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Rimedio risarcitorio detenuti: quando il ricorso è nullo

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un detenuto per il rimedio risarcitorio previsto dall’art. 35-ter Ord. Pen. Il motivo risiede nella genericità dell’istanza, che non specificava i fatti materiali e le violazioni concrete dell’art. 3 CEDU. La Corte ha sottolineato che non è sufficiente richiedere l’applicazione dell’istituto, ma è necessario indicare con precisione le circostanze che si ritengono lesive della dignità. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rimedio risarcitorio detenuti: perché un ricorso generico è destinato al fallimento

Il rimedio risarcitorio per i detenuti, previsto dall’articolo 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario, rappresenta una tutela fondamentale contro le condizioni di detenzione inumane e degradanti. Tuttavia, per attivare con successo questo strumento, non è sufficiente una semplice lamentela. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i requisiti di specificità che un ricorso deve possedere per non essere dichiarato inammissibile.

I Fatti del Caso

Un detenuto presentava un’istanza al Magistrato di Sorveglianza di Salerno per ottenere il risarcimento previsto dall’art. 35-ter, lamentando le condizioni subite durante i periodi di detenzione trascorsi nelle carceri di Bari e Salerno. L’istanza, tuttavia, veniva considerata troppo generica e, di conseguenza, il Magistrato di Sorveglianza la dichiarava inammissibile.

Non soddisfatto della decisione, il detenuto proponeva ricorso per Cassazione, contestando la valutazione del primo giudice. Il caso giungeva così all’esame della Suprema Corte per una decisione definitiva sulla questione procedurale.

La Decisione della Corte sul Rimedio Risarcitorio Detenuti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19906/2024, ha confermato la decisione del Magistrato di Sorveglianza, dichiarando il ricorso inammissibile. Secondo gli Ermellini, l’appello del detenuto non mirava a censurare specifici errori giuridici del provvedimento impugnato, ma tendeva a sollecitare una nuova e non consentita valutazione del merito dei fatti.

La Corte ha stabilito che la richiesta iniziale era carente degli elementi essenziali per poter essere accolta. Il ricorrente si era limitato a chiedere l’applicazione del beneficio senza fornire alcun dettaglio concreto a supporto della sua domanda.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione risiede nel principio di specificità del ricorso. La Corte ha ribadito che, per ottenere il rimedio risarcitorio per i detenuti, non è sufficiente invocare la norma, ma è indispensabile indicare in modo preciso “il fatto materiale che sorregge la domanda e le relative violazioni dell’art. 3 CEDU che ritenga di aver subito e gli istituti penitenziari in cui le stesse si siano verificate”.

In altre parole, il detenuto ha l’onere di allegare e descrivere puntualmente le circostanze specifiche che, a suo avviso, costituiscono un trattamento inumano o degradante. Questo può includere, ad esempio, il sovraffollamento della cella, la carenza di servizi igienici, la mancanza di cure mediche adeguate o altri fattori lesivi della dignità umana. Senza questi elementi fattuali, il giudice non è in condizione di valutare la fondatezza della richiesta.

La Corte ha ritenuto corretta la valutazione del Magistrato di Sorveglianza, il quale aveva respinto l’istanza proprio perché non erano state indicate le ragioni concrete che determinavano la presunta violazione dei parametri stabiliti dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Le Conclusioni

Questa pronuncia della Cassazione offre un’importante lezione pratica: l’accesso alla giustizia e ai rimedi previsti dalla legge richiede il rispetto di oneri procedurali ben precisi. Il rimedio risarcitorio per i detenuti è un diritto, ma per esercitarlo efficacemente è necessario formulare un’istanza dettagliata e circostanziata. Un ricorso generico, che non fornisce al giudice gli elementi di fatto su cui basare la propria decisione, è destinato a essere dichiarato inammissibile. La conseguenza non è solo il mancato risarcimento, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso di specie, con la condanna al versamento di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Perché il ricorso per il rimedio risarcitorio è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché era generico. Il detenuto non ha specificato i fatti concreti, né le modalità con cui i suoi diritti, garantiti dall’art. 3 della CEDU, sarebbero stati violati durante la detenzione, limitandosi a una richiesta generale di applicazione del rimedio.

Cosa deve contenere una richiesta di risarcimento per trattamento inumano in carcere?
Secondo la Corte, la richiesta deve indicare in modo specifico “il fatto materiale che sorregge la domanda”, le violazioni dell’art. 3 CEDU che si ritengono subite e gli istituti penitenziari in cui tali violazioni si sono verificate. È necessario fornire dettagli precisi sulle condizioni di detenzione ritenute lesive.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro (tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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