Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7990 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7990 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MONACO WALTER
NOME nato a CALTAGIRONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/05/2023 della CORTE APPELLO DI CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME; lette le conclusioni’ del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto per la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 29 maggio 2023 la Corte di appello di Caltanissetta, in parziale riforma della decisione del primo giudice, confermava la condanna di NOME COGNOME per il reato di truffa aggravata ma riduceva la pena, previo riconoscimento dell’attenuante del danno risarcito.
Ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza in ragione di due motivi.
2.1. Violazione della legge processuale (art. 601 cod. proc. pen.) in quanto non è stato rispettato il nuovo termine di quaranta giorni previsto per l’avviso al difensore della data dell’udienza di appello, a seguito della modifica apportata dal decreto legislativo n. 150 del 2022.
Erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che la proroga al 30 giugno 2023 di alcune disposizioni emergenziali, disposta dal decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, riguardasse anche il nuovo art. 610 del codice di rito.
2.2. Erronea applicazione della legge penale (artt. 62 n. 4 e 62 -bis cod. pen.) e mancanza della motivazione in ordine all’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella del danno patrimoniale di speciale tenuità.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito nella legge 10 agosto 2023, n. 112), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
In ordine al primo motivo in rito, inerente al mancato rispetto del termine di quaranta giorni per la notifica dell’avviso al difensore della data fissata per il giudizio di appello, va necessariamente esaminata la successione delle norme che hanno interessato la modifica dell’art. 601 cod. proc. pen. ad opera del decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022, attuativo della legge 27 settembre 2021, n. 134 (legge “Cartabia”).
Secondo l’art. 34, comma 1, lett. g), nn. 3 e 4, del citato decreto, la nuova formulazione dell’art. 601, commi 3 e 5, del codice di rito era la seguente:
«Il decreto di citazione per il giudizio di appello contiene i requisiti previst dall’articolo 429, comma 1, lettere a), d-bis), f), g), nonché l’indicazione del giudice competente e, fuori dal caso previsto dal comma 2, l’avviso che si procederà con udienza in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, salvo che l’appellante o, in ogni caso, l’imputato o il suo difensore chiedano di
partecipare nel termine perentorio di venti giorni dalla notifica del decreto. Il decreto contiene altresì l’avviso che la richiesta di partecipazione può essere presentata dalla parte privata esclusivamente a mezzo del difensore. Il termine per comparire non può essere inferiore a quaranta giorni».
«Almeno quaranta giorni prima della data fissata per il giudizio di appello, è notificato avviso ai difensori».
L’art. 94, comma 2, del decreto, nel testo originario, prevedeva la seguente norma transitoria in tema di giudizi di impugnazione:
«Le disposizioni degli articoli 34, comma 1, lettere c), e), f), g), numeri 2), 3), 4), e h), 35, comma 1, lettera a), e 41, comma 1, lettera ee), si applicano a decorrere dalla scadenza del termine fissato dall’articolo 16, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15», vale a dire dal 1° gennaio 2023.
Tuttavia, in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (che ha posticipato al 30 dicembre 2022 l’entrata in vigore del d. Igs. n. 150 del 2022, introducendo l’art. 99-bis), la legge 30 dicembre 2022, n. 199, in vigore dal giorno successivo, con l’art. 5 -duodecies ha così modificato la norma transitoria (art. 94, comma 2, del d. Igs. n. 150 del 2022):
«Per le impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, nonché le disposizioni di cui all’articolo 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo il 30 giugno 2023, si fa riferimento all’atto di impugnazione proposto per primo».
Era questa, dunque, la norma vigente al momento della presentazione dell’appello nell’interesse di NOME COGNOME.
Detta norma è tuttora vigente a seguito delle proroghe disposte prima dal decreto-legge 22 giugno 2023, convertito dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 nonché, da ultimo, dal decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215 che, con l’art. 11, comma 7, ha disposto che «Il termine di cui all’articolo 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, in materia di giudizi di impugnazione è prorogato al 30 giugno 2024».
Secondo la tesi dell’appellante, l’art. 5 -duodecies della legge 30 dicembre 2022, n. 199 avrebbe prorogato l’applicazione delle sole disposizioni emergenziali senza alcuna incidenza sulla modifica relativa alla entrata in vigore del nuovo termine di comparizione di quaranta giorni e di quello conseguente per la notificazione dell’avviso ai difensori della data di udienza.
La tesi non può essere condivisa, alla luce di una lettura coordinata delle norme sopra richiamate.
Secondo la formulazione originaria dell’art. 94, comma 2, del d. Igs. n. 150 del 2022, le nuove disposizioni contenute nei suddetti artt. 34, 35 e 41 dello stesso decreto, la cui entrata in vigore era inizialmente prevista per il 1° gennaio 2023, riguardavano i seguenti articoli del codice di rito: 598-bis (art. 34 lett. c) 599, comma 1 (art. 34 lett. e); 599-bis, commi 1 e 2; 601, commi 2, 3 e 5 (art. 34 lett. g, nn. 2, 3 e 4); 602, comma 1 (art. 34 lett. h); 611 (art. 35, comma 1, lett. a); 167-bis disp. att. cpp (art. 41 lett. ee).
Si tratta di disposizioni che regolano le modalità di celebrazione dell’udienza di appello (e in Corte di cassazione), con trattazione orale o cartolare nonché gli avvisi che devono conseguentemente essere dati alle parti e gli adempimenti successivi alla decisione, punti sui quali sono tuttora vigenti le disposizioni previste dall’articolo 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, adottate a causa dell’emergenza durante la pandemia.
Avuto particolare riguardo all’art. 601, comma 3, del codice di rito, si osserva che il nuovo termine dilatori di quaranta giorni è inserito, alla fine, dopo disposizioni sull’avviso relativo alla celebrazione dell’udienza con nuove modalità certamente non applicabili in forza della proroga delle disposizioni emergenziali («…l’avviso che si procederà con udienza in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, salvo che l’appellante o, in ogni caso, l’imputato o il suo difensore chiedano di partecipare nel termine perentorio di quindici giorni dalla notifica del decreto»).
Teoricamente il termine per comparire avrebbe potuto anche avere una vita autonoma, ma proprio l’eliminazione in blocco del riferimento all’art. 34 del d. Igs. n. 150 del 2022, contenuto nella originaria formulazione della norma transitoria (art. 94, comma 2), fa propendere per la tesi secondo la quale la nuova norma transitoria ha differito l’entrata in vigore anche del nuovo termine per comparire di quaranta giorni e del conseguente uguale termine minimo per la notificazione dell’avviso ai difensori della data di udienza, che pertanto, allo stato, troveranno applicazione solo per le impugnazioni proposte dopo il 30 giugno 2024.
È assai significativo il fatto, da un punto di vista della interpretazione sistematica, che l’ampliamento a quaranta giorni del termine di cui si tratta è stato spiegato nella relazione illustrativa al d.lgs. 150 del 2022 proprio in ragione dei nuovi termini previsti dall’art. 598-bis, comma 1, cod. proc. pen., secondo il quale il procuratore generale presenta le sue richieste fino a quindici giorni prima dell’udienza e le parti possono presentare memorie di replica fino a cinque giorni
prima. Si tratta, evidentemente, di termini incompatibili con quello di venti giorni previsto per comparire e per la notifica dell’avviso d’udienza ai difensori, ai sensi dell’art. 601, commi 3 e 5, del codice di rito nella formulazione originaria.
Va altresì ricordato che la trattazione “cartolare” costituisce il modello ordinario di celebrazione del processo in appello, essendo la trattazione orale la ipotesi residuale conseguente a una richiesta di parte (comma 1) o a una decisione officiosa del giudice, possibile in determinate situazioni (comma 3).
Pertanto, risulta confermata una stretta correlazione fra la perdurante applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e l’entrata in vigore dell’art. 601, commi 3 e 5, cod. proc. pen. nella nuova formulazione, come modificata dal d. Igs. n. 150 del 2022.
In questo senso correttamente la Corte di appello ha osservato che, diversamente opinando, “dovrebbe ritenersi che, non essendo espressamente escluso, il decreto di citazione dovrebbe anche prevedere tutti gli avvisi previsti dalla nuova normativa che appaiono all’evidenza incompatibili con il rito ennergenziale (si pensi ad esempio alle diverse tempistiche per accedere all’udienza partecipata)”.
Va anche precisato che la tesi dell’appellante, secondo la quale la nuova disposizione sul termine per comparire nel giudizio di appello e sull’avviso ai difensori sarebbe vigente a partire dal 30 dicembre 2022, non comporterebbe automaticamente che detto termine sarebbe stato applicabile per i decreti di citazione di appello emessi da tale data.
Infatti, occorrerebbe comunque avere riguardo al principio tempus regit actum e diverse potrebbero essere le soluzioni per individuare l’atto rilevante, soluzioni che non vengono in questa sede esaminate in ragione della risoluzione della questione nei termini in precedenza esposti.
È infondato anche il secondo motivo, con il quale il ricorrente ha lamentato il mancato riconoscimento delle attenuanti previste dagli artt. 62 n. 4 e 62-bis cod. pen., in ordine al quale la Corte di appello ha condiviso le argomentazioni del primo giudice.
Quanto all’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, correttamente già il G.U.P. aveva ricordato che, ai fini dell’applicazione della circostanza, occorre considerare il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, la cui consistenza va apprezzata in termini oggettivi e nella globalità degli effetti, comprensivi anche di quelli non immediati (Sez. U, n. 35535 del 12/07/2007, COGNOME, Rv 236914; Sez. 2, n. 14895 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279194; Sez. 4, n. 16218 del 02/04/2019, COGNOME,
Rv. 275582; Sez. 3, n. 18013 del 05/02/2019, NOME, Rv. 275950; Sez. 2, n. 50660 del 05/10/2017, COGNOME, Rv. 271695; Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241), quale – nel caso di specie – il tempo perso da NOME COGNOME, in cerca di lavoro, per la frequentazione del corso che le avrebbe dovuto garantire l’assunzione a tempo indeterminato, secondo quanto falsamente promessole.
Per la frequentazione del corso, inoltre, la persona offesa corrispose la somma di 172 euro e in proposito va ribadito che l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità presuppone che il danno arrecato abbia avuto una «rilevanza minima» (Sez. U, n. 28243 del 28/03/2013, COGNOME, non mass. sul punto), sia cioè di entità quasi trascurabile per il danneggiato (Sez. 2, n. 2993 del 01/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265820; Sez. 2, n. 15576 del 20/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255791) ed arrechi, quindi, un pregiudizio «lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio» (così Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, Fanfarilli, Rv. 280173, in motivazione).
La Corte di appello, poi, nel rigettare il motivo con il quale l’appellante aveva chiesto la riduzione della pena, ha osservato che COGNOME era gravato di condanne per ben undici truffe: come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, COGNOME, Rv. 275057; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201), la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con motivazione implicita allorché sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di motivi.
Inoltre, anche i soli precedenti penali possono essere valorizzati per escludere il riconoscimento delle suddette attenuanti (cfr., ad es., Sez. 3, n. 34947 del 03/11/2020, S., Rv. 280444; Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, COGNOME, Rv. 274783; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
Il giudice di merito non è neppure tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826).
Al rigetto dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 31/01/2024.