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Rimedio ex art. 628-bis cpp: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso relativo al nuovo rimedio ex art. 628-bis cpp. Un condannato all’ergastolo, a seguito di una pronuncia della Corte EDU che riconosceva la violazione del suo diritto alla corrispondenza (art. 8 e 13 CEDU), ha chiesto la revisione della sua pena. Sosteneva che tale violazione gli avesse impedito di accedere al rito abbreviato. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che non è sufficiente una violazione convenzionale per ottenere una revisione. È necessario dimostrare una “incidenza effettiva e concreta” della violazione sull’esito del processo, un nesso causale che il ricorrente non è riuscito a provare in modo specifico.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rimedio ex art. 628-bis cpp: quando la violazione CEDU può riaprire un processo

L’introduzione del rimedio ex art. 628-bis cpp ha segnato un passo fondamentale nell’adeguamento del nostro ordinamento alla giurisprudenza europea. Questo strumento permette di rimettere in discussione una sentenza penale definitiva a seguito di una pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 30182/2025) offre chiarimenti cruciali sui limiti e le condizioni di applicabilità di tale rimedio, specificando che non basta una qualsiasi violazione accertata a Strasburgo per demolire il giudicato interno.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso di un uomo condannato alla pena dell’ergastolo per omicidio aggravato. Successivamente alla condanna definitiva, il ricorrente si era rivolto alla Corte EDU, la quale aveva accertato, tramite una dichiarazione unilaterale dello Stato italiano, una violazione degli articoli 8 (diritto alla vita privata e familiare, che include la corrispondenza) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della CEDU.

La violazione era consistita nel trattenimento illegittimo, per oltre un anno, di un plico contenente atti processuali inviatogli dal suo difensore mentre era detenuto in regime speciale. Forte di questa pronuncia, il condannato ha attivato il rimedio ex art. 628-bis cpp, chiedendo alla Cassazione di eliminare gli effetti pregiudizievoli della sua condanna. La tesi difensiva era che la mancata ricezione di quegli atti gli avesse impedito di valutare consapevolmente la scelta di un rito alternativo, in particolare il rito abbreviato, che gli avrebbe garantito una riduzione di pena.

Il rimedio ex art. 628-bis cpp e il nesso di causalità

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo un’interpretazione rigorosa dei presupposti per l’applicazione del nuovo istituto. Il punto centrale della decisione è il concetto di “incidenza effettiva”. Secondo i giudici, per accogliere la richiesta non è sufficiente che la Corte EDU abbia riscontrato una violazione di un diritto convenzionale. È indispensabile che il ricorrente dimostri, in modo specifico e concreto, che quella violazione abbia avuto un impatto determinante e negativo sull’esito del procedimento penale a suo carico.

In altre parole, deve essere provato un nesso di causalità diretto tra la violazione accertata (in questo caso, del diritto alla corrispondenza) e il pregiudizio lamentato (la mancata scelta del rito abbreviato e la conseguente condanna all’ergastolo). Una mera affermazione generica non è sufficiente.

La necessità di una prospettazione specifica

Nel caso di specie, la difesa non è riuscita a superare questo scoglio. La Cassazione ha evidenziato come il ricorrente non abbia spiegato in che modo la mancata ricezione di atti relativi alla fase cautelare, avvenuta molto tempo prima dell’udienza preliminare, gli abbia concretamente precluso la possibilità di optare per il rito abbreviato. La Corte ha sottolineato che esistevano altre modalità di comunicazione tra l’imputato e il suo difensore (come i colloqui diretti) e che l’udienza preliminare stessa è la sede deputata per avanzare richieste e sviluppare la propria linea difensiva, anche chiedendo termini a difesa se necessario.

La richiesta è stata quindi giudicata superficiale e carente di specificità, non riuscendo a dimostrare che, in assenza di quella violazione, l’esito del processo sarebbe stato “ragionevolmente diverso”.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ribadito che il rimedio ex art. 628-bis cpp è uno strumento straordinario, capace di incidere sul giudicato, e come tale deve essere maneggiato con cautela. Sebbene sia possibile che la violazione di un diritto strumentale (come quello alla corrispondenza) possa ledere un diritto fondamentale del processo (come il diritto di difesa sancito dall’art. 6 CEDU), questo collegamento non è automatico.

L’onere della prova grava sul richiedente, che deve costruire un’istanza dettagliata, indicando non solo la violazione subita, ma anche le conseguenze dirette e pregiudizievoli che ne sono derivate. Ad esempio, avrebbe dovuto specificare quali informazioni cruciali erano contenute solo in quegli atti e perché non potevano essere ottenute altrimenti. La Corte ha ritenuto implausibile che un imputato, assistito da un difensore, potesse rimanere per oltre un anno all’oscuro dei dettagli del procedimento a suo carico al punto da non poter formulare una scelta processuale consapevole.

Le conclusioni

La sentenza in esame traccia una linea netta: il rimedio ex art. 628-bis cpp non è un passe-partout per rimettere in discussione ogni condanna a seguito di una sentenza della Corte EDU. La decisione di Strasburgo è il presupposto, ma non la conclusione del procedimento. Per ottenere un risultato concreto, come la revoca di una sentenza o la riapertura di un processo, è necessario un rigoroso onere di allegazione e prova. Il ricorrente deve dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la violazione dei suoi diritti convenzionali ha inquinato il processo interno in modo decisivo e irreparabile. In assenza di tale prova specifica, il principio della stabilità del giudicato prevale.

Quando può essere accolta una richiesta basata sul rimedio ex art. 628-bis cpp?
La richiesta può essere accolta solo quando il ricorrente dimostra che la violazione di un diritto, accertata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha avuto un’incidenza effettiva, per natura e gravità, sul provvedimento pronunciato nei suoi confronti, tale per cui, se quella violazione non vi fosse stata, l’esito del procedimento sarebbe stato ragionevolmente diverso.

Una qualsiasi violazione accertata dalla Corte EDU è sufficiente per rimettere in discussione una condanna definitiva?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non è sufficiente la mera constatazione di una violazione. È necessario un nesso causale specifico e concreto tra la violazione e il pregiudizio subito nel processo nazionale. L’onere di dimostrare tale nesso grava sul richiedente.

Perché nel caso specifico la violazione del diritto alla corrispondenza non è stata ritenuta decisiva?
Perché il ricorrente non ha spiegato in modo specifico come la mancata ricezione di un plico di atti relativi alla fase cautelare gli abbia concretamente impedito, mesi dopo, di scegliere il rito abbreviato. La Corte ha ritenuto la doglianza generica, dato che l’imputato e il suo difensore avevano avuto altre occasioni e modalità per comunicare e per preparare la difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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