Rifiuto Test Antidroga: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata su un caso significativo riguardante il rifiuto test antidroga da parte di un conducente. Con l’ordinanza n. 10352 del 2024, i giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso di un automobilista, confermando la sua condanna e chiarendo importanti aspetti procedurali, in particolare sull’obbligo di avvisare l’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore.
I Fatti del Caso e il Percorso Giudiziario
Il caso ha origine dal comportamento di un automobilista alla guida di un furgone. Le forze dell’ordine, allertate anche dalla segnalazione di un altro utente della strada, constatavano una guida palesemente anomala e pericolosa. Il conducente procedeva con manovre inconsulte, senza frenare né mostrare remore, atteggiamenti che hanno fatto sorgere il forte sospetto che si trovasse in uno stato di alterazione psico-fisica dovuto non solo all’alcol, ma anche all’assunzione di sostanze stupefacenti.
Di fronte alla richiesta degli agenti di sottoporsi ai relativi accertamenti, l’uomo si rifiutava. La vicenda processuale che ne è seguita lo ha visto condannato nei primi due gradi di giudizio. L’automobilista ha quindi deciso di presentare ricorso per Cassazione, lamentando principalmente due violazioni:
1. La mancata comunicazione dell’avviso di farsi assistere da un difensore di fiducia prima della richiesta di sottoporsi al test.
2. L’insussistenza, a suo dire, di sufficienti elementi di sospetto per giustificare la richiesta di accertamento.
Le Motivazioni della Cassazione sul Rifiuto Test Antidroga
La Suprema Corte ha respinto completamente le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato come i motivi presentati non fossero altro che una sterile riproposizione di censure già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello. La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri logico-giuridici molto chiari.
In primo luogo, è stato ribadito un principio consolidato in giurisprudenza: l’obbligo di dare avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore non sussiste in caso di rifiuto test antidroga. La presenza del legale, infatti, è funzionale a garantire il corretto svolgimento dell’accertamento, che è un atto di indagine ‘non ripetibile’. Se l’indagato si rifiuta di compiere l’atto, viene meno la stessa ragione di tutela, poiché non vi è alcuna attività di indagine da controllare. La condotta penalmente rilevante diventa il rifiuto stesso, non l’esito di un test mai effettuato.
In secondo luogo, la Corte ha confermato che esistevano ampiamente gli ‘elementi fattuali e ragionevoli motivi’ per sospettare lo stato di alterazione. La condotta di guida, definita ‘inconsulta’ e ‘senza freni’, unita alla testimonianza della persona offesa, costituiva una base più che solida per le forze dell’ordine per procedere con la richiesta di accertamento. Non si trattava di un mero sospetto astratto, ma di una concreta evidenza derivante dal comportamento del conducente sulla strada.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza consolida l’orientamento della giurisprudenza in materia di guida in stato di alterazione. Le conclusioni pratiche sono importanti: il diritto alla difesa tecnica, sebbene fondamentale, è strettamente collegato all’esecuzione di specifici atti di indagine. Quando l’indagato si oppone con un rifiuto, non può poi lamentare la mancata assistenza legale per un atto che lui stesso ha impedito. Inoltre, viene confermato che il sospetto che giustifica la richiesta di un test non deve basarsi su prove certe, ma su elementi fattuali concreti e ragionevoli, come una guida palesemente pericolosa, che sono ampiamente sufficienti a legittimare l’operato delle forze dell’ordine. La decisione si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, a causa dell’evidente inammissibilità del suo ricorso.
In caso di rifiuto a sottoporsi al test antidroga, è obbligatorio l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di dare avviso non sussiste in caso di rifiuto, perché la presenza del difensore è funzionale a garantire il corretto svolgimento dell’accertamento. Se l’atto non viene compiuto a causa del rifiuto, viene meno la necessità di tale garanzia.
Quali elementi sono sufficienti per le forze dell’ordine per sospettare che un conducente sia sotto l’effetto di stupefacenti?
Sono sufficienti ‘elementi fattuali e ragionevoli motivi’. Nel caso di specie, sono state ritenute sufficienti le condotte di guida ‘inconsulte, attuate senza freni e senza remore’, constatate direttamente dai Carabinieri e riferite nell’immediatezza da un’altra persona coinvolta.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che il ricorso non venga esaminato nel merito. Di conseguenza, la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma pecuniaria in favore della cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10352 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10352 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/05/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge in relazione al mancato avviso all’imputato di farsi assistere da un difensore di fiducia ai sensi dell’art. 114 disp. att. alla violazione delle disposizioni di cui all’art. 187, comma 2-bis e comma 8, cod. strada laddove si è ritenuto che vi fossero elementi di sospetto che l’imputato guidasse sotto l’effetto di stupefacenti e al fatto stesso che avesse guidato.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed in particolare del fatto che l’obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un di difensore non sussisteva in caso di rifiuto a sottoporsi all’accertamento, secondo la giurisprudenza richiamata in sentenza, perché la presenza del difensore è funzionale a garantire che l’atto in questione, in quanto non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta ad indagini.
I giudici d’appello hanno inoltre chiarito (cfr. pag. 4 del provvedimento impugNOME) che era pacifica la qualità del COGNOME di conducente del furgone menzioNOME nel capo di imputazione e altrettanto pacificamente sussistevano “elementi fattuali e ragionevoli motivi” per sospettare che, nella perdurante condotta di guida, COGNOME potesse trovarsi non solo in stato di ebbrezza, ma anche in stato di alterazione conseguente all’uso di stupefacenti per via delle condotte inconsulte, attuate senza freni e senza remore, constatate dai Carabinieri e riferite nell’immediatezza dalla persona offesa.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle mende.
Così deciso in Roma il 21 febbraio 2024.