Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 8283 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8283 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il DATA_NASCITA
NOME nato a POLICORO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/11/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. RAGIONE_SOCIALE conclude per l’inammissibilità del ricorso, in subordine, per il rigetto del ricorso.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di FIRENZE nell’interesse delle parti civili DEL COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOMECOGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME
COGNOME NOME e COGNOME NOME. Il difensore deposita conclusioni scritte e nota spese concludendo per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto dl ricorso. L’avvocato COGNOME è altresì presente in sostituzione dell’avvocato COGNOME NOME nell’interesse della parte civile COGNOME NOME. Il difensore deposita nomina ex art. 102 c.p.p., conclusioni scritte e nota spese di cui chiede l’accoglimento. E’ infine presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di FIRENZE in difesa degli imputati ricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME. Il difensore illustra i motivi di ricorso insistendo per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 novembre 2022 la Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza del locale Tribunale del 15 aprile 2019, ha – per quanto di interesse in questa sede – riconosciuto, in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica di Firenze, la responsabilità di COGNOME NOME e COGNOME NOME per il delitto loro contestato ai sensi degli artt. 113, 449 e 426 cod. pen., per l’effetto condannandoli, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi otto di reclusione, con pena sospesa per COGNOME NOME, nonché al pagamento delle spese processuali dei due gradi di giudizio e, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti dalle parti civ costituite.
1.1. I due imputati sono stati ritenuti responsabili di avere concorso, in data 21 ottobre 2013, a cagionare l’inondazione di una frazione di Figline Valdarno, con allagamento di diverse vie per una complessiva area di mq. 55.748, densamente abitata da 170 nuclei familiari e 389 residenti, con allagamento del piano terreno di 300 locali e oltre 100 attività produttive, liberata dall’acqua solo dopo diverse ore. Al COGNOME e al COGNOME, in particolare, è stato imputato – nella qualità di soci al 50% e di legali rappresentanti della RAGIONE_SOCIALE, impresa esecutrice in subappalto di un collegamento stradale tra le Provinciali nINDIRIZZO e n. INDIRIZZO, il primo quale responsabile di cantiere e direttore di cantiere, il secondo come assistente di cantiere/preposto e di fatto interlocutore principale del direttore dei lavori – di aver lasciato materiale di cantiere e attrezzature nell’alveo del torrente Granchie e di non aver prontamente rimosso le tavole delle casserature già realizzate al rinforzarsi delle piogge e all’aumentare della portata del fosso, in tal maniera contravvenendo alle puntuali prescrizioni imposte dall’RAGIONE_SOCIALE con la proroga in data 1 ottobre 2013 del rinnovo, avvenuto il 27 giugno 2013, dell’autorizzazione idraulica già rilasciata il 22 settembre 2008, peraltro avendo ricevuto il COGNOME alle ore 7.57 del 21 ottobre 2013 una specifica raccomandazione telefonica dal direttore dei lavori ing. COGNOME di liberare l’alveo e di tenere a disposizione mezzi e maestranze per eventuali interventi di emergenza. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il primo giudice aveva assolto il COGNOME e il COGNOME, per non avere commesso il fatto, affermando che, pur risultando comprovato che spesso costoro avevano lasciato del materiale da lavoro nell’alveo del fosso, senza rimuoverlo come invece prescritto dall’autorizzazione idraulica, e che nella
mattina dell’inondazione il cantiere era rimasto sguarnito, doveva essere esclusa la loro responsabilità, per non aver rimosso o fatto rimuovere i pannelli della casseratura con gettata di cemento, atteso che trattavasi di operazione da non potersi svolgere in sicurezza e in breve tempo. E’ stata, altresì, ritenuta esente da rilievo penale pure la condotta di avere autorizzato gli operai ad allontanarsi dal luogo di lavoro, atteso che, pur costituendo essa violazione di una specifica prescrizione normativa, non poteva, comunque, avere avuto alcuna incidenza causale, non essendo stato provato che la presenza delle maestranze sui luoghi avrebbe impedito o limitato la gravità dell’evento, essendo l’esondazione avvenuta più a valle.
La Corte territoriale ha ribaltato il giudizio assolutorio osservando come dal materiale probatorio acquisito fosse, invece, desumibile, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’esondazione del fosso delle Granchie era stata determinata dalla presenza di detriti fermatisi a valle del cantiere in massima parte rappresentati da materiali lasciati nell’alveo, in violazione dell’ordinanza autorizzativa dei lavori, e non già dalle casserature predisposte per la realizzazione di argini in cemento. L’assenza degli operai in cantiere, inoltre, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, aveva avuto incidenza causale sulla verificazione dell’evento, considerato che la presenza dell’escavatorista avrebbe consentito di eliminare immediatamente i materiali lasciati nell’alveo, ancor prima che il livello dell’acqua salisse, e poi di prelevare i detriti che l’acqua aveva iniziato a trasportare a valle, eliminando le ostruzioni createsi.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME e COGNOME NOME, a mezzo del loro difensore, deducendo cinque motivi di doglianza.
Con i primi due – trattabili congiuntamente stante l’identità della questione sollevata – hanno eccepito mancanza e manifesta illogicità della motivazione, nonché inosservanza ed erronea applicazione di legge, per avere la Corte di appello ribaltato il giudizio assolutorio emesso nei loro confronti sulla scorta di una diversa valutazione di talune testimonianze ritenute decisive, e perciò di prove dichiarative assunte nel corso del giudizio di primo grado (testi COGNOME, COGNOME, COGNOME , COGNOME, NOME COGNOME e in parte il vice brigadiere COGNOME), di cui non è stata disposta la rinnovazione in sede di appello, in palese violazione dei dettami imposti dall’art. 6 C.E.D.U. e dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.
I ricorrenti lamentano, cioè, che la difforme ricostruzione dei fatti operata dal secondo giudice sarebbe avvenuta senza la necessaria rinnovazione della testimonianza dei suddetti soggetti, operando una diversa valutazione dei
contenuti delle loro originarie dichiarazioni senza, tuttavia, procedere all’effettuazione di una loro nuova escussione.
A dire dei ricorrenti, poi, tale vizio non sarebbe stato neanche sanato dal fatto che le parti avevano rinunciato ad ascoltare nuovamente i testi, pur essendo stata disposta dalla Corte territoriale la rinnovazione istruttoria ex art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., atteso che, per espressa interpretazione della giurisprudenza di legittimità, tale rinuncia non esonererebbe i giudici di appello dal previsto obbligo di rinnovare l’esame dei testimoni.
Con la terza censura i ricorrenti hanno lamentato mancanza e manifesta illegittimità della motivazione per mancanza dei requisiti della c.d. motivazione rafforzata, necessari per la totale riforma della prima sentenza assolutoria e il conseguente riconoscimento della loro responsabilità penale.
La pronuncia impugnata avrebbe operato una mera lettura alternativa del compendio probatorio acquisito in primo grado, senza screditare il ragionamento probatorio seguito nella pronuncia assolutoria, evidenziandone l’illogicità o l’infondatezza, e quindi strutturare un proprio diverso percorso valutativo, idoneo a comprovare, oltre ragionevole dubbio, le ragioni di fondamento della opposta tesi.
Con il quarto motivo è stata eccepita inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto la sussistenza di un nesso causale tra l’evento-inondazione e l’omissione loro contestata.
Ricorrerebbe, infatti, una palese violazione delle norme degli artt. 40 e 41 cod. pen., atteso che la Corte di merito, nell’affermare in maniera apodittica la riferibilità causale dell’inondazione alla condotta perpetrata da parte degli imputati, avrebbe omesso di considerare, in adeguato giudizio controfattuale, la presenza di plurime circostanze intervenute – come ad esempio: la precedente esondazione di un altro torrente; il fatto che la fuoriuscita del Granchie fosse stata favorita da un tubo di dimensioni eccessivamente ridotte rispetto alla quantità di acqua riversatasi; l’assoluta eccezionalità del quantitativo di pioggia caduto – di per sé idonee a provocare l’esondazione del torrente. A fronte degli indicati aspetti, regole logiche condurrebbero ad escludere che l’abbandono dei materiali nell’alveo del torrente e la mancanza di operai presenti nel cantiere potessero aver costituito circostanze idonee ad aver provocato, anche solo concausalmente, un’inondazione estesa ben mq. 55.748.
Con l’ultima doglianza, infine, i ricorrenti hanno eccepito contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla dichiarata loro responsabilità penale per la ritenuta sussistenza del nesso eziologico tra la verificata inondazione e la condotta omissiva agli stessi contestata, laddove, in
maniera palesemente illogica e contraddittoria, la Corte di merito non avrebbe considerato, in riferimento alla loro posizione, l’eccezionalità della pioggia caduta in occasione dei fatti, invece ritenendo tale aspetto quale presupposto idoneo a giustificare la conferma della sentenza di assoluzione emessa in favore dei coimputati COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Neppure risulterebbe adeguatamente comprovata, da ultimo, la ritenuta circostanza per cui il cantiere non sarebbe stato pulito dai materiali di risulta in occasione della verificazione dell’inondazione.
I difensori delle parti civili costituite hanno depositato conclusioni scritte, con cui hanno chiesto la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle sostenute spese di rappresentanza e difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi non sono fondati, per cui ne deve essere disposto il relativo rigetto.
Innanzi tutto privi di fondamento sono i primi due motivi dedotti.
In punto di fatto, non vi è dubbio che la Corte di merito abbia ribaltato il precedente giudizio assolutorio e riconosciuto la penale responsabilità degli imputati in ragione di una diversa valutazione di alcune testimonianze decisive assunte nel corso del giudizio di primo grado (testi COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e in parte il vice brigadiere COGNOME), di cui non è stata disposta la rinnovazione in sede di appello, con conseguente mancato rispetto del dettato previsto dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.
Parimenti acclarata è, poi, la circostanza che, nel caso di specie, sono state le parti ad aver rinunciato ad ascoltare i testi dopo esserne stata disposta la rinnovazione dell’esame da parte della Corte di appello.
Si tratta, allora, di accertare quale rilievo possa avere assunto la verificazione dell’indicato aspetto, in particolar modo stabilendo se la rinuncia espressa dalle parti abbia esonerato, o meno, il secondo giudice dall’obbligo di rinnovazione delle prove dichiarative impostogli dalla norma dell’art. 603 cod. proc. pen.
Orbene, il Collegio rileva, in proposito, come sussista un conflitto esegetico tra due diversi orientamenti interpretativi nell’ambito della giurisprudenza di legittimità.
2.1. Secondo un primo indirizzo, la riforma di una sentenza assolutoria emessa all’esito di giudizio abbreviato che affermi la responsabilità dell’imputato
sulla base di una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, richiede la rinnovazione delle stesse pur se le parti abbiano concordemente rinunciato alla loro assunzione (cfr. Sez. 6, n. 18530 del 13/11/2019, dep. 2020, Arpino, Rv. 279303-01, nella cui motivazione la Corte ha spiegato che non rientra nei poteri dispositivi delle parti processuali la deroga al cd. metodo dialettico basato sul contraddittorio quando la prova da rinnovare abbia “ah origine” natura dichiarativa).
Tanto è rilevante la necessità di provvedere alla rinnovazione delle prove dichiarative, al fine di consentire il ribaltamento del precedente esito assolutorio, che nel giudizio per cassazione è rilevabile di ufficio, ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., l’omessa rinnovazione della istruzione dibattimentale da parte del giudice di appello che abbia riformato la sentenza assolutoria resa in primo grado e condannato sulla base di un diverso apprezzamento della prova dichiarativa decisiva, poiché la regola processuale posta dall’art. 603, comma 3bis, cod. proc. pen. configura una garanzia fondamentale dell’ordinamento, la cui violazione qualifica la sentenza come emessa al di fuori dei casi consentiti dalla legge (così, Sez. 6, n. 37979 del 11/07/2023, COGNOME, Rv. 285264-01; Sez. 6, n. 14062 del 16/03/2021, A., Rv. 281661-01).
2.2. Di contro a tale esegesi, è stato affermato, invece, che il giudice di appello, che, in base a una diversa valutazione della prova dichiarativa, condanni l’imputato assolto in primo grado, non deve procedere al nuovo ascolto dei testimoni, quando le parti abbiano concordemente rinunciato alla rinnovazione dell’istruttoria (cfr. in questi termini: Sez. 5, n. 16826 del 18/03/2023, V., Rv. 284397-01; Sez. 5, n. 46855 del 11/11/2022, Cosimo, Rv. 283879-01 – che ha chiarito, in motivazione, che la violazione dell’art. 603, comma 3 -bis, cod. proc. pen. genera una nullità generale a regime intermedio, che non può essere eccepita da chi, con la sua rinuncia, ha contribuito a darvi causa e non può essere rilevata d’ufficio dal giudice di legittimità -; Sez. 5, n. 2493 del 16/12/2019, dep. 2020, Romei, Rv. 278294-01).
Il così descritto metodo di acquisizione e di utilizzazione della prova trova copertura nell’art. 111, comma 5, Cost. e, a livello convenzionale, nei principi affermati dalla giurisprudenza di Strasburgo, per la quale la parte può rinunciare al diritto fondamentale del contraddittorio (Corte EDU, 26/04/2007, Vozhigov c. Russia § 57), ove la rinuncia (espressa o implicita purché “inequivoca”: Corte EDU Gr. Ch. 17/09/2009, Scoppola c. Italia § 135) sia volontaria e consapevole e cioè ove la parte sia stata adeguatamente informata sugli effetti giuridici derivanti dall’atto abdicativo (Corte EDU, 3 24/04/2012, Sibgatullin c. Russia § 48), e questo non si ponga in contrasto con un “interesse pubblico” (Corte EDU Scoppola c. Italia; Corte EDU Kashlev c. Estonia, 26/04/2016; Corte EDU,
26/09/2017 Fornataro c. Italia; Corte EDU 23/11/1993, Poitrimol c. Francia § 35).
2.3. Orbene, il Collegio ritiene di dover aderire al secondo orientamento ermeneutico, cui intende dare seguito, anche in ragione di quanto affermato dalle Sezioni Unite nella motivazione della sentenza Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281228-02, nella quale, riferendosi alla precedente pronuncia Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430-01, ha implicitamente ritenuto la rinunciabilità della rinnovazione delle prove dichiarative in appello, in ragione di quanto ritenuto dalle sentenze della Corte costituzionale n. 217 del 2009 e n. 168 del 2006, per le quali il principio costituzionale del contraddittorio non rappresenta una “risorsa” dispensata alle parti allo stesso modo e con la stessa intensità (prevedendo, infatti, il comma 5 dell’art. 111 Cost. il consenso dell’imputato, e non di altri, per la perdita di contraddittorio nei casi consentiti); ponendosi quale garanzia dettata in favore dell’imputato.
D’altro canto, con la sentenza dell’8 luglio 2021, COGNOME e altri contro Italia, la Corte di Strasburgo ha ribadito i principi, già da essa affermati, per cui: a) quando la corte di appello deve esaminare una fattispecie in fatto e in diritto ed effettuare una valutazione complessiva della colpevolezza o dell’innocenza dell’imputato, non può pronunciarsi su tale materia, a pena di iniquità del processo, senza valutare direttamente gli elementi di prova presentati personalmente dall’imputato che intenda dimostrare di non aver commesso l’illecito penale; b) siffatta conclusione presenta una stretta correlazione con il diritto dell’imputato di essere ascoltato dal tribunale che deve pronunciarsi sulla sua colpevolezza; c) con riferimento alla diretta assunzione delle prove da parte del giudice di secondo grado che intenda riformare una pronuncia assolutoria, occorre distinguere il caso in cui una corte di appello abbia effettivamente svolto una nuova valutazione dei fatti e le situazioni in cui la corte di appello abbia dissentito dal primo giudice solo sull’interpretazione di una questione di diritto e/o sulla sua applicazione a fatti già accertati (sentenza 16 luglio 2019, NOME COGNOME c. Islanda); d) quando la valutazione diretta delle dichiarazioni dell’imputato è necessaria alla luce dei principi sopra richiamati, la corte di appello è tenuta ad assumere iniziative positive a tal fine, anche se l’imputato non è comparso, non ha chiesto di rendere dichiarazioni e non si è opposto, per il tramite del suo difensore, a che l’autorità giudiziaria decidesse la questione nel merito; e) un ricorrente non può lamentare la violazione del suo diritto a un processo equo se ha espressamente e inequivocabilmente rinunciato al suo diritto di essere ascoltato dalla corte di appello, a condizione che abbia avuto la possibilità di presentare tutte le sue argomentazioni difensive (sentenza 1
dicembre 2020, COGNOME c. Romania); f) la volontaria rinuncia, espressa o tacita, alle garanzie di un processo equo, è certamente ammissibile.
Ne consegue, pertanto, che, una volta intervenuta la rinuncia delle parti (e dell’imputato in particolare) alla rinnovazione in appello di prove dichiarative potenzialmente suscettibili di condurre ad un diverso esito decisorio, non ricorre alcuna violazione dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. laddove la Corte di merito – come avvenuto nel caso di specie – decida di condannare gli imputati precedentemente assolti in ragione di una diversa valutazione di prove dichiarative non rinno .vate nel corso della celebrazione del giudizio di secondo grado.
3. In ordine, poi, alla dedotta mancata adozione di una motivazione rafforzata, indispensabile a consentire il ribaltamento di un precedente esito assolutorio, il Collegio rileva come il ragionamento esplicativo espresso nella sentenza impugnata si sia adeguatamente confrontato con i più rilevanti argomenti resi nella decisione di primo grado, colmandone le lacune presenti mediante la valutazione di aspetti in precedenza non adeguatamente considerati. La Corte di merito, cioè, ha conferito alla decisione una nuova e compiuta struttura motivazionale, elaborando un’analisi complessiva, espressa o implicita, di tutte le emergenze probatorie, nel rispetto dei dettami offerti dalla giurisprudenza di legittimità.
Risultano, in particolare, pienamente rispettati i principi espressi dal Supremo Collegio per cui, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 20/09/2005, Mannino, Rv. 231679-01).
Dall’analisi della motivazione della sentenza impugnata si evince, infatti, come siano state pienamente rispettate le condizioni sopra indicate, avendo la Corte di appello effettivamente offerto una motivazione rafforzata, di ribaltamento della precedente pronuncia, dando conto, in maniera logica e congrua, della ricostruzione della dinamica dei fatti per come evinta dalle risultanze di plurime concordanti deposizioni testimoniali.
Da esse, in particolare, è risultato comprovato come la verificazione dell’inondazione, causata dall’esondazione del fosso delle Granchie, fosse stata determinata dalla presenza di detriti fermatisi a valle del cantiere gestito dai due imputati, in massima parte rappresentati da materiali lasciati nell’alveo in
violazione dell’ordinanza autorizzativa dei lavori, e non già dalle casserature predisposte per la realizzazione di argini in cemento. Diversi testimoni, infatti, hanno riferito di come fosse costante prassi seguita presso il cantiere quella di lasciare nell’alveo del fosso sia materiali di risulta che attrezzature utilizzate per la realizzazione delle casserature, tra cui, oltre a materiali liberi, anche dei grossi pannelli di legno gialli fermati con ganci di ferro che la forza dell’acqua aveva nella circostanza divelto, creando significative ostruzioni al suo ordinario flusso, con conseguente sua esondazione – per come evincibile anche dalla visione di foto e di video nell’occasione realizzati -.
Per i giudici di appello, inoltre, la comprovata assenza degli operai in cantiere, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, aveva avuto una significativa incidenza causale sulla verificazione dell’evento, considerato che la presenza dell’escavatorista avrebbe consentito di eliminare immediatamente i materiali lasciati nell’alveo, ancor prima che il livello dell’acqua salisse, altresì po potendo, in un secondo momento, prelevare i detriti che l’acqua aveva iniziato a trasportare a valle, così eliminando le ostruzioni createsi.
In ragione degli aspetti così succintamente sintetizzati, evinti dall’esame dalle risultanze probatorie acquisite, risulta, pertanto, acclarato come la Corte territoriale abbia effettivamente adempiuto, in modo adeguato, all’obbligo di adozione di una motivazione rafforzata, confutando, nei passaggi più significativi, il ragionamento seguito da parte del primo giudice, così pervenendo alla ricostruzione della vicenda processuale con una motivazione logica e congrua, esente da ogni prospettato vizio.
A fronte della decisività di tale ultima affermazione, risultano, pertanto, palesemente infondate pure le doglianze eccepite negli ultimi due motivi di ricorso.
Con esse, infatti, è stata lamentata la ricorrenza di plurimi elementi fattuali (tra cui, soprattutto, l’assoluta eccezionalità del quantitativo di pioggia caduta), non adeguatamente vagliati da parte dei giudici di appello, che avrebbero dovuto condurre a un diverso giudizio di esclusione di ogni connessione eziologica tra la condotta espressamente contestata agli imputati e la verificazione dell’eventoinondazione. In tal maniera, tuttavia, è stata solo invocata un’alternativa ricostruzione della vicenda processuale e una diversa valutazione delle prove assunte, non passibili di considerazione in questa sede di legittimità.
In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito della Suprema Corte non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro
disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi – dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti – e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, tra le tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428-01).
Esula, quindi, dai poteri della Suprema Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l’illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME e altri, Rv. 207944-01).
Sono precluse al giudice di legittimità, pertanto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i moltepli arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 28060101; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507-01). E’, conseguentemente, sottratta al sindacato di legittimità la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento.
Ebbene, nel caso di specie può senz’altro ritenersi – per come già in precedenza evidenziato – che la Corte territoriale abbia fornito una chiara rappresentazione degli elementi di fatto considerati nella propria decisione, oltre che della modalità maggiormente plausibile in cui la vicenda è da ritenersi si sia svolta, rappresentando ampiamente, con argomentazioni logiche e congrue, le ragioni della ritenuta integrazione della condotta criminosa da parte degli imputati, con precisazione del comportamento colposo a loro imputabile, causalmente determinativo dell’avvenuta inondazione.
Del tutto generico, infine, è il dedotto aspetto per cui l’assoluta eccezionalità della pioggia caduta avrebbe rappresentato – in modo difforme rispetto al caso in esame – il presupposto giustificativo della conferma della sentenza di assoluzione invece emessa in favore dei coimputati COGNOME NOME e COGNOME NOME, considerato che trattasi di valutazione di merito resa in maniera palesemente assertiva, senza tener conto della differenza di posizione e delle condotte integrate da parte dei diversi prevenuti.
Ne deriva, in conclusione, la pronuncia del rigetto dei proposti ricorsi, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Il COGNOME e il COGNOME devono, altresì, essere condannati alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili, da liquidarsi in complessivi euro 3.000,00 ciascuno quanto a COGNOME NOME e COGNOME NOME, oltre accessori come per legge, nonché in euro 15.000,00 quanto a COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, olt accessori come per legge.
P. Q. M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili che liquida in complessivi euro 3.000,00 ciascuno quanto a COGNOME NOME e COGNOME NOME, oltre accessori come per legge e in euro 15.000,00 quanto a COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, olt accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 16 novembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Preside te