Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 43724 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 43724 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a CAGLIARI il 14/02/1968
avverso la sentenza del 30/01/2024 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME
COGNOME
che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Cagliari, in data 30 gennaio 2024, in riforma della sentenza di assoluzione del Tribunale di Cagliari di NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’art. 589 cod. pen. in danno di NOME COGNOME commesso in Selargius il 21 agosto 2017, con la formula perché il fatto non costituisce reato, lo ha ritenuto responsabile del reato a lui ascritto e condannato alla pena ritenuta di giustizia.
La dinamica dell’incidente, sulla quale non vi è alcuna contestazione, è stata così ricostruita nelle sentenze di merito. All’alba del 21 agosto 2017, Sanna, mentre percorreva alla guida del proprio veicolo Toyota la strada statale 554, strada extraurbana secondaria, in un tratto rettilineo e ben mantenuto con piena visibilità, giunto all’altezza del chilometro 8,500 alla velocità di 110 km/h superiore a quella di 90 km/h ivi imposta, aveva investito il pedone NOME COGNOME intento ad attraversare la strada, cagionandone la morte.
L’addebito di colpa contestato all’imputato nel capo di imputazione era descritto come negligenza, imprudenza e imperizia e inosservanza degli artt. 141, 142 e 143 d.lgs 30 aprile 1992 n. 285, per avere occupato la corsia di sorpasso e per non avere regolato la velocità.
Il Tribunale aveva ritenuto non ravvisabile in capo all’imputato alcun profilo di colpa causalmente rilevante rispetto all’evento: il consulente del pubblico ministero aveva concluso che l’evento si sarebbe verificato ugualmente se Sanna avesse tenuto la velocità di 90 km/h e che tale evento avrebbe potuto essere evitato solo alla velocità di 66 km/h alla quale avrebbe avuto il tempo di avvistare la vittima. Secondo il Tribunale non poteva dirsi violata la regola cautelare di cui all’articolo 141 CdS, poiché le condizioni in loco non imponevano all’imputato di limitare la velocità fino al limite ritenuto utile per evitare l’impatto, potendo fare affidamento sul fatto che nessun pedone ragionevole si sarebbe avventurato ad attraversare la carreggiata, vedendo sopraggiungere un veicolo ad alta velocità.
La Corte di Appello ha, invece, osservato che la strada sulla quale si era verificato il sinistro era “inglobata in area ad elevato insediamento urbano” e che, dunque, l’attraversamento del pedone era prevedibile. Ne conseguiva che, nel caso di specie, l’imputato era tenuto a mantenere la velocità entro limiti che gli avrebbero consentito di arrestare la marcia in presenza di qualsiasi ostacolo prevedibile.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo di difensore, formulando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione per non avere la Corte di Appello articolato una motivazione rafforzata idonea a confutare in modo adeguato i passaggi attraverso cui il Tribunale era giunto alla pronuncia assolutoria. In particolare il difensore osserva che il Giudice di primo grado, con riferimento specifico alla violazione di cui all’art. 141 CdS, aveva spiegato come tale norma cautelare abbia natura elastica e debba essere rapportata al caso concreto, non potendo la velocità adeguata essere fatta coincidere con la velocità che avrebbe potuto evitare la verificazione dell’evento; come, nel caso in esame, non fosse ragionevolmente prevedibile l’attraversamento della strada da parte della persona offesa nonostante il veicolo in arrivo; infine come la persona offesa, indossante abbigliamento scuro, non fosse visibile. La Corte non si era confrontata con tali passaggi argomentativi, analitici e puntuali, ma si era limitata a riprendere un’affermazione del Consulente Tecnico del Pubblico Ministero, secondo cui la strada sarebbe stata inglobata in area ad elevato insediamento urbano, sicché l’attraversamento del pedone non poteva essere considerato imprevedibile. La Corte non avrebbe spiegato come un’affermazione del consulente, apparentemente in contrasto con la foto inserita nella consulenza versata in atti, nella quale non si nota alcun insediamento antropico, fosse idonea a incidere in modo dirimente sul giudizio di responsabilità e non avrebbe spiegato perché tale eventuale caratteristica avrebbe dovuto fare parte del patrimonio conoscitivo di Sanna.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione con riferimento alla prevedibilità del pericolo, ex art. 141 CdS. La Corte di Appello avrebbe fondato la prevedibilità dell’evento sull’affermazione del Consulente Tecnico del Pubblico Ministero, Ing. COGNOME secondo il quale, essendo la strada teatro dell’incidente inglobata in area ad elevato insediamento umano, la presenza di persone in attraversamento era da ritenersi certamente circostanza prevedibile, ma non aveva tenuto conto che il Tribunale, in replica a tale affermazione, aveva osservato trattarsi, pur sempre, di un’arteria extraurbana a scorrimento veloce, composta da due corsie per senso di marcia e costeggiata sulla destra, nel tratto interessato, da campi. Il percorso argomentativo della Corte, prosegue il difensore, sarebbe, comunque, contraddittorio in quanto, da un lato, qualifica la strada come extraurbana e, dall’altro, la descrive come inglobata in un’area ad alto insediamento urbano
2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge ed in specie dell’art. 141 CdS. Il difensore lamenta che la Corte, nell’affermare che Sanna avrebbe dovuto mantenere una velocità tale da consentirgli di arrestare la marcia in caso di presenza di pedoni e nel valutare che tale velocità avrebbe dovuto essere di 66 km/h, aveva operato una valutazione erronea in quanto fondata su un giudizio ex post, ovvero ricavato a posteriori.
2.4. Con il quarto motivo, ha dedotto la violazione di legge ed in specie dell’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen. Il difensore osserva che la Corte di appello, nel riformare la sentenza assolutoria di primo grado, aveva valorizzato la deposizione del Consulente Tecnico del PM secondo cui la strada ove si era verificato il sinistro era inglobata in un’area ad elevato insediamento urbano, ed in tal modo aveva operato una diversa valutazione delle dichiarazioni rese dal consulente, rispetto a quella del Tribunale. Ai sensi dell’art. 603 comma 3 bis cod. proc. pen., pertanto, avrebbe dovuto rinnovare l’esame di detto consulente al fine di chiarire la sua affermazione, tenuto conto che alla consulenza erano allegate foto ove di tale inglobamento non vi era traccia alcuna.
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato con riferimento al primo ed al terzo motivo, relativi alla violazione dell’obbligo della motivazione rafforzata e alla violazione dell’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen., di carattere assorbente rispetto agli altri.
Quanto alla motivazione rafforzata si ricorda che, secondo le Sezioni Unite, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente GLYPH i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U. n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv.231679-01). Il principio, costantemente ribadito nella successiva giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Sez. 5. n.48355 del 18/11/2022, Nuara, n.m.; Sez. 6 n. 10130 del 20/01/2015 Marsili, Rv. 262907-01), muove dal rilievo che l’art. 533, comma 1, cod. proc. pen. prevede che il giudice possa pronunciare sentenza di condanna se l’imputato
risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio: perché possa dirsi effettivamente realizzato, nel caso di ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado, il superamento di ogni ragionevole dubbio, è necessario il confronto del giudice di appello con gli argomenti posti a fondamento della prima sentenza e la persuasiva confutazione degli stessi.
affermato che la diversa valutazione della prova dichiarativa «riguarda l’ipotesi in cui il giudice d’appello interpreti le risultanze delle prove dichiarative in termi antitetici rispetto alle conclusioni assunte in primo grado». Nel medesimo senso si è orientata la giurisprudenza successiva. Si è ritenuto, infatti, che, quando intende riformare il giudizio liberatorio di primo grado, il giudice di appello non è sempre tenuto a disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ma tale obbligo sussiste solo se la valutazione di attendibilità riguarda prove orali decisive (tra le altre: Sez. 5, n. 6403 del 16/9/2014, Preite, Rv. 262674; Sez. 5, n. 25475 del 24/2/2015, COGNOME, Rv. 263903).
In questa cornice interpretativa, la legge 7 giugno 2017, n. 103 ha introdotto nell’art. 603 cod. proc. pen. il comma 3 bis in base al quale «in casi di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale». In tal modo il principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, sulla scorta della giurisprudenza sovranazionale, è stato codificato con espressa previsione normativa dell’obbligo di rinnovazione.
In continuità con questa impostazione si colloca anche Sezioni Unite Pavan (Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Rv. 275112), secondo cui le dichiarazioni rese dal perito o dal consulente tecnico nel corso del dibattimento, in quanto veicolate nel processo a mezzo del linguaggio verbale, costituiscono prove dichiarative, sicché sussiste, per il giudice di appello, che, sul diverso apprezzamento di esse, fondi la riforma della sentenza di assoluzione, l’obbligo di procedere alla loro rinnovazione dibattimentale attraverso l’esame del perito o del consulente, mentre analogo obbligo non sussiste ove la relazione scritta del perito o del consulente tecnico sia stata acquisita mediante lettura, ivi difettando la natura dichiarativa della prova. Secondo Sez. U. Pavan “per il nuovo comma 3-bis, ciò che è essenziale è che il giudice d’appello, ove ritenga di dare una lettura diversa della suddetta prova, abbia l’obbligo (non più la facoltà) di rinnovare l’istruttoria perché solo tal metodo è stato ritenuto idoneo a dissipare i dubbi e le incertezze insorti sulla colpevolezza dell’imputato: libero, poi, il giudice di appello, una volta rinnovata l’istruttoria, anche di andare in contrario avviso del giudice di primo grado e, quindi, di condannare l’imputato, fornendo una motivazione (rafforzata) che, ove sia congrua e coerente con la prova espletata, resta incensurabile in sede di legittimità».
Dunque, il giudice di appello, per riformare in peius una sentenza assolutoria, nel caso in cui i consulenti o periti sulle cui valutazioni si è fondata la pronuncia assolutoria siano stati sentiti nel corso del processo, non può basarsi sulla mera
rivalutazione delle perizie e delle consulenze in atti, ma deve procedere al riascolto degli autori dei predetti elaborati già sentiti nel dibattimento di primo grado, altrimenti determinandosi una violazione del principio del giusto processo, ai sensi dell’art. 6 CEDU.
4. L’obbligo della motivazione rafforzata è concorrente con quello di procedere a rinnovazione istruttoria ex art. 603, comma 3 bis cod. proc. pen. Quest’ultimo attiene alla individuazione del materiale di prova che il giudice di appello è tenuto a valutare, mentre il primo concerne i criteri da seguire nella valutazione delle risultanze istruttorie acquisite, anche in forza di quanto disposto dall’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen., nonché l’esplicitazione dei canoni di apprezzamento effettivamente seguiti al fine di consentirne il controllo in sede di impugnazione (Sez. 3, n. 16131 del 20/12/2022, dep. 2023, B., Rv. 284493-03)
Nel caso in esame, la pronuncia assolutoria di primo grado poggia proprio
sulle dichiarazioni rese in dibattimento dal Consulente Tecnico.
Nella sentenza il giudice ha, infatti, specificato che “a pari condizioni di visibili per consentire l’arresto tempestivo del veicolo, come richiesto dalla norma, il COGNOME avrebbe dovuto marciare ad una velocità di 66 km/h, velocità ritenuta dallo stesso consulente del Pubblico Ministero ingiustificatamente bassa, avuto riguardo a quel tratto specifico di strada e ai rischi ragionevolmente prevedibili ex ante”. Il giudice ha proseguito affermando che:
-ancorché in alcuni punti la SS 554 risulti inglobata nel tessuto urbano, la strada è pur sempre un’arteria extraurbana a scorrimento veloce, composta da due corsie per senso di marcia, costeggiata nel tratto interessato dal sinistro sulla destra da campi e completamente rettilinea e priva di ostacoli alla visuale;
-i veicoli che si avvicinano possono essere visti a notevole distanza, anche in considerazione che su tali tipi di strade è obbligatorio l’uso dei fari.
Di conseguenza – ha argomentato il Tribunale sulla scorta di quanto sostenuto anche dall’ing. COGNOME all’udienza del 29 marzo 2022- in considerazione delle condizioni del tratto di strada in cui si è verificato l’incidente, dell’ora notturn della presenza di intersezioni, al fine di rispettare la disposizione di cui all’art. 1 C.d.S., il COGNOME, in base ad una valutazione ex ante, avrebbe dovuto tenere una velocità prossima al limite di 90 Km/h, ma, se anche avesse rispettato tale limite ed avesse avuto una pronta reazione di fronte all’ostacolo, azionando subito il freno, l’evento mortale si sarebbe probabilmente ugualmente verificato, in quanto,
tenuto conto del tempo di reazione e della visibilità dell’ostacolo, il prevenuto avrebbe comunque impattato il pedone a velocità sostenuta.
A fronte di tale percorso argonnentativo, la Corte, come rilevato dal ricorrente, si è limitata a richiamare l’affermazione del Consulente per cui la strada era inglobata in area ad alto insediamento urbano e a desumere da tale affermazione la prevedibilità in concreto, ex ante, della presenza del pedone. La Corte territoriale è, dunque, pervenuta ad una valutazione diversa in termini di imprevedibilità del comportamento del pedone rispetto al giudice di primo grado all’esito di una rivisitazione delle dichiarazioni rese dal Consulente Tecnico, senza avere, tuttavia, rinnovato l’esame del consulente e senza avere confutato specificamente le argomentazioni del primo giudice a sostegno della pronuncia assolutoria.
6.La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari.