Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37500 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37500 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME ZONCU EVA COGNOME
NOME COGNOME ZONCU EVA COGNOME
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Vibo Valentia il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 16/04/2025 del Magistrato di Sorveglianza di Livorno Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto di riqualificare l’impugnazione come reclamo e la trasmissione degli atti al Tribunale di sorveglianza di Firenze;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in preambolo il Magistrato di sorveglianza di Livorno ha parzialmente accolto l’istanza presentata da NOME COGNOME volta a ottenere i rimedi risarcitori previsti dall’art. 35ter legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.) per la detenzione che assumeva aver subito in condizioni disumane e degradanti, in violazione dell’art. 3 CEDU.
Segnatamente: i) ha riconosciuto la riduzione della pena in forma specifica nella misura di diciotto giorni, a fronte della detenzione non conforme per cento ottantaquattro giorni, dal 1 marzo al 31 maggio 2018, presso l’Istituto di pena di Catanzaro; ii) ha rigettato il ricorso per la detenzione patita nell’Istituto di pena di Vibo Valentia per il periodo dal 26 gennaio 2023 al 18 marzo 2024 e in quello di Livorno per il periodo dal 19 marzoal 13 maggio 2024; iii) ha dichiarato inammissibile il ricorso riguardo agli altri periodi di detenzione sofferti nelle strutture penitenziarie di Catanzaro, Vibo Valentia, Palmi, Livorno e Benevento, per i periodi precedenti al 5 ottobre 2007, ritenendo la domanda mera riproposizione di quella già delibata dallo stesso Ufficio di sorveglianza in data 6 marzo 2024.
Avverso detto provvedimento COGNOME ricorre per cassazione, con il ministero del suo difensore, AVV_NOTAIO, deducendo un unico, articolato motivo, di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
¨ lamentata la violazione dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., limitatamente alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso per i periodi di detenzione ritenuti già delibati con il provvedimento in data 6 marzo 2024 poichØ, secondo il ricorrente, l’istanza non poteva considerarsi meramente reiterativa di altra precedente, non solo perchØ riguardante il riconoscimento del danno conseguente alla violazione dell’art. 3 CEDU riguardo a diversi
periodi di detenzione, ma anche perchØ poneva a sostegno della richiesta ragioni e argomentazioni nuove, corredate da documentazione sopravvenuta e, dunque, mai prodotta prima.
A fondamento del ricorso ha inoltre richiamato il principio, espresso in sede di legittimità, secondo cui, in materia di rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’art. 3 della Convenzione EDU nei confronti di soggetti detenuti o internati, quando si succedano piø periodi di detenzione intervallati da periodi di libertà relativi al medesimo titolo esecutivo, il termine semestrale entro cui l’azione deve essere proposta, previsto dall’art. 35ter , comma 3, legge 26 luglio 1975, n. 354, decorre dal completamento dell’espiazione, poichØ la continuità giuridica dell’esecuzione prevale sulla discontinuità cronologica ed ha rimarcato che la nuova istanza riguardava tutte le pene ricomprese nell’arco temporale indicato nel provvedimento di esecuzione di pene concorrenti n. 143 del 2023 emesso dalla Procura della Repubblica di Vibo Valentia.
Il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, intervenuto con conclusioni scritte in data 9 luglio 2025, ha chiesto di qualificare l’impugnazione come reclamo, con trasmissione degli atti al Tribunale di sorveglianza di Firenze.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che deduce censure complessivamente infondate, dev’essere rigettato.
Preliminarmente va detto che – diversamente da quanto prospettato dal Procuratore generale – il rimedio del ricorso per cassazione esperito dal condannato Ł corretto.
Questa Corte ha già chiarito, con orientamento consolidato e condiviso dal Collegio, che avverso il decreto d’inammissibilità emesso de plano dal magistrato di sorveglianza sul reclamo proposto dal detenuto ai sensi dell’art. 35ter Ord. pen., al fine di ottenere la riduzione di pena per i giorni di detenzione sofferta in violazione dei criteri di cui all’art. 3 Cedu, Ł proponibile esclusivamente il ricorso per cassazione in applicazione di quanto previsto dall’art. 666, comma secondo, cod. proc. pen.(Sez. 1, n. 38808del 19/07/2016, COGNOME, Rv. 268119 – 01; Sez. 1, n. 46967 del 16/07/2015, COGNOME, Rv. 265366 – 01; Sez. 1, n. 35840 del 14/05/2015, NOME COGNOME, Rv. 264707 – 01).
NØ in senso contrario, Ł sufficiente richiamare quanto stabilito da Sez 1, n. 315 del 17/12/2014, dep. 2015, Le Pera, Rv. 261706, secondo la quale «avverso l’ordinanza del magistrato di sorveglianza resa sull’istanza del detenuto per ottenere il risarcimento dei danni patiti per le condizioni della detenzione Ł ammesso il reclamo al tribunale di sorveglianza ex art. 35bis , comma quarto, ord. pen., ma non il ricorso diretto per cassazione che, se proposto dopo l’entrata in vigore dell’art. 3 del d.l. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014), va qualificato come reclamo e trasmesso al detto tribunale per il principio di conservazione dell’impugnazione espresso nell’art. 568, comma quinto, cod. proc. pen.».
Tale decisione, invero, non contrasta con la linea interpretativa sopra esposta, poichØ riguarda un caso in cui, nonostante la decisione espressasi in termini d’inammissibilità, la stessa era stata assunta nella forma dell’ordinanza e all’esito di compiuta istruttoria, quindi all’esito di una approfondita disamina sulla fondatezza della domanda e al di fuori dello schema procedurale di cui all’art. 666, comma 2, cod. proc. pen..
La cornice normativa attuale e l’analisi sistematica dell’art. 35bis Ord. pen. nei suoi vari commi impone di ritenere che la previsione del reclamo al tribunale di sorveglianza riguardi soltanto le decisioni assunte dall’ufficio di sorveglianza che si sia pronunciato sul merito del reclamo, accogliendolo o respingendolo, e che la declaratoria di inammissibilità sia contestabile unicamente mediante ricorso per cassazione e ciò in coerenza con la previsione
piø generale dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., richiamata nella sua interezza e senza eccezioni di sorta dal primo comma dell’art. 35bis Ord. pen.
Tale lettura rispetta la formulazione testuale della disposizione in parola e il significato logico del richiamo all’art. 666 cod. proc. pen. e offre il vantaggio di assicurare alle parti la possibilità di uno scrutinio di merito, esteso a tutte le questioni coinvolte e articolabile in due successivi gradi innanzi a giudici dotati di pieni poteri di cognizione sul fatto quando la decisione si sia addentrata in tali profili, mentre quando si sia limitata al riscontro immediato e formale d’inammissibilità siffatto raddoppio del sindacato di merito non Ł necessario ed Ł esperibile il solo controllo di legittimità.
Pertanto, tenuto conto del tenore della decisione impugnata nel caso di specie, l’impugnazione proposta – limitata alla declaratoria d’inammissibilità – non va riqualificata come reclamo, nØ inoltrata al Tribunale di sorveglianza.
2. Nel merito, come anticipato, il ricorso Ł infondato.
Il ricorrente afferma che la nuova domanda – oggetto della declaratoria d’inammissibilità che qui s’impugna – riguarderebbe periodi di carcerazione diversi da quelli oggetto del precedente provvedimento del 6 marzo 2024 e conterrebbe elementi nuovi, trascurati dal Magistrato di sorveglianza.
La tesi Ł priva di fondamento.
Il confronto tra il contenuto del provvedimento qui impugnato e il precedente del 6 marzo 2024 consente in primo luogo di evidenziare, quanto all’asserita diversità dei periodi, che il Magistrato di sorveglianza li ha ben presi tutti in adeguata considerazione, tant’Ł che ha diversificato gli esiti della propria pronuncia, accogliendo parzialmente la domanda del condannato.
Quanto, poi, ai nova asseritamente trascurati dal Magistrato di sorveglianza, il ricorrente ha replicato nel ricorso per cassazione lo stesso vizio di genericità che affliggeva la richiesta in sede di merito, omettendo di indicare in cosa gli stessi sarebbero consistiti, così non consentendo al Collegio di apprezzare l’eventuale carattere di novità.
Da ultimo deve evidenziarsi come non sia pertinente al caso in scrutinio la giurisprudenza, citata nel ricorso, riguardante la decorrenza del termine semestrale previsto dall’art. 35ter , comma 3, legge 26 luglio 1975, n. 354 entro cui l’azione risarcitoria dev’essere proposta, nel caso di soggetti detenuti o internati, quando si succedano piø periodi di detenzione – intervallati da periodi di libertà – relativi al medesimo titolo esecutivo.
In tali arresti si afferma che il termine semestrale entro cui l’azione deve essere proposta decorre dal completamento dell’espiazione, poichØ il pacifico principio di discontinuità esecutiva soffre eccezione quando la nuova condizione detentiva risulti legata a quella precedentemente sofferta, così da costituire, nella prospettiva dell’accesso ai rimedi risarcitori, un unicum e il legame Ł da individuarsi, non soltanto quando se ne riscontri la sussistenza in termini cronologici, ma anche quando essa si determini per motivi giuridici (in questo senso, cfr. in specie, Sez. 1, n. 23545 del 21/02/2024, Agresta, n.m.), tra i quali va annoverato l’inserimento nel cumulo di pene definitive che il condannato ha, in parte, già espiato a titolo cautelare.
Nel caso di specie, rileva il Collegio che la questione del decorso del termine semestrale Ł del tutto priva di rilievo (non avendovi fatto riferimento il provvedimento impugnato), inedita (il ricorrente la pone genericamente, per la prima volta con il ricorso per cassazione) e si ricollega piuttosto al provvedimento del 6 marzo 2024, nel quale il Magistrato di sorveglianza aveva reso una “doppia motivazione”, rilevando l’inammissibilità dell’istanza sia per la mancata deduzione di elementi a sostegno, sia per intervenuta
decadenza per decorrenza del termine semestrale. E – osserva il Collegio – Ł, dunque, quel provvedimento che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare in cassazione sull’indicato specifico aspetto, non potendo invece introdurre la relativa censura nel presente procedimento.
Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma del disposto di cui all’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 19/09/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME