Rimedio risarcitorio detenuti: perché un ricorso generico è destinato al fallimento
Il rimedio risarcitorio per i detenuti, previsto dall’articolo 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario, rappresenta una tutela fondamentale contro le condizioni di detenzione inumane e degradanti. Tuttavia, per attivare con successo questo strumento, non è sufficiente una semplice lamentela. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i requisiti di specificità che un ricorso deve possedere per non essere dichiarato inammissibile.
I Fatti del Caso
Un detenuto presentava un’istanza al Magistrato di Sorveglianza di Salerno per ottenere il risarcimento previsto dall’art. 35-ter, lamentando le condizioni subite durante i periodi di detenzione trascorsi nelle carceri di Bari e Salerno. L’istanza, tuttavia, veniva considerata troppo generica e, di conseguenza, il Magistrato di Sorveglianza la dichiarava inammissibile.
Non soddisfatto della decisione, il detenuto proponeva ricorso per Cassazione, contestando la valutazione del primo giudice. Il caso giungeva così all’esame della Suprema Corte per una decisione definitiva sulla questione procedurale.
La Decisione della Corte sul Rimedio Risarcitorio Detenuti
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19906/2024, ha confermato la decisione del Magistrato di Sorveglianza, dichiarando il ricorso inammissibile. Secondo gli Ermellini, l’appello del detenuto non mirava a censurare specifici errori giuridici del provvedimento impugnato, ma tendeva a sollecitare una nuova e non consentita valutazione del merito dei fatti.
La Corte ha stabilito che la richiesta iniziale era carente degli elementi essenziali per poter essere accolta. Il ricorrente si era limitato a chiedere l’applicazione del beneficio senza fornire alcun dettaglio concreto a supporto della sua domanda.
Le Motivazioni della Sentenza
Il cuore della decisione risiede nel principio di specificità del ricorso. La Corte ha ribadito che, per ottenere il rimedio risarcitorio per i detenuti, non è sufficiente invocare la norma, ma è indispensabile indicare in modo preciso “il fatto materiale che sorregge la domanda e le relative violazioni dell’art. 3 CEDU che ritenga di aver subito e gli istituti penitenziari in cui le stesse si siano verificate”.
In altre parole, il detenuto ha l’onere di allegare e descrivere puntualmente le circostanze specifiche che, a suo avviso, costituiscono un trattamento inumano o degradante. Questo può includere, ad esempio, il sovraffollamento della cella, la carenza di servizi igienici, la mancanza di cure mediche adeguate o altri fattori lesivi della dignità umana. Senza questi elementi fattuali, il giudice non è in condizione di valutare la fondatezza della richiesta.
La Corte ha ritenuto corretta la valutazione del Magistrato di Sorveglianza, il quale aveva respinto l’istanza proprio perché non erano state indicate le ragioni concrete che determinavano la presunta violazione dei parametri stabiliti dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Le Conclusioni
Questa pronuncia della Cassazione offre un’importante lezione pratica: l’accesso alla giustizia e ai rimedi previsti dalla legge richiede il rispetto di oneri procedurali ben precisi. Il rimedio risarcitorio per i detenuti è un diritto, ma per esercitarlo efficacemente è necessario formulare un’istanza dettagliata e circostanziata. Un ricorso generico, che non fornisce al giudice gli elementi di fatto su cui basare la propria decisione, è destinato a essere dichiarato inammissibile. La conseguenza non è solo il mancato risarcimento, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso di specie, con la condanna al versamento di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Perché il ricorso per il rimedio risarcitorio è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché era generico. Il detenuto non ha specificato i fatti concreti, né le modalità con cui i suoi diritti, garantiti dall’art. 3 della CEDU, sarebbero stati violati durante la detenzione, limitandosi a una richiesta generale di applicazione del rimedio.
Cosa deve contenere una richiesta di risarcimento per trattamento inumano in carcere?
Secondo la Corte, la richiesta deve indicare in modo specifico “il fatto materiale che sorregge la domanda”, le violazioni dell’art. 3 CEDU che si ritengono subite e gli istituti penitenziari in cui tali violazioni si sono verificate. È necessario fornire dettagli precisi sulle condizioni di detenzione ritenute lesive.
Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro (tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19906 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19906 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/07/2023 del GIUD. SORVEGLIANZA di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso, così come qualificato dal Tribunale di sorveglianza di Salerno, con cui il Magistrato di sorveglianza di Salerno, con avverso l’ordinanza del 19 luglio 2023, dichiarava inammissibile l’istanza presentata da NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 35-ter legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), relativamente ai periodi di detenzione patiti le Case circondariali di Bari e Salerno.
Ritenuto che il ricorso di COGNOME, articolato in un’unica doglianza, non individua singoli aspetti del provvedimento impugnato da sottoporre a censura, ma tende in realtà a provocare una nuova e non consentita valutazione del merito dei presupposti per l’accoglimento del regime riparatorio attivato ex art. 35-ter Ord. pen., correttamente vagliati dal Magistrato di sorveglianza di Salerno.
Ritenuto che il Magistrato di sorveglianza di Salerno ha correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, formulando un giudizio congruo e privo di erronea applicazione della legge penitenziaria, evidenziando che nell’istanza di COGNOME non erano indicate le ragioni che determinavano la violazione dei parametri di cui all’art. 3 CEDU, non potendo il detenuto limitarsi a «chiedere l’applicazione dell’istituto senza indicare il fatto materiale che sorregge la domanda e le relative violazioni dell’art. 3 CEDU che ritenga di aver subito e gli istituti penitenziari in cui le stesse si siano verificate» (Sez. 1, n. 40232 del 24/06/2016, Oppedisano, Rv. 268246 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 aprile 2024.