esplicitamente smentito, sotto numerosi profili, la ricostruzione in termini dubitativi offerta dalla sentenza di primo grado, sottolineando come dal tenore dei documenti acquisiti e delle mail scambiate emerga il mancato rispetto dell’obbligo di una puntuale ed esaustiva informazione sui limiti e sulle caratteristiche del bene offerto in vendita e la chiara volontà decettiva del venditore, che pure era a conoscenza della pendenza di un procedimento penale a suo carico.
Neppure è vero che la Corte non abbia preso in considerazione ed escluso la ricostruzione alternativa coltivata dal tribunale secondo cui, pur nella consapevolezza dei limiti connaturati alla destinazione a casa vacanza degli appartamenti venduti, le persone offese avessero deciso di acquistare, poiché la motivazione ha sia pure implicitamente smentito detta ricostruzione valorizzando diversi elementi di fatto incontestati tra cui il prezzo degli appartamenti, allineato al mercato; la condizione degli acquirenti, che non erano soggetti imprenditoriali, e acquistavano per destinare gli appartamenti a casa di villeggiatura o addirittura a prima casa; la circostanza che anche dopo la stipula del preliminare COGNOME avesse continuato a celare ai promittenti acquirenti il contenuto dell’art. 11 della legge regionale n. 16/2004, omissando le pagine della direttiva COGNOME che recava queste informazioni; la costatazione che la dichiarazione liberatoria del notaio rogante, individuato per tutti gli atti dall’imputato, non fosse stata consegnata in copia agli acquirenti; che lo sconto accordato al COGNOME fosse legato alla impossibilità di acquistare con i benefici della prima casa, ma non a soli fini imprenditoriali; che infatti alcuni proprietari dopo il rogito avessero fissato la propria residenza
nell’immobile acquistato, a riprova della loro ignoranza circa i l fatto che i limiti di destinazione del bene li esponevano a conseguenze penali.
1.3 Il terzo motivo è fondato poiché la sentenza non espone alcuna motivazione a sostegno della scelta del trattamento sanzionatorio; non distingue tra pena base , considerato che è stata contestata anche l’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod.pen., e aumento per i reati satellite in continuazione; non formula alcuna valutazione in ordine alla possibilità di concedere eventuali benefici di legge.
2.La fondatezza del ricorso in ordine al trattamento sanzionatorio impone di prendere in considerazione le cause estintive del reato intervenute sino alla data dell’odierna pronunzia e di dichiarare estinte per intervenuta prescrizione le condotte contestate al capo B e commesse in epoca antecedente al 3/8/2017 (data di entrata in vigore della l. 23 giugno 2017 n. 103).
Per le ragioni sin qui esposte si impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio per le condotte successive al 2 agosto 2017, in ordine alle quali l’affermazione di responsabilità deve ritenersi definitiva.
Nel rispetto del principio di soccombenza, l’imputato va condannato altresì alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenuta nel presente grado di giudizio dalle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME che in ragione del nuemro delle parti rappresentate si ritiene di liquidare nella somma complessiva di euro 4500 oltre accessori di legge, nonché di quelle sostenute dalle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che per analoghe ragioni si ritiene congruo liquidare complessivamente nella somma di euro 7000,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle condotte di cui al capo B antecedenti la data del 3/8/2017 perché estinte per prescrizione e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna in ordine al trattamento sanzionatorio
Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità d el ricorrente per le condotte successive al 2/8/2017.
Condanna inoltre l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME COGNOME ed NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 4500,000 oltre accessori di legge e dalle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME
COGNOME e NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 7.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 2/7/2025