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Rimozione microspie: la condanna per corruzione

La Corte di Cassazione conferma la condanna per la rimozione di microspie da parte di un tecnico che lavorava per una ditta appaltatrice della Procura. La sentenza stabilisce che il tecnico, agendo su richiesta di membri di un’associazione criminale per rimuovere una cimice da lui stesso installata, mantiene la qualifica di incaricato di pubblico servizio. Di conseguenza, risponde dei reati di corruzione e danneggiamento di sistemi di pubblica utilità, con l’aggravante di aver agevolato un’organizzazione mafiosa. Gli appelli degli intermediari sono stati dichiarati inammissibili.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rimozione Microspie: Corruzione e Responsabilità del Tecnico

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21225/2025, ha affrontato un caso complesso relativo alla rimozione microspie da parte di un tecnico specializzato. La decisione è di fondamentale importanza perché chiarisce i confini della responsabilità penale per chi, pur agendo in veste ‘privata’, sfrutta conoscenze e ruoli derivanti da un rapporto con l’autorità giudiziaria. La Corte ha confermato la condanna per corruzione e danneggiamento aggravato, stabilendo principi chiave sulla figura dell’incaricato di pubblico servizio.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria ha origine dall’operato di un tecnico specializzato, dipendente di una società che aveva l’esclusiva per l’installazione di microspie per conto della Procura della Repubblica. Questo tecnico, su richiesta di un intermediario, a sua volta contattato da un esponente di un noto clan camorristico, ha accettato una somma di denaro per effettuare una ‘bonifica’ nell’ufficio di un imprenditore vicino al clan.

Durante l’operazione, il tecnico ha individuato e rimosso una microspia che egli stesso aveva precedentemente installato per conto della Direzione Distrettuale Antimafia. Per questi fatti, sia il tecnico che gli intermediari sono stati condannati in primo e secondo grado per corruzione, danneggiamento di sistemi informatici di pubblica utilità, con l’aggravante di aver agevolato l’attività di un’associazione mafiosa.

L’Analisi della Corte sulla Rimozione Microspie e la Qualifica Pubblica

Il punto centrale del ricorso del tecnico riguardava la sua qualifica soggettiva. La difesa sosteneva che, al momento della bonifica, egli non stesse agendo come incaricato di pubblico servizio, ma come un privato, e quindi non potesse essere accusato di corruzione.

La Corte di Cassazione ha rigettato questa tesi, richiamando l’art. 360 del codice penale. Secondo i giudici, la qualifica di incaricato di pubblico servizio non cessa al termine del singolo incarico ufficiale. Esiste un ‘rapporto funzionale’ tra la qualità pubblica e il reato commesso. Nel caso specifico, l’attività illecita di rimozione microspie era stata resa possibile proprio dall’esperienza, dalla competenza e dalle informazioni acquisite dal tecnico durante lo svolgimento del suo servizio pubblico. Egli era stato ingaggiato proprio perché esperto nell’installazione e nell’uso di dispositivi di captazione per conto delle autorità inquirenti. Questa stretta inerenza tra la sua funzione e l’atto illecito ha reso la sua condotta penalmente rilevante come corruzione.

La Distruzione della Microspia e l’Aggravante Mafiosa

Un altro motivo di ricorso contestava il reato di danneggiamento (art. 635-quinquies c.p.), sostenendo che la microspia fosse già stata disattivata e quindi la sua rimozione non avesse causato un danno. La Corte ha respinto anche questa argomentazione. Ha chiarito che una microspia, anche se temporaneamente inattiva, rimane una componente di un sistema informatico di pubblica utilità. La sua rimozione fisica incide sulla funzionalità del sistema, impedendone un eventuale futuro riutilizzo e configurando quindi il reato contestato.

Infine, è stata confermata l’aggravante di aver agevolato un’associazione mafiosa (art. 416-bis.1 c.p.). Per la Corte, la natura dell’incarico, la qualità criminale dei committenti e l’obiettivo di neutralizzare le indagini rendevano evidente la consapevolezza del tecnico di agire a favore del clan. Anche se il suo movente principale era economico, era innegabile la sua partecipazione alla finalità agevolativa richiesta dagli esponenti del sodalizio.

Le Motivazioni

La Corte ha rigettato il ricorso del tecnico, ritenendo infondate tutte le censure. La sua responsabilità per corruzione è stata confermata in virtù del nesso funzionale tra il suo ruolo di incaricato di pubblico servizio e l’attività illecita svolta. La rimozione microspie è stata possibile solo grazie alle sue competenze specifiche acquisite lavorando per lo Stato. Il reato di danneggiamento sussiste perché la rimozione ha compromesso la funzionalità del sistema di intercettazione. L’aggravante mafiosa è stata ritenuta configurabile data la palese consapevolezza di ostacolare le indagini su un clan criminale. I ricorsi degli altri imputati sono stati dichiarati inammissibili perché miravano a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio di diritto cruciale: chi svolge un pubblico servizio non può spogliarsi di tale qualifica quando compie atti illeciti strettamente connessi a quella funzione. La decisione rafforza la tutela degli strumenti investigativi e riafferma la gravità di qualsiasi condotta che, direttamente o indirettamente, finisca per favorire le organizzazioni criminali, neutralizzando l’azione dello Stato.

Un tecnico che installa microspie per la Procura commette corruzione se le rimuove privatamente per un criminale?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la qualifica di ‘incaricato di pubblico servizio’ non cessa con il singolo incarico. Se l’atto illecito è reso possibile dall’esperienza e dalla funzione pubblica esercitata, anche se svolto al di fuori di un compito specifico, si configura il reato di corruzione per via del nesso funzionale tra ruolo e condotta.

La distruzione di una microspia non più attiva è considerata un reato?
Sì. La sentenza chiarisce che la rimozione di una microspia, anche se disattivata da remoto, incide sulla funzionalità del sistema informatico di intercettazione. Poiché ne impedisce un eventuale riutilizzo futuro, integra il reato di danneggiamento di sistemi informatici di pubblica utilità.

Perché è stata confermata l’aggravante di aver agevolato un’associazione mafiosa?
L’aggravante è stata confermata perché l’attività di ‘bonifica’ era palesemente orientata a impedire le indagini nei confronti degli appartenenti a un noto clan. La Corte ha ritenuto che il tecnico fosse consapevole di questa finalità, data la qualità criminale dei committenti, rendendo irrilevante che il suo movente principale fosse quello economico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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