Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25947 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25947 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Milazzo il 01/08/1998
avverso l’ordinanza emessa in data 23/12/2024 dal Tribunale di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Messina ha rigettato la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME e ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina, che in data 18 novembre 2024 ha disposto nei suoi confronti la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere.
In queste ordinanze COGNOME è stato ritenuto gravemente indiziato del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., contestato al capo 2) dell’imputazione cautelare, in quanto sarebbe stato partecipe dell’associazione a delinquere di tipo mafioso noto
come “famiglia mafiosa dei barcellonesi”, operante sul versante tirrenico della provincia di Messina e a Barcellona Pozzo di Gotto.
L’avvocato NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso questa ordinanza e ne ha chiesto l’annullamento., deducendo tre motivi.
2.1. Con il primo motivo di ricorso il difensore ha censurato l’inosservanza degli artt. 273 e 292 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione solo apparente dell’ordinanza genetica.
Il giudice per le indagini preliminari avrebbe, infatti, riprodotto in modo acritico, per mezzo del copia-incolla, la motivazione del Pubblico Ministero, confondendo la posizione del ricorrente con quella ben diversa del coindagato NOME COGNOME
2.2. Con il secondo motivo il difensore ha eccepito la violazione degli artt. 273 e 274 cod. proc. pen. e il vizio della motivazione.
Il Tribunale del riesame non avrebbe affrontato i temi proposti in sede di riesame e non avrebbe valutato correttamente gli elementi probatori ritenuti a carico del ricorrente.
In particolare, il difensore deduce l’insussistenza di un’associazione criminale, in quanto unico gestore degli affari illeciti contestati sarebbe stato NOME COGNOME padre del ricorrente.
La posizione di quest’ultimo sarebbe del tutto marginale e l’unica sua partecipazione sarebbe da ricondurre a una espressa volontà del padre NOME di trovargli una sistemazione lavorativa per mezzo delle ditte edili impegnate nella realizzazione dei lavori di efficientamento energetico del “superbonus 110”.
Il ricorrente non si sarebbe mai relazionato con gli altri presunti correi, NOME COGNOME e NOME COGNOME e non avrebbe offerto alcun contributo al programma criminoso contestato, se non mediante sporadici colloqui con il padre, giustificabili per via del rapporto filiale, ma del tutto insufficienti a configurare reato contestato.
2.3. Con il terzo motivo il difensore ha dedotto l’inosservanza degli artt. 273, 274, 275 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione per assenza dei requisiti della concretezza e della attualità delle esigenze cautelari.
Il compendio indiziario era già noto, per espressa indicazione contenuta nel provvedimento impugnato, dal 2020, come emerge dagli atti del separato procedimento 341/2020 R.G.N.R., nel quale il ricorrente è stato indagato per intestazione fittizia di beni. Sarebbe pertanto ingiustificata la misura custodiale applicata, in quanto intervenuta a distanza di tre anni dai fatti contestati.
La misura cautelare, inoltre, deve ritenersi illegittima, perché, posto che il ricorrente agiva su indicazione del padre NOME COGNOME lo stato detentivo di
quest’ultimo, in regime di 41-bis ordin. penit., priverebbe di concretezza e attualità le esigenze in questione.
2.4. Il difensore ha depositato, unitamente al ricorso per cassazione, istanza di rimessione nel termine ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen., in quanto il tardivo deposito dello stesso era dovuto al malfunzionamento del servizio di posta elettronica certificata.
Nell’istanza di rimessione in termini il difensore ha rilevato che l’ordinanza di rigetto della richiesta di riesame proposta da COGNOME / emessa dal Tribunale di Messina / è stata notificata in data 15 gennaio 2025 e che ha proposto ricorso per cassazione in data 24 gennaio 2025, depositandolo mediante posta elettronica certificata.
Soltanto in data 19 marzo 2025 il difensore si, tuttavia, era accorto che, probabilmente a causa di problematiche di connessione, l’invio del ricorso alla casella di posta elettronica del Tribunale di Messina non era andata a buon fine.
Le problematiche informatiche prospettate integravano un caso di caso fortuito o di forza maggiore idonea a legittimare la remissione in termini ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen. per la proposizione del ricorso per cassazione.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 10 aprile 2025, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto tardivamente.
Il ricorso è stato tardivamente proposto, in quanto l’avviso di deposito dell’ordinanza del Tribunale del riesame di Messina emessa nei confronti NOME COGNOME è stata notificato al difensore in data 15 gennaio 2025 e il ricorso presente in atti non risulta ritualmente depositato nel termine di dieci giorni da tale data, secondo quanto sancito dall’art. 311, comma 1, cod. proc. pen.,
Manifestamente infondata è, inoltre, la richiesta di rimessione in termini proposta dal difensore.
L’art. 175 cod. proc. pen. sancisce che «l pubblico ministero, le parti private e i difensori sono restituiti nel termine stabilito a pena di decadenza, se provano di non averlo potuto osservare per caso fortuito o per forza maggiore».
La giurisprudenza di legittimità, nell’interpretare questa disposizione, ha rilevato che, in tema di restituzione nel termine per caso fortuito o per forza
maggiore, l’impedimento al tempestivo esercizio del diritto di impugnazione deve presentare connotazioni oggettive, e non essere quindi comunque riconducibile a comportamenti del soggetto interessato, salvo che questi risultino condizionati da fattori esterni in termini assoluti (Sez. 6, n. 27833 del 24/03/2015, Manzara, Rv. 263841-01, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva escluso la sussistenza della forza maggiore in relazione al mancato inoltro di un atto di appello mediante raccomandata determinato da una interruzione del servizio postale, che, però, per il suo carattere temporaneo, non aveva impedito la spedizione di altre raccomandate in orario successivo a quello della disfunzione, e comunque ancora utile per la proposizione dell’impugnazione).
La ricorrenza nel caso di specie di questi presupposti di fattispecie, tuttavia, non è stata documentatkdal difensore istante.
Il difensore ha, infatti, documentato, con la produzione di una e-mail datata 9 gennaio 2025, solo le lamentele rivolte al proprio gestore del servizio Internet per i disservizi verificatisi dal 7 gennaio 2025, ma non già il malfunzionamento della propria connessione nella data di invio del ricorso.
Peraltro, proprio la conoscenza da parte del difensore di pregressi episodi di malfunzionamento della connessione Internet avrebbe dovuto imporre una maggiore cautela, mediante la tempestiva verifica dell’effettiva ricezione del ricorso da parte della cancelleria del Tribunale di Messina o, comunque, il ricorso ad altra connessione Internet, maggiormente sicura, per provvedere tempestivamente al deposito telematico.
La giurisprudenza di legittimità ha, peraltro, rilevato, l’esistenza di un onere, in capo al difensore, di effettuare ogni intervento tecnico necessario a garantire l’efficiente funzionamento della posta elettronica in uso al proprio studio, restando a suo carico ogni conseguenza derivante da non idonea gestione dei propri strumenti informatici (Sez. 6, n. 51137 del 15/11/2019, D., Rv. 278060-01; Sez. 5, n. 11241 del 18/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276022; cfr. anche, Sez. 6, n. 20316 del 07/05/2015, COGNOME, Rv. 263411, con riferimento al fax in dotazione allo studio legale).
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrenteversi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma i-
ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 21/05/2025.