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Rimedi risarcitori detenzione: quando spetta l’indennizzo

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di un ex detenuto che chiedeva una riduzione della pena come rimedio risarcitorio per detenzione inumana. Il Tribunale di Sorveglianza aveva invece concesso un indennizzo economico, presumendo che la pena fosse terminata. Il ricorrente sosteneva di avere ancora una pena da scontare. La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per mancanza di specificità, sottolineando che l’affermazione non era supportata da prove adeguate e che, al momento della decisione, l’esecuzione della pena residua era sospesa, rendendo il ricorrente di fatto libero. La sentenza ribadisce l’importanza di allegazioni precise e documentate nei ricorsi.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rimedi Risarcitori per Detenzione Inumana: Indennizzo o Sconto di Pena? La Decisione della Cassazione

Quando un individuo subisce condizioni di detenzione contrarie al senso di umanità, la legge prevede dei meccanismi di compensazione. Ma quale forma devono assumere questi rimedi risarcitori detenzione? Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 18941/2025, chiarisce i presupposti per la scelta tra la riduzione della pena e l’indennizzo economico, sottolineando un principio fondamentale: la specificità e la prova nei ricorsi.

I Fatti del Caso

Un uomo, detenuto per un periodo tra il 2018 e il 2019, presentava un’istanza per ottenere un risarcimento a causa delle condizioni inumane subite in carcere, in violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La sua richiesta era volta a ottenere una riduzione della pena detentiva, come previsto dall’art. 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario.

Il Tribunale di Sorveglianza, pur riconoscendo la violazione per una durata di 177 giorni, accoglieva solo parzialmente la richiesta. Invece di concedere lo ‘sconto di pena’, liquidava una somma di 1.416,00 euro a titolo di indennizzo. La motivazione di tale scelta risiedeva nel presupposto che il condannato avesse già terminato di espiare la sua pena e fosse, quindi, un uomo libero.

L’interessato, tramite il suo difensore, ricorreva in Cassazione, contestando questa decisione. Sosteneva che il Tribunale avesse errato, poiché egli non aveva affatto terminato di scontare la sua pena. Infatti, a suo dire, gli restavano ancora sei mesi di reclusione da espiare, relativi a un’altra condanna che era stata unificata alla precedente per il vincolo della continuazione. L’ordine di esecuzione per questa pena residua, precisava, era stato emesso ma contestualmente sospeso.

La Decisione della Corte di Cassazione e i Rimedi Risarcitori Detenzione

La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione, sebbene di natura processuale, offre importanti spunti sulla corretta applicazione dei rimedi risarcitori detenzione.

La Corte ha stabilito che la scelta tra la riduzione della pena (ristoro in forma specifica) e l’indennizzo economico non è arbitraria, ma segue criteri precisi dettati dalla legge. Il ristoro in forma specifica è la via maestra quando il soggetto è ancora detenuto e ha un residuo di pena sufficiente a consentire la detrazione. L’indennizzo monetario, invece, interviene quando la pena è già stata scontata o il periodo residuo è troppo breve per applicare la riduzione.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella valutazione della genericità e della mancanza di specificità del ricorso. Gli Ermellini hanno evidenziato come l’affermazione del ricorrente – ovvero di avere ancora una pena residua da scontare – si basasse su una “mera deduzione”, priva di qualsiasi allegazione probatoria concreta, sia davanti al Tribunale di Sorveglianza sia nel ricorso per cassazione.

In altre parole, non basta affermare un fatto; è necessario provarlo o, quantomeno, fornire al giudice tutti gli elementi specifici per poterlo verificare. Il ricorso, invece, si è rivelato carente sotto questo profilo.

Inoltre, la Corte ha dato peso a un dato fattuale decisivo: secondo quanto indicato dallo stesso ricorrente, l’ordine di esecuzione per la pena residua era stato notificato ma contestualmente sospeso in attesa della decisione su eventuali misure alternative. Questo significa che, al momento della decisione del giudice di sorveglianza, l’uomo si trovava in una condizione di libertà. Tale circostanza, secondo la Corte, giustificava pienamente la scelta del Tribunale di optare per l’indennizzo economico, il rimedio previsto per chi ha terminato la detenzione.

Conclusioni: L’Importanza della Specificità nel Ricorso

La sentenza in esame ribadisce un principio cardine del nostro sistema processuale: la necessità di specificità e completezza degli atti. Chi si rivolge alla giustizia per far valere un proprio diritto, specialmente nell’ambito dei rimedi risarcitori detenzione, ha l’onere di presentare le proprie ragioni in modo chiaro, dettagliato e supportato da elementi concreti. Le mere affermazioni, non corroborate da prove, non sono sufficienti a fondare una pretesa. La decisione sottolinea inoltre come lo stato effettivo della persona (detenuta o libera) al momento della richiesta sia determinante per individuare la forma di risarcimento più appropriata, consolidando la distinzione tra ristoro in forma specifica e indennizzo monetario.

Quando un detenuto subisce un pregiudizio per condizioni detentive inumane, ha diritto a uno sconto di pena o a un indennizzo economico?
Secondo la normativa, entrambi i rimedi sono possibili. La riduzione della pena (un giorno di sconto ogni dieci di pregiudizio) è la forma principale se la persona sta ancora espiando una pena sufficientemente lunga. L’indennizzo economico (otto euro per ogni giorno di pregiudizio) è previsto per chi ha già terminato la detenzione o ha un residuo di pena troppo breve per consentire la riduzione.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso in questo caso specifico?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’affermazione del ricorrente di avere ancora una pena da scontare è stata considerata una ‘mera deduzione’, priva di allegazioni specifiche e di elementi probatori adeguati. Il ricorso mancava della necessaria specificità richiesta dalla legge per poter essere esaminato nel merito.

Lo stato di libertà del ricorrente al momento della decisione ha influenzato l’esito del caso?
Sì, in modo decisivo. La Corte ha osservato che, poiché l’esecuzione della pena residua era stata sospesa, il ricorrente si trovava di fatto in uno stato di libertà al momento della decisione del Tribunale di Sorveglianza. Questa circostanza ha rafforzato la legittimità della scelta del tribunale di concedere un indennizzo monetario, che è il rimedio specificamente previsto per chi non è più in stato di detenzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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