Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9157 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 9157 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Vienna (Austria) il 25/02/1956
avverso la sentenza del 11/04/2024 della Corte di appello di Trieste visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Trieste riformava la sentenza appellata dal P.M. del Tribunale di Udine del 2 luglio 2021 che aveva assolto perché il fatto non costituisce reato l’imputato NOME COGNOME dal reato di cui agli artt. 110 e 388, terzo e quarto comma cod. pen., per aver in concorso con il custode sottratto un macchinario sottoposto a pignoramento in una procedura esecutiva (tra il gennaio e il marzo 2018).
La Corte di appello assolveva l’imputato con la formula ex art. 131-bis cod. pen.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli all’art. 603, comma 3-bis 1 cod. proc. pen., 6 CEDU e vizio di motivazione in ordine al dovere di motivazione rafforzata richiesto in caso di riforma del giudizio assolutorio.
La riforma della sentenza assolutoria, se pur non spiega effetti sul piano penale, ha riflessi sul fronte civilistico in senso negativo per l’imputato (facendo stato in sede civile) e pertanto costituisce una reformatio in peius con conseguente necessità di rinnovare la prova dichiarativa decisiva.
Nella specie l’appello del P.M. era fondato su una diversa valutazione delle prove dichiarative e, secondo la Corte di appello, le dichiarazioni rese dal coimputato NOME, nuovamente valutate, erano sufficienti per ribaltare il giudizio assolutorio e smentire quelle rese dal ricorrente, ritenute pertanto non più credibili.
Sotto altro verso, la riforma della sentenza di primo grado imponeva alla Corte di appello di fondare il giudizio su una motivazione rafforzata.
Nel caso di specie f invecel la sentenza impugnata non si è confrontata e non ha puntualmente smentito le diverse argomentazioni del primo giudice.
In particolare, il Tribunale aveva ritenuto gli imputati in buona fede, valorizzando le loro dichiarazioni e la circostanza della sottrazione del macchinario di minor valore tra quelli pignorati.
La Corte di appello non ha dimostrato l’insostenibilità sul piano logico e giuridico di tale conclusione, non essendo sufficiente una ricostruzione alternativa.
Nel caso in esame la Corte territoriale si è limitata a rilevare che il coimputato fosse a conoscenza che il ricorrente non potesse prelevare il bene (mentre il coimputato aveva riferito di aver capito poco e che entrambi erano in buona fede) e avesse espresso al ricorrente cosa dovesse fare per recuperare il bene e che il ricorrente avesse perfettamente compreso l’oggetto del pignoramento (mentre il ricorrente aveva dichiarato che aveva compreso che il bene non fosse di proprietà dell’azienda pignorata e che tale circostanza, come realmente accaduto, fosse stata messa a verbale).
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato GLYPH – conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va pertanto accolto.
Va ribadito che la riforma del giudizio assolutorio in appello con il proscioglimento dell’imputato per la particolare tenuità del fatto costituisce un overturning che impone l’applicazione delle regole normative e giurisprudenziali che riguardano la riforma in peius (Sez. 5, n. 1087 del 07/12/2022, dep. 2023, non mass.).
La pronuncia ex art. 131-bis cod. pen. lascia infatti inalterata la rilevanza penale della condotta e tale formula liberatoria ha conseguenze, in punto di verifica dell’illiceità della condotta, anche nei giudizi amministrativi o civili di danno.
3. In ordine alla vicenda in esame va osservato quanto segue.
Il primo giudice aveva ritenuto non provata con certezza la penale responsabilità del ricorrente in quanto: la versione riferita da entrambi gli imputati (ovvero che il bene era di proprietà del ricorrente e non della ditta esecutata, presso la quale era stato soltanto collocato per comodato, e che il ricorrente era andato a prelevarlo avendo avuto notizia che non rientrava tra i beni esecutati) aveva trovato riscontro nelle dichiarazioni del teste COGNOME e nel verbale di pignoramento; era credibile che il coimputato avesse riferito al ricorrente in termini atecnici cosa fosse accaduto, inducendolo in errore sulla liceità del prelievo; ulteriore riscontro era la circostanza che i beni rimasti in pignoramento erano di valore superiore.
La Corte di appello ha ritenuto invece che il coimputato avesse capito bene che non poteva disporre del bene pignorato e ciò sulla base della testimonianza del teste COGNOME che aveva accompagnato l’ufficiale giudiziario e che aveva riferito che l’ufficiale giudiziario aveva spiegato all’esecutato che nel caso di beni di terzi andava effettuata opposizione (tant’è che il coimputato si era premurato di avvisare subito il ricorrente dell’accaduto e di rivolgersi ad un avvocato). Inoltre, la Corte territoriale ha evidenziato che anche lo stesso coimputato aveva dichiarato di aver parlato con il proprio avvocato dopo il pignoramento e di sapere che doveva essere il giudice a stabilire la restituzione del bene al terzo proprietario.
Era smentita così, secondo la Corte di appello, la tesi del ricorrente che aveva sostenuto che fosse stato il coimputato a informarlo che il bene non era stato pignorato. In tal senso, deponeva la circostanza della repentina collocazione del bene presso un albergatore in Austria.
Sulla base di quanto premesso deve ritenersi fondata la censura del ricorrente in ordine alla necessità del rinnovamento dell’istruttoria dibattimentale, in quanto effettivamente la Corte di appello ha proceduto ad una diversa lettura delle medesime prove decisive.
Erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto non necessaria la loro rinnovazione, limitandone l’ambito ai soli testi, non considerando le dichiarazioni rese dagli imputati, la cui credibilità è stato oggetto di diversa valutazione nei gradi di merito.
E’ stato già affermato in sede di legittimità fin tema di rinnovazione della prova dichiarativa che la necessità di assumere l’esame dell’imputato, in caso di riforma della sentenza assolutoria, rientra in quella, più generale, di rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, sicché la stessa sussiste ove, nel corso del giudizio di primo grado, l’imputato abbia reso dichiarazioni “in causa propria” e la valutazione probatoria da parte dei giudici dei due gradi di merito si basi sul significato di tali dichiarazioni o sul diverso apprezzamento della loro attendibilità (tra tante, Sez. 3, n. 16131 del 20/12/2022, dep. 2023, Rv. 284493, in motivazione, la Corte ha precisato che la riferibilità dell’obbligo di rinnovazione dibattimentale anche a tali dichiarazioni si desume dal testo dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., essendo il sintagma “prove dichiarative” riferibile a tutte le prove provenienti da dichiaranti, senza distinzioni o limitazioni di sorta).
Tale obbligo discende anche dai principi affermati dalla Corte EDU (cfr. la sentenza COGNOME RAGIONE_SOCIALE c. Italia dell’8 luglio 2021, che ha condannato l’Italia per non essere stato disposto, anche d’ufficio, l’esame degli imputati prima di procedere al ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado).
Va inoltre precisato (avendo il ricorrente reso le sue dichiarazioni in sede di indagini, poi acquisite in dibattimento) che l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria grava sul giudice di appello anche quando la diversa valutazione di una prova dichiarativa ritenuta decisiva riguardi una prova acquisita nel corso delle indagini preliminari e non più ripetuta in dibattimento (Sez. 3, n. 24597 del 03/07/2020, Rv. 279863).
Il vizio sopra rilevato assorbe quello relativo alla motivazione rafforzata, pur dovendosi rammentare che l’obbligo della c.d. motivazione rafforzata, previsto nel caso di riforma di una sentenza assolutoria, è concorrente con quello di rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, sicché la sentenza di appello che riformi in peius la pronuncia assolutoria di primo grado postula l’adozione di una motivazione rafforzata: il giudice sarà tenuto a motivare circa il proprio diverso apprezzamento quale unico possibile secondo la regola dell’oltre / ogni ragionevole dubbio, non essendo sufficiente pervenire a plausibili e
maggiormente convincenti ricostruzioni alternative del fatto (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, in motivazione).
Da quanto detto consegue l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste, che dovrà procedere a nuovo giudizio attenendosi ai principi sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appek -d) Trieste. Così deciso il 06/02/2025.