Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45883 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 45883 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE DI APPELLO DI MILANO nel procedimento a carico di:
NOME nato a PALERMO il 09/05/1978
avverso la sentenza del 22/11/2023 della CORTE DI RAGIONE_SOCIALE APPELLO DI MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
Procedimento a trattazione scritta.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della dott.ssa NOME COGNOME Sostituta Procuratrice generale della Repubblica presso questa Corte, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di assise di appello di Milano.
Letta la memoria di replica del difensore dell’imputato, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12 aprile 2023, la Corte di assise di Monza condannava NOME COGNOME alla pena di trenta anni di reclusione per i reati di omicidio e di rapina in danno di NOME COGNOME. Secondo l’impostazione accusatoria, recepita dal giudice di primo grado, COGNOME avrebbe avuto il ruolo di concorrente morale ed esecutori materiali sarebbero stati NOME COGNOME detto COGNOME e NOME COGNOME i quali avevano ucciso la vittima con plurime coltellate il 29 novembre 2020 ed erano stati condannati in separato processo.
La sentenza di condanna a carico di COGNOME era basata su elementi indiziari, costituiti: dalla tempistica degli eventi; dalla peculiare conoscenza dell’imputato rispetto alla situazione – economica e riguardante la disponibilità di stupefacenti relativa alla vittima; dalle circostanze dell’azione; dalle dichiarazioni di NOME COGNOME dai tabulati telefonici; dalle confidenze di NOME e NOME COGNOME nipoti dell’imputato; dalla cosiddetta excusatio non petita espressa da NOME COGNOME in favore dello zio NOME nell’immediatezza del fatto; dall’intercettazione ambientale successiva alla denuncia di NOME COGNOME; dalle conversazioni tra NOME COGNOME e NOME COGNOME; dall’istigazione ad opera di tale NOME; dai comportamenti di NOME COGNOME, di ritorno da Cenano Laghetto; dalle falsità e dalle reticenze di NOME COGNOME; dalle incongruenze nella versione difensiva resa dall’imputato; dall’esistenza di un movente in capo a NOME COGNOME, in relazione a ragioni economiche e ad una lite precedente fra costui e la vittima.
In particolare, secondo la tesi difensiva, l’istigazione ad uccidere NOME COGNOME sarebbe stata manifestata da NOME COGNOME rivolgendosi a NOME COGNOME durante una visita di quest’ultimo a casa di Gambino, in presenza di NOME COGNOME la mattina del giorno dell’omicidio, poi materialmente compiuto in una via pubblica, alle ore 12.42, da NOME COGNOME in concorso con NOME COGNOME.
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NOME COGNOME proponeva appello rivolto alla Corte di assise di appello di Milano, che lo accoglieva assolvendo l’imputato da entrambi i reati con sentenza del 22 novembre 2023, con la formula “per non aver commesso il fatto”.
La Corte di assise di appello, in primo luogo, rigettava la richiesta di rinnovazione della deposizione di NOME COGNOME teste ritenuto inattendibile che aveva dichiarato di aver udito e apprezzato l’incitamento di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME la mattina dell’omicidio. La Corte di assise di appello riteneva, in una logica demolitoria, che gli indizi fossero insufficienti, asfittici, imprecisi e contraddetti da altri di segno opposto, taluni di questi d maggiore prestanza probante. Secondo la valutazione della Corte di assise di appello, il numero imponente degli indizi era il frutto valutativo della cosiddetta tecnica di atomizzazione del materiale probatorio – censurata in modo assolutamente costante dalla giurisprudenza di legittimità – con evidenti duplicazioni e frazionamenti del medesimo elemento conoscitivo; con l’attribuzione di valenza indiziante a dati circostanziali che sfuggivano alla relativa nozione; con oscillazioni tra la prospettazione d’accusa data per provata e ciò che avrebbe dovuto provarla ma, in realtà, secondo il giudice di appello, finiva per porsi in contraddizione logica.
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di ~11. ha proposto ricorso per cassazione, mediante due atti di impugnazione.
Il primo atto di ricorso è articolato in due motivi.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche delle quali si deve tener conto nell’applicazione della legge penale.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., deduce contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata riapertura dell’istruzione dibattimentale, con particolare riguardo alla negata rinnovazione dell’assunzione di NOME COGNOME
Il secondo atto di ricorso è articolato in sei motivi.
5.1. Con il primo motivo, il ricorrente, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., deduce contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alle valutazioni sulle circostanze relative alla persona di NOME COGNOME.
5.2. Con il secondo motivo, il ricorrente, richiamando l’art. 606, comma /, lett. e) , cod. proc. pen., deduce contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione in relazione alle valutazioni circa la deposizione del teste NOME COGNOME
5.3. Con il terzo motivo, il ricorrente, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., deduce contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alle valutazioni circa la deposizione del teste NOME COGNOME COGNOME
5.4. Con il quarto motivo, il ricorrente, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. e) e b) , cod. proc. pen., deduce, in primo luogo, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alle valutazioni circa le dichiarazioni del teste NOME COGNOME e, in secondo luogo, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata rinnovazione dell’esame di tale teste.
5.5. Con il quinto motivo, il ricorrente, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alle valutazioni circa le dichiarazioni di NOME COGNOME e le intercettazioni ambientali a carico di costui.
5.6. Con il sesto motivo, il ricorrente, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alle valutazioni circa l’aggravante della premeditazione e il concorso morale nel reato.
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione ha presentato requisitoria concludendo per l’accoglimento del ricorso, come già riportato sopra.
Il difensore dell’imputato NOME COGNOME ha presentato memoria articolata in relazione a ciascun motivo oggetto degli atti di ricorso del Pubblico Ministero e ha concluso chiedendo il rigetto dell’impugnazione, come già notato sopra.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Le censure espresse dal Pubblico Ministero ricorrente, dirette a far ritenere violazioni di legge e vizi di motivazione nella sentenza di appello, non meritano accoglimento. È opportuno richiamare alcuni principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità sugli argomenti rilevanti della causa.
1.1. Con riferimento ai limiti del giudizio di cassazione, è stato spiegato che sono precluse, al giudice di legittimità, la rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 – 01).
Ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logicogiuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento (Sez. 5, n. 19318, del 20/01/2021, Rv. 281105-01).
1.2. Per quanto concerne la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel giudizio di appello, prevista dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., è stato chiarito che essa è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, Rv. 274230 – 01).
È stato chiarito che il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 03/04/2018, Rv. 272430 – 01.
In applicazione dei richiamati principi di diritto, pienamente condivisibili, deve affermarsi, con riferimento al caso ora in esame, che le censure proposte dall’imputato non colgono nel segno sotto alcun profilo, come anticipato.
2.1. Per quanto concerne il primo motivo del primo atto di ricorso, volto a far ritenere l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche da parte del giudice di appello, deve rilevarsi, anticipando anche considerazioni attinenti ai temi rassegnati nel secondo atto di ricorso, che, nella ricostruzione del fatto, il giudice di appello, nel rispetto del dato normativo, espone nell’articolata motivazione, priva di alcun vizio di logicità e quindi coerente, specifiche valutazioni, spiegando in modo chiaro e completo le ragioni in base alle quali ha riformato la sentenza di condanna emessa dal giudice di primo grado.
Il giudice di appello si è attenuto ai principi stabiliti dalla giurisprudenza d legittimità e ha spiegato adeguatamente – dimostrando di aver preso in esame compiutamente anche le tesi contrarie – le basi giustificative della propria decisione.
La sentenza di appello, dopo una puntuale e ricca analisi di tutti gli elementi istruttori esposti nella sentenza di primo grado, esprime sugli stessi articolate argomentazioni, fornendo ragionamenti critici ineccepibili mediante i quali perviene alla demolizione degli argomenti utilizzati dalla sentenza di condanna.
Sono plausibili le osservazioni del giudice di appello, secondo le quali l’imponente numero degli indizi valorizzati dal giudice di primo grado, e dallo stesso ritenuti gravi (per capacità dimostrativa) precisi (per resistenza alle obiezioni) e concordanti (per unicità di approdo inferenziale), producono una impressione di sovrabbondanza per l’imponenza del loro numero ma sono, in realtà, frutto di una “tecnica di atomizzazione” del materiale probatorio con «duplicazioni e frazionamenti del medesimo elemento conoscitivo»; con «l’attribuzione di valenza indiziante a dati circostanziali che sfuggono alla relativa nozione»; con «oscillazioni fra la prospettazione d’accusa – data per provata – e ciò che la dovrebbe provare ma in realtà finisce per porsi in contraddizione logica».
La sentenza di appello, nell’esporre una serie di considerazioni specifiche, capaci di dimostrare l’inidoneità degli elementi valorizzati invece dal primo giudice, spiega congruamente, fra l’altro: che la tempistica delle condotte tenute nella mattina dell’omicidio dalla vittima NOME COGNOME dall’esecutore dell’omicidio NOME COGNOME e dall’imputato NOME COGNOME non hanno alcuna forza dimostrativa dell’assunto accusatorio a carico di quest’ultimo, poiché, pur essendo certo che i primi due, l’uno dopo l’altro, si recarono a far visita a NOME COGNOME, da ciò non può dedursi che costui abbia istigato l’autore NOME COGNOME a commettere il crimine, compiuto poi nello stesso giorno in strada; che NOME COGNOME dalle cui dichiarazioni dovrebbe ricavarsi la prova di detta istigazione, è inattendibile, come si ribadirà oltre; che nessuna prova sulla pretesa istigazione si può desumere dalle generiche dichiarazioni di NOME e NOME COGNOME, nipoti di NOME COGNOME; che le dichiarazioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME. COGNOME hanno le proprie fonti in «cicaleccio di rione» e sono di «evidente povertà contenutistica»; che le «falsità e le reticenze» di NOME COGNOME e le «incongruenze nella versione dell’imputato» sono «tamquam non essent», avuto riguardo, per il primo profilo, al fatto che non è consentito assegnare valenza indiziante alla «inattendibilità di una non-chiamata» e, per il secondo profilo, alla «non-confessione» di NOME COGNOME.
È decisivo osservare, poi, che il giudice di appello ha posto in luce, in modo incisivo, elementi specifici contrastanti con la tesi accusatoria, tra i quali, oltre alle
dichiarazioni processuali rese in vari momenti dall’autore del reato NOME COGNOME le affermazioni espresse da costui nel corso di conversazioni intercettate, nelle quali escludeva qualsiasi responsabilità di NOME COGNOME per l’omicidio.
La motivazione della sentenza di appello è arricchita da congrui commenti volti a far rilevare, in modo pertinente ed efficace, la debolezza logico-giuridica delle valutazioni del giudice di primo grado e a rendere palese il mancato superamento di ogni ragionevole dubbio sulla colpevolezza di NOME COGNOME
2.2. Con riguardo al secondo motivo del primo atto di ricorso, volto a criticare la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale da parte del giudice di appello e, in particolare, la mancata audizione in appello del teste NOME COGNOME deve notarsi che le censure sono infondate, perché la decisione è sorretta, in proposito, da coerente motivazione. In essa, oltre a spiegare (anche sulla base di articolati richiami, nelle pagg. 43 e 44, dei principi che regolano la materia) che, in astratto e con riferimento ad ipotesi come quella della riforma assolutoria, non sussiste alcun obbligo, a carico del giudice di appello, di rinnovare l’istruttoria della prova dichiarativa, la Corte di secondo grado espone, nelle pagg. 127 e segg., specifici argomenti a sostegno della propria scelta di non rinnovare l’assunzione del teste COGNOME
In particolare, il giudice di appello, dopo aver affermato, riferendosi chiaramente a un piano ipotetico, che la deposizione di COGNOME sarebbe l’unica testimonianza diretta che dovrebbe confortare l’addebito mosso a NOME COGNOME e che COGNOME «avrebbe potuto essere il testimone chiave», non incorre in alcuna contraddizione quando, passando a valutazioni inerenti alla situazione concreta, e rassegnando copiosi argomenti, chiarisce che, in concreto, la nuova audizione del teste non è necessaria, in considerazione della sua inattendibilità.
La Corte di assise di appello dà atto di aver lungamente ponderato se escutere nuovamente il teste – avuto riguardo al suo ambiguo ruolo processuale – e di aver disposto dapprincipio una apposita udienza, ma di avervi poi rinunciato. Detta Corte, poi, afferma in modo plausibile, e con efficacia decisiva sull’argomento, che, pur nell’ipotesi in cui COGNOME fosse stato sentito nel giudizio appello, e avesse confermato ivi le dichiarazioni che aveva reso nel giudizio di primo grado, esse sarebbero state del tutto insufficienti a fondare una condanna per rapina e omicidio aggravati a carico di NOME COGNOME perché la testimonianza resa non fu – né avrebbe potuto esserlo se rinnovata – precisa, lineare, ricca di dettagli vissuti e spontaneamente riferita.
In definitiva, la motivazione offerta dal giudice di appello, completa e coerente, non lascia spazio ad alcun dubbio sulla conformità a diritto e sulla logicità della scelta circa la superfluità di una rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
2.3. Sono inammissibili sia il primo motivo del secondo atto di ricorso, volto a criticare le valutazioni del giudice di appello circa la persona dell’imputato, NOME COGNOME sia il secondo, il terzo e il quinto motivo di tale atto, tesi a far ritenere vizi della motivazione con riferimento alle valutazioni in ordine alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME, da NOME COGNOME, da NOME COGNOME e in ordine alle intercettazioni di conversazioni in cui costui intervenne.
La sentenza di appello, infatti, ha reso, come sopra già rilevato, congrue osservazioni per spiegare le ragioni in base alle quali le dichiarazioni e le intercettazioni di conversazioni acquisite non sono idonee a sostenere un giudizio di colpevolezza a carico di NOME COGNOME.
Il giudice di appello ha chiarito in modo congruo, superando le contrarie tesi, sia le ragioni in base alle quali il teste COGNOME è da considerare inattendibile, come sopra ricordato; sia le ragioni in base alle quali le ulteriori acquisizioni istruttor – come le dichiarazioni di NOME COGNOME di NOME COGNOME, di NOME COGNOME – non sono idonee a far superare ogni ragionevole dubbio sull’ipotesi accusatoria a carico dell’imputato. Inoltre, deve ribadirsi, per la sua forza, la sottolineatura, da parte del giudice di appello, di taluni elementi favorevoli alla tesi difensiva, come quelli emergenti da dichiarazioni di NOME COGNOME e come quelli desumibili da conversazioni intercettate nelle quali, come sopra cennato, costui esprimeva affermazioni che escludevano qualsiasi coinvolgimento di NOME COGNOME nei fatti contestati.
A fronte dell’analitico e puntuale percorso argomentativo illustrato nella sentenza di appello, e della coerente e completa sintesi valutativa in essa offerta, priva di vizi di logicità e contraddittorietà sugli aspetti centrali della vicenda, doglianze difensive si presentano come la richiesta di una rilettura del contenuto delle prove raccolte, preclusa nel giudizio di legittimità così come le valutazioni al riguardo.
2.4. Con riferimento al quarto motivo del secondo atto di ricorso, volto a criticare la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale da parte del giudice di appello, e in particolare la mancata audizione in appello del teste NOME COGNOME si rinvia a quanto sopra rilevato nel trattare il secondo motivo del primo atto di ricorso.
2.5. Il sesto motivo del secondo atto di ricorso, inerente all’aggravante della premeditazione e al concorso morale, è assorbito, stante l’infondatezza dei motivi riguardanti il tema della responsabilità.
A fronte del rispetto, da parte del giudice di appello, delle norme che regolano gli istituti applicati e dei principi stabiliti dalla giurisprudenza legittimità, della chiarezza espositiva e della congruità delle argomentazioni logico-
giuridiche presenti nella sentenza di appello, le doglianze espresse dal Pubblico Ministero risultano non condivisibili.
Il provvedimento, quindi, supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle norme giuridiche, delle regole della logica, dei canoni che presiedono all’apprezzamento delle circostanze fattuali.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, 6 giugno 2024.